foto: ACISTAMPA |
Probabilmente quando papa Francesco, al termine del cinquantunesimo Congresso eucaristico di Cebu (Filippine) annunciò in un videomessaggio che l’appuntamento successivo sarebbe stato a Budapest nel 2020, si era lontani dall’immaginare che esso avrebbe suscitato un interesse ormai inconsueto nei massmedia internazionali. Eppure è proprio avvenuto così: rinviato forzatamente di un
anno a causa della pandemia da Coronavirus, l’evento – svoltosi tra il 5 e il 12 settembre [2021, n.d.r.] - ha avuto una risonanza assai ampia in giornali e tv, tanto da essere a momenti anche sulle prime pagine e nei titoli d’apertura.ATTUALITA’ E
URGENZA DEL CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE
Sotto
l’aspetto pastorale certo il Congresso eucaristico, posto sotto il motto “Sono
in te tutte le mie sorgenti” (salmo 87) e con il titolo: “L’Eucaristia: fonte
della vita e della missione cristiana”, era di stringente attualità, legato a
un’urgenza che non si può più ignorare.. Come è noto, in buona parte del mondo
(escluse Asia e Africa), la partecipazione dei fedeli alla santa messa è da
decenni in calo costante. Da una parte la secolarizzazione, derivata dalla
società globale e connotata dalla diffusione capillare del relativismo, ha
comportato una mediamente forte diminuzione della frequenza alle celebrazioni
eucaristiche, soprattutto in Europa. Dove ci sono Paesi in cui meno del 5% dei
cattolici osserva il precetto festivo. Diciamo che l’indifferenza ha preso il
posto del fervore. D’altra parte la situazione creata dalla diffusione mondiale
del Coronavirus ha ridotto ulteriormente la partecipazione alla messa.
Oggettivamente in diversi Paesi le chiese sono state chiuse a lungo oppure
aperte ma non per le messe. E, alla riapertura, le prescrizioni statali di
contrasto alla pandemia, accolte per adesione o costrizione da tante chiese,
hanno fatto sì che – per prudenza – altri diradassero la partecipazione.
Inoltre, nei periodi di chiusura, dall’alto si è enfatizzato a volte troppo il
valore del seguire individualmente da casa la trasmissione della messa, tanto
che non pochi ne hanno dedotto – agendo di conseguenza – che la partecipazione
fisica alla messa festiva in fondo fosse un optional.
Difficile poi correre ai ripari, quando qualcuno si è disaffezionato a una
pratica consolidata di vita.
Ma c’è
almeno un altro motivo che ha determinato l’interesse dei media. L’evento si è
tenuto nella capitale ungherese, cioè di un Paese le cui politiche da un
decennio sono determinate (sostenute dal consenso della maggior parte degli
ungheresi) da Viktor Orbán, un politico cristiano (calvinista, con moglie
cattolica) che in molti a livello europeo suscita ammirazione, in altri (e in
particolar modo nelle istituzioni dell’Unione europea, nelle sinistre e nei
laicisti di ogni sfumatura) tanta ostilità. Il fatto è che Orbán e il suo
governo promuovono nei fatti (grazie all’approvazione di norme costituzionali e
di leggi applicative ad hoc )
l’identità nazionale indissolubilmente legata ai valori del cristianesimo,
specialmente incentivando il diritto alla vita e la famiglia fondata sul
matrimonio tra uomo e donna, tesa alla procreazione dei figli. Un vero pugno
nell’occhio per le élites continentali
‘progressiste’, ulteriormente incattivite per la recente approvazione da parte
del Parlamento ungherese di una legge che tra l’altro intende proteggere i
minori dalla propaganda lgbt. Aggiungiamoci la politica di Orbán di blocco
dell’immigrazione clandestina, considerata nociva per gli equilibri del Paese:
il governo ungherese preferisce aiutare concretamente chi ha bisogno (profughi,
rifugiati) in loco: ne è
testimonianza l’attività del segretariato di Stato per l’aiuto ai cristiani perseguitati (e non
solo), che – in collaborazione con le Chiese cristiane – con azioni mirate in
campo educativo, sanitario, esistenziale sostiene la permanenza in Medio
Oriente e anche in Africa (Nigeria) di chi ha perso tutto a causa della guerra.
