Dalla Mediator Dei di Pio XII al Summorum Pontificum di Benedetto XVI, noi abbiamo i rimedi contro questa liturgia postconciliare celebrata tamquam si Deus non daretur. Lo stravolgimento della liturgia deriva infatti dal porre il celebrante e i suoi arbìtri davanti a Dio, nonché davanti ai fedeli che hanno diritto ad un culto incorrotto.
La crescita della Chiesa non può conoscere rotture: ciò che era sacro, resta sacro. Purtroppo invece la Gerarchia è spinta a rigettare quel che era sacro, il passato e la Tradizione, e così pone le basi per la propria stessa insignificanza.
'Nulla veramente cambia della dotrina tradizionale: ciò che per secoli la Chiesa insegnò, noi insegniamo parimenti', disse Paolo VI. Se tornasse tra noi, che cosa direbbe?
La Mediator Dei del 1947 è il documento dottrinale più importante sulla liturgia fino ai testi conciliari, che ad essa si rifanno ancora. Pio XII aveva istituito una commissione per la
La Mediator Dei, in particolare, condannava l'archeologismo che cercava un improbabile ritorno alle origini palocristiane della liturgia, rifiutando il flusso della Tradizione sedimentato nei secoli.
Pio XII aveva pensato ad un Codex iuris liturgici, per semplificare le rubriche e operare una prudente riforma che aiutasse i sacerdoti nel loro apostolato liberandoli da alcuni formalismi. Ma non riuscì a portare l'opera a compimento.
Papa Giovanni Paolo II nella sua Ecclesia de Eucharistia tentò di mettere freno agli abusi insorti dopo il Concilio nonostante la loro palese violazione della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium che, invece, ribadiva in larga parte la Mediator Dei. Ma senza alcun effetto pratico.
Nel luglio 2007, il S. Padre Benedetto XVI ritorna alla Mediator Dei: nella storia della Chiesa, c'è crescita ma mai rottura, e quel che era sacro non può d'improvviso essere esecrato e considerato addirittura dannoso.
La liturgia non è una mummia egiziana, dice don Bux, ma un organismo vivo che cresce e si evolve. Anche la liturgia è semper reformanda, così come la Chiesa. Ma secondo il principio della crescita organica, della continuità e mai della rottura. Ecco quindi il significato di Papa Benedetto della Riforma della riforma, contro cui l'attuale tendenza (come Traditionis custodes) non può nulla, perché la liturgia agisce nelle menti e nei cuori, non nei testi legislativi.
Papa Francesco disse nel 2017, al Centro di azione liturgica, che la riforma liturgica è irreversibile. Non siamo d'accordo: nessuna riforma è irreversibile. E non si tratta di tornare indietro, ma di andare avanti. Emergono i difetti di quella riforma, sono sotto gli occhi di tutti i suoi effetti negativi, in primo luogo la perdita della Fede da parte del popolo cattolico. E quindi quei difetti saranno superati; bisogna solo avere pazienza.
Mentre la fiamma della Fede si sta spegnendo in tanti luoghi, scriveva Papa Ratzinger, la priorità è portare il Dio apparso sul Sinai e manifestatosi con Gesù Cristo. E l'usus antiquus riporta quel Dio presente nel mondo in modo speciale e più intenso per le anime.
C'è un dissenso tra noi e l'attuale Congregazione per il Culto Divino e riguarda la natura della liturgia. Il crollo della liturgia, attenzione, è ciò che provoca la crisi della Chiesa: pensiamo a quanto sta accadendo in Germania o nelle Fiandre e speriamo che non diventi un incendio come ai tempi di Lutero. Anche nel Cinquecento il papa a Roma pensava ad altro, mentre Lutero affiggeva le sue tesi e le liquidava come beghe tra frati; proprio come oggi, in cui Roma tace. O addirittura sembra connivente.
La Riforma di una riforma finita male nasce quando rinasce il sacro; ma il sacro deve nascere dal basso, dal popolo di Dio: la stessa Messa vetus ordo è il segno di questa rinascita del sacro, perché sono gli stessi fedeli che la cercano e la desiderano. La storia della Chiesa si valuta in millenni; non si deve quindi avere fretta. E la sofferenza è necessaria: Cristo è passato per la Passione, e quindi anche per noi pazienza, attesa e qualche ostacolo è segno di benedezione, perché solo la strada del male è facile e pervia.
Enrico
La sala, con il Vostro cronista chino al suo lavoro in terza fila |
Discorso con elementi di modernismo, perché il sacro non nasce dal basso, dal popolo di Dio, ma da Dio stesso, da nostro Signore Gesù Cristo.
RispondiEliminaÉ Lui che ha istituito la Messa, non il popolo né la Chiesa e la liturgia deve essere fedele all'istituzione divina che si esprime mirabilmente nella Sacra Tradizione.
Riformare vuol dire restituire a qualcosa la sua purezza, togliendovi ogni sporcizia, difetto, danno o contaminazione, come restaurare ed è così che la liturgia e la chiesa devono essere sempre riformate.
Tale è il motivo per cui la liturgia tridentina esprime meravigliosamente e senza macchia il sacro, perché manifesta il senso e il significato cattolico della Messa, la sua sostanza pura in virtù della quale è la riforma di San Pio V ad essere irreversibile.
Ogni liturgia che si discosti da essa o ne alteri il corpo costitutivo, come il Novus Ordo, deve essere rifiutata.
Lo stesso Pio XII prima del Concilio riformo' tutti i riti della Settimana Santa. Come avrebbe potuto farlo se la riforma di Pio V fosse stata "irreversibile"?
Eliminaè evidente che intendeva dire il "desiderio" del Sacro, la richiesta del Sacro il riconoscimento del sacro. Certi estremismi ottundono
EliminaPeccato per don Nicola. Ha una mente sopraffina,ma la spreca così .
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