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sabato 18 febbraio 2023

Le pericolose manovre del card. Arthur Roche, l’uomo che vuole imporre i suoi orientamenti a papa Francesco per condurre la Chiesa nel caos #traditioniscustodes

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 920 pubblicata da Paix Liturgique il 15 febbraio 2023, in cui si approfondisce con autorevolezza la volontà del card. Arthur Roche, Prefetto del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti di applicare il motu proprio Traditionis custodes con un intento fortemente punitivo nei confronti dei fedeli legati alla liturgia tradizionale, come emerso dai tre documenti di cui ci siamo occupati alcuni giorni fa (QUI).
Manovre che il Prefetto conduce pericolosamente e cadendo continuamente in contraddizione con il diritto canonico ed il testo dello stesso motu proprio, ma ancor peggio «conducendo una politica massimalista che va contro il pragmatismo e il realismo di papa Francesco e il ritorno alla pace nella Chiesa con il rischio di rendere il Papa responsabile del caos e della confusione totale con l’attuazione di una politica mendace, abusiva e irresponsabile».

L.V.


Peligro! Rischio! Danger! Warning! Gefahr!

Che le voci di un nuovo giro di vite romano sul rito tradizionale siano vere o meno, tutti gli osservatori concordano sul fatto che il desiderio di distruggere questo rito che anima il card. Arthur Roche, Prefetto del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, sia ancora più forte che mai, sostenuto da varie autorità romane. Riportiamo qui due testi riguardanti il card. Arthur Roche:

  • la riproduzione di un articolo del sito Infovaticana, che mostra come il card. Arthur Roche fosse un tempo un feroce oppositore del motu proprio Summorum Pontificum;
  • la pubblicazione di uno studio sul massimalismo dell’interpretazione del pensiero pontificio del card. Arthur Roche, che egli arriva a contraddire.


Il card. Arthur Roche, Prefetto del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, torna ad accusare i Vescovi che accettano la lettera del motu proprio Traditionis custodes per non limitare il divieto della Messa tradizionale nelle loro Diocesi, chiedendo loro «lo spirito» di ciò che vuole il Santo Padre. Ma lui stesso, Vescovo di Leeds nel 2007, ha fatto di tutto per non applicare il motu proprio Summorum Pontificum di Papa Benedetto XVI. Ancora una volta, due pesi e due misure.

Poco dopo la promulgazione del motu proprio Summorum Pontificum da parte di Papa Benedetto XVI nel 2007, si legge sul sito [di tendenza conservatrice: N.d.T.] Catholic World Report, l’allora Vescovo di Leeds emise una «interpretazione» in cui fece di tutto per ribaltare la liberalizzazione dell’«usus antiquior» che garantiva il motu proprio papale e ridurla all’insignificanza, ostacolandone l’applicazione.

Ad esempio, insistette sul fatto che i Parroci potevano introdurre la Messa tridentina solo se un «gruppo stabile» di fedeli lo richiedeva all’interno della propria Parrocchia, non da varie parti della Diocesi; dichiarò che il Vescovo aveva il potere di stabilire se un sacerdote fosse o meno «qualificato» a celebrare la Messa tridentina.

Era, insomma, il tipo di Vescovo a cui si riferiva l’allora Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti quando condannava «i documenti interpretativi che inspiegabilmente cercano di limitare il motu proprio del Papa» e insisteva che tali Vescovi erano «usati come strumenti del diavolo».

Successivamente, l’istruzione vaticana Universae Ecclesiae ha corretto i primi due punti affermando che «tale coetus può essere anche costituito da persone che provengano da diverse parrocchie o Diocesi e che a tal fine si riuniscano in una determinata chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella», che «ogni sacerdote che non sia impedito a norma del Diritto Canonico è da ritenersi idoneo alla celebrazione della Santa Messa nella forma extraordinaria» che «la facoltà di celebrare la Messa sine populo (o con la partecipazione del solo ministro) nella forma extraordinaria del Rito Romano è data dal Motu Proprio ad ogni sacerdote sia secolare sia religioso […]. Pertanto in tali celebrazioni, i sacerdoti a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum, non necessitano di alcun permesso speciale dei loro Ordinari o superiori». Per le Messe pubbliche sarebbe necessario il permesso dei Parroci, dei Rettori dei santuari ecc., ma non del Vescovo diocesano.