Insomma: ce
n’è abbastanza perché i media internazionali guardassero con attenzione al
Congresso e in particolare alla giornata conclusiva, con la presenza di papa
Francesco, cioè di colui che è ritenuto uno dei maggiori avversari del
cristiano dichiarato Viktor Orban, a causa soprattutto delle visioni molto
differenti in materia di immigrazione (su vita e famiglia invece il papa pare
concordare nella sostanza, anche se nella forma lascia capire di divergere,
fedele a una sua strategia a volte difficile da decifrare). Del resto Jorge
Mario Bergoglio non ha mai nascosto una certa insofferenza verso il premier magiaro: basti pensare alla
sufficienza con cui l’ha trattato nella recente intervista alla spagnola Radio
Cope o anche nella conferenza-stampa in aereo di ritorno dalla Slovacchia verso
Roma.
L’annuncio
che il Papa sarebbe restato solo sette ore a Budapest, per poi trasferirsi in
Slovacchia (dove sarebbe restato tre giorni) ha comprensibilmente suscitato
tanti interrogativi. C’è chi sostiene che Jorge Mario Bergoglio ha rifiutato
non solo una visita pastorale in Ungheria, ma – per evitare l’impressione di
valorizzare troppo la sosta a Budapest -
addirittura il pernottamento del sabato sera nella capitale ungherese
(in tal caso avrebbe certamente guidato la processione del Santissimo
Sacramento - straordinaria per numero, fervore, luci e suoni – che si è snodata
per 4,5 km tra il Parlamento e Piazza degli Eroi). E c’è chi sostiene che la
visita pastorale corposa in Slovacchia sia stata voluta sempre per sminuire
l’importanza della sosta magiara.
Si deve
comunque osservare che non è abituale che un Papa presenzi alla chiusura di un
Congresso eucaristico internazionale. L’ultima volta capitò nel 2000, a Roma,
con Giovanni Paolo II, che chiuse l’evento. Nel 1964 e nel 1968 invece Paolo VI
fece brevi apparizioni (un saluto) a Bombay e a Bogotà. Che papa Francesco
abbia ceduto almeno alle insistenze ungheresi perché fosse presente al
Congresso di Budapest è già - a ben vedere – qualcosa di non così scontato. Un
risultato che premia almeno in parte il gran lavoro svolto dal cardinale Erdoe
e dalle due diplomazie coinvolte.
DAL
CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE DI BUDAPEST
Nati nel
1891 (si incominciò a Lille, l’ottavo fu a Gerusalemme - il primo con un Legato
pontificio inviato da Leone XIII - il sedicesimo a Roma con Pio X ), i
Congressi eucaristici internazionali si propongono di evidenziare il ruolo
dell’Eucaristia nella quotidianità cristiana. Nel 1938, in condizioni storicamente
difficili (poco dopo l’Anschluss dell’Austria
al Reich tedesco), il congresso fu organizzato a Budapest. L’allora legato
pontificio, il cardinale Eugenio Pacelli (poi papa Pio XII), così ne scrisse: “Nella meravigliosa città che giace sulle due
sponde del Danubio una folla incommensurabile proveniente da ogni parte del
mondo, ha celebrato solennemente davanti al divino Salvatore nascosto sotto i
colori del Sacramento attraverso la luce dei sacri riti, con i suoi maestosi
raduni, con la sua variegata ricchezza di discorsi, devozioni e canti, con una tale
manifestazione di fede e riverenza per il nostro Redentore che non abbiamo mai
visto in nessun’altra parte del mondo” . Sempre in quell’occasione ci fu un
altro partecipante d’eccezione: l’allora monsignor Giovanni Battista Montini
(poi papa Paolo VI), cui si deve un’altra pennellata d’ambiente: “Ieri sera
meravigliosa processione sul Danubio durata fin verso la mezzanotte, in mezzo a
fantastiche miriadi di luci e di canti, e a una folla raccolta e tranquilla”.
