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domenica 15 maggio 2022

Se la magistratura italiana entra pure in quel che compete alla Chiesa

L'ennesima intromissione della magistratura nelle questioni cattoliche.
Luigi

SE LA MAGISTRATURA ITALIANA ENTRA PURE IN QUEL CHE COMPETE ALLA CHIESA
MAG 2, 2022

Nico Tonti, dottorando di ricerca in Scienze giuridiche all’Università di Bologna, svolge considerazioni a margine della recente sentenza delle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione n. 12442/2022, riguardante la mancata ammissione di uno studente al ciclo dottorale attivato alla PUL-Pontificia Università Lateranense. La controversia ruota attorno alla estensione della categoria ‘enti centrali’ della Chiesa cattolica, e necessita non già di un dato unilaterale dello Stato italiano, come una pronuncia giudiziaria, bensì di un approccio pattizio, per evitare l’assai discutibile ingerenza dello Stato italiano in vicende di esclusiva pertinenza ecclesiale.

1. La recente pronuncia delle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione n. 12442/2022, nell’attribuire al giudice italiano la cognizione di una controversia insorta a seguito della mancata ammissione di uno studente al ciclo dottorale attivato alla PUL-Pontificia Università Lateranense, si colloca a pieno titolo nell’alveo di un indirizzo interpretativo fortemente incline alla progressiva erosione della categoria degli «enti centrali della Chiesa cattolica» (art. 11 del Trattato lateranense).

Tale orientamento ermeneutico è stato ampiamente avallato dalla giurisprudenza e ha contrassegnato il suo incedere negli ultimi anni; esso è interrelato, a monte, a una questione di primaria rilevanza, ossia la determinazione della sfera d’esercizio delle prerogative giurisdizionali dello Stato. Come noto, infatti, la giurisdizione secolare riguardo plurimi aspetti (rapporti giuslavoristici, previdenza sociale, imposizione fiscale ecc.) che hanno interessato enti direttamente afferenti alla Chiesa cattolica, e in particolare legati al suo governo e alla sua missione universale, è stato argomento che ha da tempo e profondamente interrogato tanto la dottrina quanto i giudici e che oggi assume connotati inediti. Per comprendere appieno i problemi posti dalla sentenza in commento, peraltro ricorsivi, e dunque già fatte emergere da acuti studiosi, è opportuno ripercorrere – seppur brevemente – i fatti oggetto della causa.

2. La vicenda prende le mosse dalla contestazione di un provvedimento, emesso dalla PUL, che respinge la domanda di ammissione al ciclo di dottorato in diritto civile di D.J.R.S. in ragione del mancato riconoscimento della validità del titolo di laurea, indispensabile per accedere al corso dottorale. Il ricorrente chiede dunque al Tar Lazio l’annullamento del provvedimento e il risarcimento per il danno patito. Il giudice amministrativo, con sentenza n. 12361/2020, dichiara la propria giurisdizione, poggiando le sue considerazioni sulla base dell’art. 16 della legge n. 222 del 20 maggio 1985: quindi in conformità all’impostazione dell’ordinanza della Cass. Sez. Un. n. 2154/2017 che – tentando di porre un punto fermo all’annosa questione della qualificazione giuridica delle Università pontificie – afferma risolutamente la non annoverabilità della PUL tra gli «enti centrali della Chiesa cattolica».

Considerazioni di segno opposto sono state successivamente svolte dal Consiglio di Stato, adito in sede d’appello. Il Supremo Consesso della giustizia amministrativa, infatti, con sentenza n. 3670/2021, declina la propria giurisdizione in virtù della Dichiarazione della Segreteria di Stato della Santa Sede, prot. n. 101.993/P /2019, che qualifica espressamente la PUL quale ente centrale della Chiesa cattolica: tale attestazione è dunque considerata bastante per disconoscere la cognizione del giudice italiano. In altre parole, la Corte apicale amministrativa, ravvisando nella PUL la natura di ente centrale, si discosta con nettezza dagli approdi precedentemente raggiunti dalla giurisprudenza della Cassazione.

Avverso quest’ultima sentenza D.J.R.S. proponeva ricorso in Cassazione per motivi attinenti al regolamento di giurisdizione. Il perno sul quale fa leva tutto il percorso logico-argomentativo dei giudici di legittimità s’innesta su un’interpretazione dell’art. 11 del Trattato fra l’Italia e la Santa Sede dell’11 febbraio 1929, reso esecutivo in Italia con legge n. 810 del 27 maggio 1929, secondo il cui tenore sono «esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato Italiano», gli «enti centrali della Chiesa». La pronuncia della Cassazione ricostruisce in modo compiuto l’evoluzione dell’approccio ermeneutico alla disposizione del Trattato cui decide di aderire.