Inoltre, il card. Darío Castrillón Hoyos, che come presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei era responsabile della supervisione dell’uso della Messa tridentina e che certamente conosceva lo spirito di Papa Benedetto XVI, ha ricordato che «il Santo Padre è pronto a offrire questa possibilità a tutti, non solo ai pochi gruppi che la richiedono. Ma perché tutti conoscano questo modo di celebrare l’Eucaristia nella Chiesa cattolica».

Quattordici anni dopo, la Latin Mass Society of England and Wales pubblicò un’interpretazione canonica espansiva del motu proprio Traditionis custodes, sullo stile di quella del card. Arthur Roche del 2007, ma in quell’occasione il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti scrisse al card. Vincent Gerard Nichols, Arcivescovo di Westminster, condannando l’interpretazione della Latin Mass Society in quanto in contrasto con le intenzioni del Papa.

Arthur Roche, ora Cardinale, ha contattato almeno un Vescovo per insistere sul fatto che la dispensa delle Parrocchie dal motu proprio Traditionis custodes è riservata alla Santa Sede, anche se tale affermazione non è contenuta nel motu proprio e nonostante il fatto che, secondo il diritto canonico, i Vescovi abbiano questo potere di dispensa a meno che la legge che regola una particolare materia non preveda espressamente il contrario.

Il card. Arthur Roche dice che la dispensa dal motu proprio Traditionis custodes per le Parrocchie è una questione di competenza della Santa Sede

La lettera del card. Arthur Roche a diversi Vescovi americani in cui annunciava che non potevano concedere dispense dall’applicazione delle disposizioni del motu proprio Traditionis custodes sulla celebrazione della Messa tradizionale nelle chiese parrocchiali, in quanto tali dispense sono «riservate» alla Santa Sede, ha suscitato diverse reazioni preoccupate. Ma per l’avvocato canonista americano J.D. Flynn, dottore in diritto canonico, il card. Arthur Roche sta giocando un gioco pericoloso andando deliberatamente oltre la lettera del motu proprio, che non affronta la questione delle dispense. Cercando di monopolizzare il potere in materia liturgica, sta correndo dei rischi che potrebbero metterlo in contrasto con papa Francesco, ha dichiarato l’avvocato, che è anche editore di The Pillar, un media cattolico di analisi e investigazione.

Qualsiasi restrizione al normale potere di governo del Vescovo all’interno della sua Diocesi, che è legato al suo ufficio ecclesiastico, può essere solo il risultato di una legge esplicita, spiega J.D. Flynn su The Pillar. E se il motu proprio Traditionis custodes elenca molti casi in cui è richiesta la consultazione con il Vaticano, non c’è una disposizione simile per le dispense, che il documento non menziona. Il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti sembra affidarsi a una sorta di «riserva implicita» per acquisire potere, ma questo è inimmaginabile dal punto di vista del diritto canonico.

Senza arrivare a dire che il card. Arthur Roche non otterrà l’appoggio di papa Francesco su questo punto – perché papa Francesco potrebbe chiudere un occhio, o addirittura approvare una decisione in linea con la sua politica liturgica – l’articolo di J.D. Flynn mette in evidenza le debolezze della posizione del card. Arthur Roche, e i rischi che corre nel trattare con il papa di essere rinnegato.

Facendo notare che finora i Vescovi interessati – almeno uno dei quali sarebbe a capo di una Diocesi californiana – non si sono appellati al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, il canonista J.D. Flynn suggerisce che c’è un motivo per farlo, e che il rispetto della legge della Chiesa è della massima importanza per il bene e l’equilibrio di tutta questa «società».

Questo bene ed equilibrio si basa su una distribuzione dei poteri e delle competenze che riconosce il diritto di ciascuno al proprio rango e alla propria carica. È noto che papa Francesco, grande promotore della «sinodalità», si dichiara volentieri a favore di un maggiore riconoscimento dei poteri dei Vescovi: così ha insistito sul fatto che i Vescovi dovrebbero assumersi la responsabilità di decidere come giudici nelle loro Diocesi sulle richieste di nullità del matrimonio. Anche le sue affermazioni sulla necessità di un atteggiamento «pastorale» militano a favore di un’interpretazione benevola – in questo caso, in senso restrittivo rispetto alle dispense previste dal diritto canonico – del motu proprio Traditionis custodes. Senza pregiudicare l’esito, si può dire che la questione è tutt’altro che chiusa.