Eravamo in
un altro contesto storico, oggettivamente drammatico per l’incombente minaccia
nazista. Oggi ci confrontiamo con un’Europa secolarizzata, guidata da un’élite economico-finanziaria
ideologicamente indifferente e spesso anche ostile al fatto religioso: in ogni
caso vive come se Dio non esistesse. Anche l’Ungheria patisce i guasti del
processo di secolarizzazione. E tuttavia in vista del Congresso eucaristico e
nel suo svolgersi il cattolicesimo magiaro ha dato una prova forse inaspettata nelle
dimensioni di testimonianza fervida di amore per Cristo e per la Chiesa.
Il Congresso
è stato preparato capillarmente con cura
e passione – in tutti i suoi aspetti liturgici, pastorali, sociali -
dall’intero mondo ecclesiale per cinque anni. Un forte impulso è stato dato dal
sessantanovenne cardinale Peter Erdoe, un giurista raffinato, di autorità
riconosciuta (è stato per dieci anni – dal 2006 al 2016 – presidente del
Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa/CCEE e anche Relatore generale
nel primo Sinodo per la famiglia), in buoni rapporti con il governo ungherese..
Gli obiettivi del Congresso? Confermare pubblicamente – a testa alta - la fede,
per rafforzare l’identità cristiana, rinsaldare la solidarietà con i bisognosi
e la fratellanza ecumenica e interreligiosa. Rilevava lo stesso arcivescovo di
Esztergom-Budapest che “abbiamo bisogno
della luce della fede per sentire e approfondire la nostra fratellanza con
tutti i popoli e non solo nel bacino dei Carpazi. La professione della nostra
fede nell’Eucaristia deve essere coraggiosa, incoraggiante e gioiosa per tutta
la nostra società”.
Dopo un
Simposio teologico di tre giorni a Esztergom, il Congresso si è aperto domenica
5 settembre in piazza degli Eroi a Budapest, preceduto significativamente da un
pranzo con centinaia di poveri. 28mila i presenti, tra i quali il presidente
ungherese Janos Ader e la consorte (cattolica) del premier Viktor Orbán, 1200 bambini venuti per la Prima Comunione,
3300 allievi delle scuole cattoliche dell’arcidiocesi, un coro di quasi mille
cantori. A celebrare – dopo il saluto del cardinale Erdoe – l’odierno
presidente del CCEE, cardinale Angelo Bagnasco: “In quest’ora del tempo, le campane della Nazione e dell’Orbe suonano a
festa formando un coro che vuole abbracciare l’umanità intera (…) La nostra
voce è debole, ma fa eco a quella dei secoli ed è segnata dal sangue dei
martiri. A voi, genti che ascoltate, noi annunciamo che la nostra gioia è la
più grande, è Gesù! (…) Cari Fratelli e Sorelle, la Chiesa non può tacere, non
può lasciarsi ridurre al silenzio: essa deve dare al volto di ogni uomo lo
splendore del Cristo risuscitato”.
In piazza
domenica 5 settembre, insieme con diversi cardinali, patriarchi, vescovi
provenienti pure dal Medio Oriente o di rito greco-cattolico, anche il
metropolita ortodosso russo Hilarion. Molto significativa quest’ultima
presenza, cui si è affiancata per la conclusione del Congresso quella del
patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo. Ambedue le anime odierne
dell’ortodossia (che tra loro hanno rapporti assai complicati) loro) hanno dunque voluto testimoniare nelle
giornate di Budapest il valore dell’Eucaristia. Se Hilarion ha svolto il 6
settembre una relazione (in cui ha evidenziato come ortodossi e cattolici
condividano la fede nella presenza reale di Cristo in tale Sacramento),
Bartolomeo ha portato il suo saluto l’11 settembre davanti al Parlamento,
all’inizio della messa presieduta dal cardinal Erdoe: in tale occasione ha
auspicato con forza la riconciliazione tra la Chiesa cattolica e quella
ortodossa dopo quasi un millennio di separazione. La duplice presenza ortodossa
ha confermato come l’Ungheria con la sua Chiesa cattolica sia considerata ponte
ecumenico credibile tra Est e Ovest.
