Disastro dopo disastro.
Vedere anche la marcia indietro del Papa su Becciu....via telefono (QUI): "Il guaio per papa Francesco è che in questo infelice affare è dentro anche lui fino al collo, avendone conosciuto e approvato ogni passo".
Luigi
Luigi
Settimo Cielo, 22-8-22
Erano due i compiti pratici che i cardinali affidarono a Jorge Mario Bergoglio, quando nel 2013 lo elessero papa: la riforma della curia e il riordino delle finanze vaticane.
Sul primo punto del programma fa testo la costituzione apostolica “Praedicate Evangelium”, emanata il 19 agosto del 2022. Sul secondo punto la pubblicazione dei bilanci vaticani del 2021, all’inizio di questo mese di agosto.
Sulla riforma della curia esprimerà le sue valutazioni il concistoro convocato da papa Francesco il 29 e 30 agosto. Sul riordino dei conti vaticani, invece, non è in calendario alcuna consultazione. Ma come non sono poche né marginali le critiche già fin qui affiorate sulla riforma della curia, così avviene sul riordino dei conti.
La modalità stessa con cui i bilanci sono stati resi pubblici non ha soddisfatto le attese. Non vi è stata nessuna conferenza stampa di presentazione, nella quale dare libero spazio a domande, obiezioni, chiarimenti. La pubblicazione dei documenti è stata solo accompagnata da due interviste istituzionali, sui media vaticani, del prefetto della segreteria per l’economia, il gesuita Antonio Guerrero, e del presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, APSA, l’arcivescovo Nunzio Galantino.
Il passo indietro comunicativo è notevole rispetto a quanto avveniva tempo fa con i rapporti annuali dell’Autorità di Informazione Finanziaria, AIF, quando alla sua presidenza c’era René Bruelhart e alla direzione Tommaso Di Ruzza, che si esponevano in sala stampa a critiche giornalistiche anche taglienti.
Oggi anche l’AIF – che nel frattempo ha cambiato nome in ASIF, Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria –, così come lo IOR, Istituto per le Opere di Religione, la “banca” vaticana, pubblicano i loro rapporti annuali senza sottoporsi alle domande dei giornalisti. Con un riserbo che appare in clamoroso contrasto con il debordante stile comunicativo di papa Francesco e la sua incontenibile alluvione di interviste.
La novità forse più importante del bilancio della Santa Sede del 2021 è l’accorpamento di ben 92 entità che ne fanno parte, contro le 60 dello scorso anno. Gli attivi e i passivi, però, di ciascuna di queste entità restano sconosciuti, annegati nel bilancio complessivo. Sarebbe interessante conoscere, ad esempio, i costi effettivi dei singoli mezzi di comunicazione vaticani, le cui spese sono molto superiori ai ricavi, in particolare per “L’Osservatore Romano”.
In alcuni enti si è cercato di contenere i costi, ma in altri è avvenuto l’opposto. Il tribunale della Rota Romana, che in passato si autofinanziava con i proventi dei processi, è ora deficitario, da quando papa Francesco ha reso gratuito per tutti l’accesso alle cause, per “evitare che la giustizia sia solo per quanti possono pagarla”. Col risultato – ha detto padre Guerrero nell’intervista che ha accompagnato la pubblicazione dei bilanci – che per quadrare i conti “la Santa Sede si depatrimonializza ogni anno di una media di 20-25 milioni di euro”, su un patrimonio netto che è fatto ammontare oggi a 1,6 miliardi di euro.
Ma attenzione, il bilancio 2021 della Santa Sede non comprende l’APSA, il cui bilancio è stato pubblicato separatamente e che detiene la maggior parte del patrimonio mobiliare e immobiliare della Santa Sede, compreso quello gestito fino a un anno fa dalla segreteria di Stato e costituito, il secondo, da più di 4 mila unità abitative in Italia e da più di mille all’estero, con immobili di pregio a Londra, Parigi, Ginevra e Losanna.
Inoltre, dal 2015 inspiegabilmente non si pubblica più il bilancio del governatorato dello Stato della Città del Vaticano, che grazie soprattutto agli incassi dei musei ha sempre dato un contributo cospicuo alle entrate della Santa Sede.
E all’orizzonte incombe il collasso del fondo pensioni, riguardo al quale – ha ammesso padre Guerrero – “stiamo promettendo più di quanto in realtà possiamo permetterci”, senza avere messo in opera le necessarie misure correttive.
Questo per capire che resta ancora molto da fare per dare ordine, trasparenza e sostenibilità ai conti vaticani, come denunciato dagli osservatori più attenti.