Ecco la traduzione integrale del commento di J.D. Flynn.

La scommessa del card. Arthur Roche e la legge del potere in Vaticano

Negli anni trascorsi da quando papa Francesco ha promulgato il motu proprio Traditionis custodes, è toccato al card. Arthur Roche, Prefetto del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, interpretare la politica papale e dialogare con i Vescovi diocesani responsabili della sua attuazione nelle loro Chiese locali.

Mentre il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti supervisiona questo processo, il card. Arthur Roche è stato criticato per un approccio che sembra conferire al suo Dicastero un’autorità che va oltre quella concessa dal motu proprio Traditionis custodes e dalla riorganizzazione della Curia romana del 2022.

Secondo il diritto canonico della Chiesa, l’autorità di governo deriva solitamente dall’ufficio ecclesiastico, cioè da un insieme precisamente delimitato di prerogative e obblighi legati alla nomina ufficiale a un particolare ufficio.

Ma se è vero che negli ultimi mesi il card. Arthur Roche è stato oggetto di critiche, ha anche dimostrato di avere un grande intuito sul modo in cui a volte funzionano le cose nella Chiesa; qualunque cosa preveda il diritto canonico, l’autorità di governo – o almeno il potere pratico concreto – viene a volte acquisita da coloro che agiscono come se la possedessero, e che riescono a convincere gli altri di essere nel giusto. I decreti sono importanti, ma nella vita amministrativa della Chiesa l’idea delle cose è talvolta più potente di un decreto.

«Il potere risiede dove gli uomini pensano che risieda» – diceva George Raymond Richard Martin [autore dei romanzi A Song of Ice and Fire e poi sceneggiatore della serie televisiva Game of Thrones: N.d.T.].

Negli anni successivi alla promulgazione del motu proprio Traditionis custodes, alcuni studiosi vaticanisti hanno avuto l’impressione che il card. Arthur Roche stesse scommettendo sull’idea che, finché il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti punterà all’interpretazione pesante della riforma liturgica del Papa, sarà anche in grado di accentrare al suo interno l’autorità liturgica, ben oltre le prescrizioni del diritto canonico, con poca resistenza o rettifica.

Il Cardinale ha fatto un grande azzardo nel dicembre 2021, quando il suo Dicastero ha pubblicato una serie di interpretazioni apparentemente normative della politica liturgica del Papa, riservandosi alcuni poteri che, secondo la lettera del motu proprio Traditionis custodes, sembravano appartenere ai Vescovi diocesani.

Negli ultimi mesi, il card. Arthur Roche ha fatto un nuovo azzardo: ha detto ad alcuni Vescovi americani che non hanno il potere di scavalcare alcune disposizioni del motu proprio Traditionis custodes, anche se (secondo molti canonisti) il testo papale stesso non supporta questa affermazione.

Diverse fonti hanno confermato a The Pillar questa settimana che una Diocesi californiana è stata recentemente avvisata che ai Vescovi diocesani non è permesso derogare alla misura del motu proprio Traditionis custodes che proibisce di permettere la forma straordinaria della Messa nelle chiese parrocchiali.

In una lettera indirizzata ad almeno alcuni Vescovi americani, il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha indicato che mentre i Vescovi diocesani sono generalmente autorizzati a derogare alle leggi disciplinari universali, non possono derogare a queste norme se tale dispensa è riservata alla Santa Sede. Questa è, infatti, la regola stabilita dal canone 87 del codice di diritto canonico.

Ma il Dicastero ha poi affermato che tutte le disposizioni del motu proprio Traditionis custodes sono riservate alla Santa Sede, e che quindi i Vescovi diocesani non hanno alcun potere di dispensa rispetto alle sue norme. Questa affermazione lascia perplessi i canonisti.

Il problema è questo: a ben vedere, il motu proprio Traditionis custodes non afferma esplicitamente che le dispense dalle sue norme sono riservate alla Santa Sede. Il diritto canonico dice che le leggi che limitano i diritti dei Vescovi devono essere esplicitamente delimitate, e il motu proprio del Papa non affronta da nessuna parte la prospettiva delle dispense.