La settimana
congressuale è stata caratterizzata da messe quotidiane (la prima presieduta
dal quasi ottantenne arcivescovo Piero Marini, presidente del Comitato
pontificio per i Congressi eucaristici internazionali, che dopo Budapest ha
passato il testimone a padre Corrado Maggioni), preghiere comuni, relazioni,
accompagnate da mostre, concerti, tante occasioni di carità. Tra i relatori e i
testimoni, oltre al presidente ungherese Janos Ader (che ha parlato venerdì 10
settembre di tre sue esperienze personali di fede), anche cardinali come il
brasiliano Joăo Tempesta (in videoconferenza), il canadese del Québec Gérald
Lacroix (l’aspirazione alla pace non è un’utopia), il patriarca caldeo iracheno
Louis Raphael Sako (il dramma dei cristiani in Medio Oriente dura da anni e
l’Occidente in genere non ne è consapevole. Grazie però all’Ungheria per gli aiuti concreti), il birmano Charles
Maung Bo (nel Myanmar a febbraio c’è stato un golpe militare con grande sofferenza dei cattolici: solo la
pazienza può portare a un mondo di pace), il nigeriano John Onaiyekan (non si
può ricevere indegnamente l’Eucaristia), il coreano Andrea Yeom Soo-jung
(stiamo subendo una rivoluzione antropologica anti-cristiana), il ceco Dominik
Duka (i principi fondamentali della civiltà giudaico-cristiana sono ormai sostituiti
da altri, che nascondono marxismo, maoismo e anarchismo). Il già citato
cardinale Angelo Bagnasco (italiano, presidente del CCEE) e Jean-Claude
Höllerich (lussemburghese, presidente dei vescovi dell’Ue/Comece) hanno parlato
di evangelizzazione e di impegno sociale in Europa. Bagnasco ha esortato
l’Europa a riconciliarsi con la sua storia e ha difeso “il diritto di ogni
credente a partecipare al dibattito pubblico”; Höllerich ha respinto la pretesa
di escludere dall’Unione chi non accetta la rivoluzione antropologica (derivata
dal ’68) con l’ideologia gender e nel contempo ha criticato l’ Europa “chiusa,
paurosa, egoista” in materia di migrazioni.
Il cardinale Robert Sarah (così come l’8 settembre, nel giorno della
Natività di Maria il cardinale Michael Fitzgerald ) ha celebrato una santa
messa (nell’omelia ha sottolineato la necessità di tornare all’Eucaristia
contro l’idolatria materialistica dei nostri giorni). Altri cardinali
partecipanti? Josip Bozanic (croato) e Baltazar Enrique Porras Cardozo (venezuelano).
Presente anche il cardinale patriarca maronita libanese Béchara Boutros Raï,
che, in un’intervista al media cattolico
Magyar Kurír ha evidenziato
l’importanza della presenza al Congresso delle chiese orientali (tra l’altro
una quarantina di vescovi hanno celebrato una liturgia bizantina nella
cattedrale di Santo Stefano re). Ed è rimasto molto positivamente impressionato
dal fervore di fede del popolo ungherese. Il patriarca siriano melchita Youssef
Absi ha da parte sua presieduto la divina liturgia del 9 settembre, originata
dall’incontro della cinquantina di vescovi greco-cattolici d’Europa.
Un momento
fondamentale della settimana è stata la processione eucaristica con il
Santissimo della serata di sabato 5 settembre, con oltre 200mila partecipanti.
Sentiamo ancora il cardinale Erdoe, in un’intervista al già citato Magyar Kurír: “E’ stata un’esperienza fantastica, con una folla di centinaia di
migliaia di persone. La gente pregava, cantava, meditava. Non è stata una
passeggiata, una manifestazione, ma un evento veramente spirituale”.