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Ma ciò che oggi fa più danno all’immagine amministrativa e finanziaria della Santa Sede è qualcosa che esula dai bilanci. È quell’affare del palazzo di Londra, al numero 60 di Sloane Avenue, che occupa le aule giudiziarie non solo vaticane e che coinvolge sempre più pericolosamente anche le più alte autorità della Chiesa, compreso il papa.
Settimo Cielo ha già ampiamente documentato come nel processo in corso in Vaticano papa Francesco faccia sia da regista che da sceneggiatore ed attore. È stato lui – e l’ha detto – a volere il processo e a metterlo in moto. È stato lui a pilotarne a piacimento lo svolgimento, con quattro “rescripta” consecutivi che ne modificavano le regole in corso d’opera. È stato lui a condannare in anticipo e senza prove il più celebre degli imputati, il malcapitato cardinale Giovanni Angelo Becciu, persino escludendolo da un futuro conclave. È stato lui a tirare le fila della trattativa con il finanziere Gianluigi Torzi per riacquistare a caro prezzo – un prezzo che in segreteria di Stato continuano a giudicare un’estorsione – l’ultimo decisivo pacchetto di azioni del palazzo londinese:
Ma ora c’è di più. Il processo in corso in Vaticano sta per avere un duplicato a Londra, di cui la prima avvisaglia è stata il 26 luglio la sentenza della corte d’appello civile di Inghilterra e Galles che all’unanimità ha riconosciuto – diversamente dal giudizio di primo grado – il pieno diritto di Raffaele Mincione, il finanziere britannico che ha gestito la prima fase dell’acquisto del palazzo londinese da parte della segreteria di Stato, di ricorrere a un tribunale civile inglese per vedere riconosciuta le correttezza e la buona fede del suo operato, contrariamente all’accusa della segreteria di Stato d’averla costretta a pagare l’immobile molto al di sopra dei prezzi di mercato.
Non solo. Nel dare ragione a Mincione, la corte d’appello inglese ha riconosciuto che la segreteria di Stato è parte in causa nell’affare e non può continuare a dirsi “neutrale”, anche perché nel processo penale in corso in Vaticano si è costituita come parte civile contro gli imputati. E l’ha obbligata a pagare lei le spese legali del ricorso del finanziere, con un anticipo di 200 mila sterline su una somma finale prevista di circa mezzo milione.
Nell’escludere la “neutralità” della segreteria di Stato i giudici inglesi hanno tra l’altro citato a proprio favore i lamenti del cardinale Pietro Parolin e dello stesso papa Francesco per il danno subito dal presunto malaffare.
E naturalmente, non hanno mancato di evidenziare che Alberto Perlasca, il prelato al quale la segreteria di Stato aveva affidato l’operazione, aveva firmato con Mincione un contratto che conferiva al tribunale inglese la giurisdizione esclusiva sul contratto stesso.
Il link al testo integrale della sentenza inglese del 26 luglio è in coda a questo articolo:
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È quindi difficile prevedere come finirà questa vicenda, incautamente messa in moto dallo stesso papa Francesco in nome del riordino e della pulizia.
Un tentativo di difendere la reputazione della Chiesa da “quello scandalismo ipocrita che c’è a proposito del palazzo di Londra” è stato fatto da Nunzio Galantino nell’intervista con cui ha accompagnato il 6 agosto la pubblicazione dei bilanci dell’APSA.
Galantino ha ricordato che la Santa Sede investì parte dei soldi ricevuti nel 1929 dallo Stato italiano, come risarcimento dei beni sequestrati alla Chiesa nell’Ottocento, nell’acquisto di immobili di pregio in Inghilterra, in Francia e in Svizzera, proprio con l’intento di mettere al sicuro queste risorse e, col ricavato, sostenere la missione della Chiesa nel mondo e le sue opere di carità.
E di ciò, nel bilancio dell’APSA dell’anno precedente, erano stati portati questi due buoni esempi:
“È anche grazie agli affitti a prezzo di mercato riscossi sugli immobili di prestigio posseduti a Parigi e Londra, che è stato possibile concedere in comodato d’uso gratuito all’Elemosineria Apostolica una struttura come Palazzo Migliori, a due passi dal Colonnato di San Pietro, per l’accoglienza dei senza fissa dimora ospitati dai volontari della Comunità Sant’Egidio. Inoltre con l’acquisto di un immobile nei pressi dell’Arco di Trionfo a Parigi, grazie alla mediazione della Sopridex, il venditore ha indirizzato una parte del ricavato di quest’operazione alla costruzione di una chiesa in una banlieue parigina”.
“Altra cosa – ha proseguito Galantino nell’intervista, alludendo al caso di Londra – è se ci sono stati investimenti sbagliati, dovuti a errori o a comportamenti penalmente rilevanti”.
Il guaio per papa Francesco è che in questo infelice affare è dentro anche lui fino al collo, avendone conosciuto e approvato ogni passo.