La lettera del card. Arthur Roche sull’argomento cita una disposizione del motu proprio che designa il Dicastero che deve supervisionare l’applicazione del motu proprio Traditionis custodes – ma questa disposizione non menziona le dispense riservate.

Inoltre, poiché il motu proprio Traditionis custodes menziona esplicitamente la consultazione obbligatoria del Vaticano su alcune questioni, molti canonisti sostengono che il motu proprio avrebbe potuto menzionare altrettanto facilmente le dispense riservate. Ma poiché questo non è il caso, il Dicastero ha appena rivendicato retroattivamente una sorta di riserva implicita, il che è una situazione canonica a dir poco insolita.

Per molti canonisti, ancora una volta, la questione sembra chiara: la legge stessa richiede che le restrizioni del Vaticano sull’autorità di governo di un vescovo siano dichiarate esplicitamente, e il motu proprio Traditionis custodes non contiene le restrizioni che il card. Arthur Roche sostiene. Da un lato, questo potrebbe semplicemente significare che il card. Arthur Roche sta consapevolmente oltrepassando i suoi limiti: che il motu proprio è stato redatto frettolosamente e che il suo Dicastero sta cercando di attuare la visione del Papa nonostante la reale formulazione del testo.

Le lamentele sull’approccio del Dicastero all’interpretazione giuridica possono quindi sembrare i piagnistei pignoli dei «dottori della legge»: il Pontefice vuole chiaramente che il suo motu proprio venga attuato, e il card. Arthur Roche cerca chiaramente di ostacolare i Vescovi che cercano modi per mitigare l’impatto della politica.

Ma molti canonisti hanno sostenuto che la questione va ben oltre una disputa sulle dispense.

Alcuni sostengono che la Santa Sede viola la giustizia naturale promulgando leggi e poi interpretandole in modi che vanno contro il loro ovvio significato.

Le violazioni incontrollate della giustizia naturale, aggiungono alcuni canonisti, portano inevitabilmente al collasso sociale.

I canonisti possono anche inveire, ma l’azzardo del card. Arthur Roche sembra pagare nel breve termine. The Pillar ha verificato che i Vescovi che hanno ricevuto la correzione del card. Arthur Roche sulle dispense – per quanto fuori legge – si stanno per lo più adeguando, anche se con riluttanza.

Sebbene sia possibile un appello al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, nessun Vescovo ha finora annunciato l’intenzione di farlo.

E così, il potere presunto è diventato potere assunto.

È chiaro che per la Chiesa la conseguenza di questo tipo di approccio all’autorità giuridica è il degrado dello stato di diritto in tutta la società ecclesiastica, minando la fiducia nella capacità del diritto canonico di essere qualcosa di diverso da un insieme di suggerimenti o, peggio, da un insieme di norme manipolate per dire ciò che non dicono, a beneficio di coloro che sanno come usarle.

Quando in una società lo stato di diritto cede il passo alla legge del potere, ne consegue una disfunzione sociale, poiché i leader locali perdono fiducia nell’agire con la propria autorità, per non sentirsi dire che in realtà non la possiedono.

Ma a prescindere dalle conseguenze, riuscirà il card. Arthur Roche a far assumere al suo Dicastero più autorità di quanta ne abbia in realtà?

Finora ci è già riuscito, con il tacito consenso del Papa o a sua insaputa.

Se volesse, papa Francesco potrebbe naturalmente cambiare la legge per concedere al card. Arthur Roche il tipo di autorità che sembra rivendicare – e il Pontefice potrebbe anche aver strutturato il suo motu proprio nel modo in cui il card. Arthur Roche lo interpreta.

Ma il Papa, pur essendo un insaziabile legislatore, ha mostrato scarso interesse per le questioni di teoria giuridica nella vita della Chiesa, o per il loro impatto sulla funzione sociale, per cui non si sa se abbia esplicitamente sostenuto l’approccio del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti nell’attuazione del motu proprio Traditionis custodes.