DOMENICA 12
SETTEMBRE: ARRIVA IL PAPA…
Partito alle
sei di mattina da Roma – nel seguito in particolare i vertici della Segreteria
di Stato e dai cardinali Leonardo Sandri (Chiese orientali) e Miguel Angel
Ayuso Guixot (dialogo interreligioso) – papa Francesco è giunto a Budapest
prima delle otto e, accompagnato dal cardinale Pietro Parolin e
dall’arcivescovo Richard Gallagher - ha dapprima incontrato presso il Museo
delle Belle Arti il presidente Janos Ader, il primo ministro Viktor Orbán, il
vice-primo ministro Szolt Semjen. Nell’atteso vertice – durato quaranta minuti,
dieci più del consueto – non si è parlato di politica dell’immigrazione (le
diplomazie hanno ben lavorato), ma del ruolo della Chiesa nel Paese (9,7
milioni di abitanti, 61% di cattolici), di impegno per l’ambiente, di difesa e
promozione della famiglia. E’ stato soprattutto il presidente Ader a illustrare
i temi al Papa. In particolare, quando si è giunti a quello della famiglia,
sono stati presentati gli incisivi risultati già ottenuti grazie alle politiche
governative: in un decennio i matrimoni sono cresciuti del 30%, i divorzi
diminuiti del 25% così come gli aborti (del 30%), la natalità è in crescita
costante. Dopo che erano stati fatti presenti all’ospite i continui e feroci
attacchi di Bruxelles all’Ungheria in materia di famiglia (anche a causa della
recente legge di protezione dei minori, pure dalla propaganda lgbt), il Papa ha
reagito dicendo: “La famiglia è padre,
madre, figli. Punto!”. Il premier Viktor Orbán ha anche chiesto al
Papa di “non far perire il cristianesimo
in Ungheria”.
Successivamente
Francesco ha incontrato i vescovi ungheresi e a seguire i rappresentanti del
Consiglio ecumenico delle Chiese e di alcune comunità ebraiche. Con i vescovi
ha insistito sulla necessità di custodire le proprie radici religiose e nel
contempo di “guardare avanti e trovare
nuove vie per annunciare il Vangelo”.
Le nuove realtà multiculturali possono “spaventare”,
ma sono “una grande opportunità per
aprire il cuore al messaggio
evangelico”. Con i rappresentanti ecumenici e dell’ebraismo si è rivolto in
particolare a questi ultimi, evocando la minaccia dell’antisemitismo “che ancora serpeggia in Europa e altrove. E’
una miccia che va spenta”.
A Piazza
degli Eroi, davanti a circa 250mila persone (molte non pre-registrate) il Papa
ha poi presieduto la santa messa e la recita dell’Angelus. Di quest’ultimo va ricordato in primo luogo il richiamo
alla Croce, “ponte tra passato e futuro”:
“Il sentimento religioso è la linfa di
questa nazione, tanto attaccata alle sue radici. Ma la croce, piantata nel
terreno (…) innalza ed estende le sue braccia verso tutti”. Per la prima
volta poi papa Francesco ha citato tre espressioni in ungherese: “köszönöm” (grazie), “Isten éltessen” (auguri, nel senso di
Dio vi benedica), Isten, áldd meg a
magyart! (Dio benedici gli ungheresi!). L’accoglienza al Papa è stata
festosa e ha raggiunto l’apice quando Francesco ha utilizzato la lingua
ungherese.
IL PAPA IN
SLOVACCHIADA CIRILLO E METODIO AI ROM. E AL SIGNIFICATO DELLA CROCE
Perché il
Papa ha voluto visitare la Slovacchia e invece in Ungheria si è fermato solo
qualche ora a Budapest (come ha voluto sottolineare più volte)? Difficile dare
una risposta. C’è chi, come già ricordato, ha pensato a una sorta di dispetto
verso l’Ungheria di Orbán. C’è chi ha ventilato l’ipotesi che quel “Ma Budapest è a due ore di macchina da
Bratislava” (vedi conferenza-stampa in aereo di ritorno dall’Iraq)
suggerito da un “collaboratore” abbia
trovato spontaneamente consenziente il Papa. C’è chi sottolinea che la
Slovacchia è stata evangelizzata dai santi Cirillo e Metodio, quando ancora la
cristianità era indivisa: ottima l’occasione per perorare l’ecumenismo. C’è chi presume una marcata simpatia politica
per la nuova e giovane presidente della Slovacchia, l’ecologista di sinistra
Zuzana Caputová. C’è chi fa notare che il Papa in Slovacchia avrebbe potuto
battere sui suoi temi preferiti senza creare imbarazzi diplomatici. C’è chi
argomenta che il Papa, sensibile com’è alle grandi manifestazioni popolari di
pietà religiosa (di cui negli ultimi due anni è stato privato causa
Coronavirus), ha voluto prolungare la visita fino al 15 settembre, giorno del
pellegrinaggio nazionale a Saštín, alla Basilica della Madonna dei Sette
Dolori, patrona della Slovacchia.