Muovendo, infatti, da una concezione piuttosto circoscritta e limitante della categoria di «enti centrali della Chiesa» (Cass. Pen. n. 22516/2003; Cass. Pen., n. 41786/2015), nel corso del tempo il Giudice di legittimità ha parzialmente rivisto il proprio approccio (Cass., Sez. Un., n. 7022/2016; Cass., Sez. Un., n. 21541/2017), giungendo a riconoscere la copertura dell’immunità giurisdizionale alle attività di governo della Santa Sede, che fossero diretta espressione della sua sovranità: tuttavia l’immunità dispiegherebbe i suoi effetti solo in relazione a quella cerchia ristretta di organi che possano essere ricondotti agli «enti centrali della Chiesa», espressione concertata dalle Alte Parti contraenti, che si differenzia dai cosiddetti «enti gestiti direttamente dalla Santa Sede» (cfr. Cass. n. 21541/2017 cit.).

3. Il vero punctum dolens, dunque, riguarda l’identificazione della categoria concettuale degli enti centrali della Chiesa che viene sottoposta a una lettura restrittiva, rectius – secondo le parole della Corte – «moderatamente restrittiva», in quanto essa non potrebbe conoscere eccessive dilatazioni concettuali, a costo di violare la stessa norma di derivazione bilaterale. Secondo la giurisprudenza di legittimità, la prudente individuazione di tali enti, che – giova ribadirlo – sarebbero gli unici che godono dell’immunità, spetta in via esclusiva al giudice civile. Quest’ultimo assunto, che appare ormai consolidato perché confortato da costante giurisprudenza, suscita alcune riserve in punto di diritto.

In tal senso, stante l’ambigua e incerta definizione di «enti centrali della Chiesa» e in leale ottemperanza a quanto stabilito dall’art. 14 dell’Accordo di Villa Madama in caso di «difficoltà di interpretazione o di applicazione» delle norme pattizie, sarebbe forse opportuno attivarsi preventivamente, istituendo una commissione bilaterale deputata a sciogliere la norma controversa. Nulla, infatti, esclude che le Alte Parti contraenti possano addivenire a un accordo per chiarire il significato della categoria di «ente centrale», magari fornendo un elenco di tali enti, da aggiornare periodicamente, come accreditato da autorevole dottrina. Ciò non solo avrebbe un effetto deflattivo sul contenzioso, ma certamente salvaguarderebbe, insieme alla bilateralità prevista dalla nostra Costituzione, la sfera intangibile di reciproca autonomia tra ‘ordine’ dello Stato e ‘ordine’ della Chiesa, mettendo al riparo il primo da insidiose forme di neo-giurisdizionalismo.

Peraltro, nel caso in esame, la Corte si spinge oltre, affermando che «con riferimento all’accesso al ciclo di dottorato in questione, vertendosi […] in tema di istruzione, non può ritenersi che la giurisdizione italiana finirebbe con l’incidere sul potere pubblicistico sovrano relativo all’organizzazione ed all’esercizio delle potestà e funzioni istituzionali dell’Ente internazionale». In altre parole, anche volendo far ricadere la PUL sotto la categoria di ente centrale, gli effetti dell’immunità non si sarebbero comunque inverati in ragione del fatto che il provvedimento impugnato, qualificandosi come atto iure gestionis, non poteva essere ritenuto espressione della diretta sovranità del vertice della Chiesa cattolica. Per tale ordine di ragioni, considerati fondati i motivi del ricorso, si conclude per il riconoscimento della piena cognizione del giudice italiano.

4. L’epilogo appena enucleato desta perplessità che è necessario evidenziare, seppur sinteticamente. In primo luogo, circa la natura della PUL è da ricordare che essa costitutivamente, oltre a compartecipare attivamente al munus docendi Ecclesiae, è qualificata come Summi Pontifici Universitas ed è quindi legata alla suprema autorità della Chiesa da un particolare vincolo di soggezione. Ciò premesso, appare inconsueto che la PUL non sia riconosciuta tra gli enti centrali quando è chiaro che essa supporta, attraverso la sua attività scientifica e didattica, il titolare dell’ufficio petrino. Secondariamente, la scelta di rubricare il provvedimento impugnato come atto iure gestionis, diversamente dalle asserzioni apodittiche della Corte, appare quantomeno dubbia: si discute, infatti, di un provvedimento amministrativo connotato da un elevato gradiente di incisività, emesso nell’esercizio dell’autonomia riconosciuta a un ente strettamente legato all’autorità pontificia.

I rilievi appena illustrati non si risolvono in un mero sofisma da legulei ma, per converso, fanno affiorare latenti minacce per l’autonomia stessa della Santa Sede: ovvero, si mangia la torre per mettere sotto scacco il re.

Nico Tonti