Ciononostante, il card. Arthur Roche può eventualmente raggiungere i propri limiti; se i Vescovi diocesani portano all’attenzione del Pontefice i problemi che hanno con l’approccio del Dicastero all’interpretazione giuridica, il Papa può decidere di essere a loro favore, come talvolta fa a seguito di udienze personali. Oppure il Pontefice potrebbe decidere che ne ha abbastanza e che un buon modo per mantenere la pace sarebbe quello di tarpare le ali al card. Arthur Roche.

Ma nel frattempo, l’approccio persistente del card. Arthur Roche dimostra che, mentre papa Francesco ha chiesto che la riforma della Curia Romana sia radicata nel rispetto del giusto processo e di linee guida eque, alcuni dei suoi Prefetti sembrano più preoccupati dell’esito del loro lavoro che del modo in cui viene condotto.

Fino a quando i Vescovi diocesani sopporteranno questa situazione?

Lo vedremo.

Phil Lawler, giornalista cattolico da oltre trent’anni e capo redattore del sito americano CatholicCulture.org, è stato tra coloro che hanno raccomandato l’analisi di J.D. Flynn. Ecco alcuni estratti del suo commento che chiariscono ulteriormente il dibattito in corso:

Il Vescovo è responsabile delle pratiche liturgiche della propria Diocesi. In una lettera di gennaio a un Vescovo americano, il card. Arthur Roche ha sottolineato questo punto, dicendo che attraverso il motu proprio Traditionis custodes, il Papa «ha restituito ai Vescovi diocesani la loro competenza come custodi e promotori della vita liturgica della parte della Chiesa affidata alle loro cure».

Naturalmente, un Vescovo diocesano non può scavalcare le regole liturgiche della Chiesa universale. Tuttavia, può concedere deroghe alla legge della Chiesa, quando ritiene che ciò promuova il bene della Chiesa nella sua Diocesi. Alcuni Vescovi americani hanno preso decisioni di questo tipo riguardo all’uso della liturgia tradizionale.

Il canone 87 del codice di diritto canonico attesta l’autorità del Vescovo diocesano in materia di dispensa e ne stabilisce anche i limiti. Il canone 87 è quindi il testo chiave in questo caso. Esso 
recita:

«Il Vescovo diocesano può dispensare validamente i fedeli, ogniqualvolta egli giudichi che ciò giovi al loro bene spirituale, dalle leggi disciplinari sia universali sia particolari date dalla suprema autorità della Chiesa per il suo territorio o per i suoi sudditi, tuttavia non dalle leggi processuali o penali, né da quelle la cui dispensa è riservata in modo speciale alla Sede Apostolica o ad un'altra autorità».

 

Il card. Arthur Roche sostiene che nel motu proprio Traditionis Custodes il diritto di concedere dispense è riservato alla Santa Sede. Il vescovo non può quindi concedere dispense senza il permesso del Vaticano. C’è solo un problema con questa argomentazione: da nessuna parte il motu proprio dice che la Santa Sede si riserva l’autorità esclusiva di concedere le dispense. Infatti, nella sua lettera al Vescovo americano, il card. Arthur Roche riconosce che «spetta ai Vescovi regolare l’uso della liturgia antecedente nelle loro Diocesi».


Ma allora come fa il Cardinale a concludere che il Vescovo non può concedere dispense? Cita un altro passaggio del motu proprio Traditionis custodes, che dà al suo Dicastero il diritto di «esercitare l’autorità della Santa Sede riguardo all’osservanza di queste disposizioni».

Papa Francesco sosterrà il cardinale nel suo tentativo di centralizzazione? Phil Lawler sostiene che lo farà, sottolineando la mancanza di uno «stile sinodale» nel modo di governare del Papa e l’intera campagna papale per «eliminare la Messa tradizionale».

Sed contra: il 3 febbraio, rivolgendosi ai Vescovi della Repubblica Democratica del Congo, ha detto del codice di diritto canonico: «Il codice dobbiamo osservarlo, perché è importante, ma il cuore del pastore va oltre. In questo caso, è addirittura il codice di diritto canonico a promuovere un atteggiamento più pastorale».

Un altro commentatore cattolico americano, Jeff Ostrowski, ha aggiunto queste considerazioni puntuali qualche giorno fa:

Inutile dire che non posso leggere nel cuore del card. Arthur Roche. Ma la mia ipotesi è che sembra irritato dalla risposta della (maggior parte) dei vescovi al motu proprio Traditionis custodes. Quel documento ha posto la liturgia più saldamente sotto il controllo del Vescovo locale, e il card. Arthur Roche sembra opporsi. I Cattolici della «forma ordinaria» possiedono tutte le proprietà, le scuole, i presbiteri, le cancellerie, le università e le chiese, mentre i Cattolici della «forma straordinaria» non possiedono assolutamente nulla – quindi è difficile capire perché il car. Arthur Roche sia ossessionato dal desiderio di sminuirli e ostracizzarli. In realtà, il card. Arthur Roche dovrebbe prendere seriamente in considerazione la lettura di ciò che Nathan disse al re Davide. Se la memoria non mi inganna, il card. Arthur Roche è stato Vescovo diocesano per pochissimo tempo prima di passare a posizioni burocratiche. Sembra ignorare una legge molto importante della Chiesa: la salvezza delle anime è la legge suprema della Chiesa.

Riflessioni sulla pace liturgica

  1. Sembra abbastanza chiaro che il card. Arthur Roche, da sempre contrario alla politica di pace voluta da Papa Benedetto XVI, stia cercando in qualche modo di vendicarsi delle misure di pace promulgate da quest’ultimo durante il suo Pontificato.
  2. Peggio ancora, non contento di essere stato all’origine del motu proprio Traditionis custodes avendo sventolato il drappo rosso davanti al Papa poi in un momento di debolezza facendogli credere a pericoli che non esistevano, sta ora conducendo una politica massimalista che va contro il pragmatismo e il realismo di papa Francesco e il ritorno alla pace nella Chiesa con il rischio di rendere il Papa responsabile del caos e della confusione totale con l’attuazione di una politica mendace, abusiva e irresponsabile.

Ecco i link agli articoli citati:

14 commenti:

  1. Lo spirito del concilio sta mostrando la sua vera faccia…
    Altro che carità…

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    1. Io, a partire dagli ultimi due anni, invece, ho iniziato a vedere il vero volto dei tradizionalisti…e me ne sono andato a gambe levate, salvando Fede e salute mentale. Ora in parrocchia è un paradiso e posso finalmente pregare con serenità e confrontarmi con sacerdoti sani di mente.

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    2. E quale sarebbe questo fantomatico vero volto. Suvvia, ci illumini.
      Io sono ormai tre ani che frequento le tre chiese di Roma dove si celebra stabilmente secondo il rito tradizionale e occasionalmente chiese di altre città in cui mi trovo le domeniche e dai sacerdoti non ho mai sentito una parola fuori luogo. Una sobrietà e continenza di linguaggio uniche.

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  2. Francesco non ne ha bisogno.

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  3. Questa carogna vuole portare solo caos e distruzione nella Chiesa. Vogliono distruzione il Rito santo della Messa.

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  4. i Cattolici della «forma straordinaria» non possiedono assolutamente nulla

    EWTN è nulla?

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    1. Perché? EWTN è dei tradizionalisti?

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    2. Beh EWTN ormai ospita un gran numero di commentatori tradionalisti ed è stata capofila della polemica antipapapale, per esempio durante il Sinodo sull'Amazzonia

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    3. Il sinodo dell'Amazonia fu ,secondo me, uno spettacolo grottesco .Stupefacente sentire un vescovo vantarsi di non aver mai battezzato qualcuno.Ho letto che un altro o lo stesso(?) si faceva vedere in giro per Roma mano nella mano con una signora.....

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    4. Mi metti il link al video o documento completo in cui il vescovo in questione afferma ciò che dici?
      Grazie.

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    5. Che ci sia un vescovo ,brasiliano o austriaco,se non ricordo male,che ha fatto questa dichiarazione originale l'ho letto anch'io sulla stampa.Non ricordo quale giornale fosse.A quella carnevalata fu fatto anche di peggio.

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    6. Perfetto. Non ti ricordi chi era e hai letto qualcosa sui giornali. Però sei sicurissimo che fu una cosa orribile!

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    7. Un proverbio siciliano dice: abbassati giunco che passa la piena.Un altro dice : quando il puparo non c'è. i pupi non ballano. Gli uomini prima o poi passano....

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  5. Solo Dio onnipotente può salvarci dal Malvagio.

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