C’è da
rilevare che le presenze slovacche sono state inferiori alle attese della
vigilia (in alcuni casi non di poco, ad esempio al santuario di Saštín). Può
essere dipeso dalla richiesta formulata in un primo tempo di un certificato di
doppia vaccinazione per poter partecipare alle messe e agli incontri papali;
allentate le certificazioni previste, i numeri sono cresciuti anche se in
misura non massiccia.
Gli incontri in Slovacchia (5,4 milioni di
abitanti, 73% cattolici) sono incominciati già il pomeriggio del 12 settembre
con quello ecumenico a Bratislava, presso la Nunziatura apostolica. Nel
discorso del Papa non poteva mancare un forte riferimento ai “santi fratelli evangelizzatori di Tessalonica”, Cirillo e Metodio, “testimoni di una cristianità ancora unita e
infuocata dall’ardore dell’annuncio”: “E’
difficile esigere un’Europa più fecondata dal Vangelo senza preoccuparsi del
fatto che non siamo ancora pienamente uniti tra noi nel continente e senza aver
cura gli uni degli altri”. E’
seguito poi una conversazione privata
con i gesuiti slovacchi.
Lunedì 13
settembre dapprima l’incontro - sempre a Bratislava - con le autorità, la
società civile e il corpo diplomatico. Anche qui il richiamo a Cirillo e
Metodio che “si riconoscevano di tutti e
cercavano la comunione con tutti:
slavi, greci e latini”. Poi l’incontro con vescovi, sacerdoti, religiosi,
seminaristi, catechisti nella cattedrale di San Martino: “Non abbiate timore di formare le persone a un rapporto maturo e libero
con Dio. Importante è questo rapporto. Questo forse ci darà l’impressione di
non controllare tutto, di perdere forza e autorità; ma la Chiesa di Cristo non vuole dominare le coscienze e occupare
gli spazi”. Nel pomeriggio una visita privata al Centro Betlemme delle
Missionarie della Carità, a seguire
l’incontro con la comunità ebraica: “Il
nome di Dio è stato disonorato: nella follia dell’odio, durante la seconda
guerra mondiale, più di centomila ebrei slovacchi furono uccisi. (…) Quanti
oppressori hanno dichiarato: ‘Dio è con noi’; ma erano loro a non essere con
Dio. (…) Anche oggi non mancano idoli vani e falsi che disonorano il nome
dell’Altissimo”.
Martedì 14
settembre la santa messa (“divina liturgia” bizantina) a Prešov. Nell’omelia
passaggi molto forti (e anche controversi) sul significato della Croce: “Come possiamo imparare a vedere la gloria
nella Croce? (…) Non si contano i crocifissi: al collo, in casa, in macchina,
in tasca. Ma non serve se non ci fermiamo a guarda il Crocifisso e non gli
apriamo il cuore (…) Non riduciamo la Croce a un oggetto di devozione, tanto
meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale”.
Dopo il pranzo a Košice, presso il Seminario maggiore San Carlo Borromeo,
l’incontro nel distretto cittadino di Lunik IX con i rom (vivono in oltre
quattromila in questa zona periferica) Accolto con applausi fragorosi e da
musica zigana il papa ha ascoltato dapprima tre testimonianze e poi nel suo
discorso ha sottolineato che “cari
fratelli e sorelle, troppe volte voi siete stati oggetto di preconcetti e di
giudizi impietosi, di stereotipi discriminatori, di parole e gesti diffamatori.
(…) Ma dove c’è cura della persona, dove c’è lavoro pastorale, dove c’è
pazienza e concretezza i frutti arrivano. (…) Ghettizzare le persone non
risolve nulla. Quando si alimenta la chiusura, prima o poi divampa la rabbia”.
Nel tardo pomeriggio il trasferimento allo stadio Lokomotiva di Košice per l’incontro con i giovani. Ai circa 30mila
presenti Francesco ha ricordato tra l’altro che “la vera originalità oggi, la vera rivoluzione, è ribellarsi alla
cultura del provvisorio (…) Non siamo qui per vivacchiare, ma per fare della
vita un’impresa”. Da notare, al termine e prima di tornare a Bratislava, il
saluto del Papa al novantasettenne cardinale Jozef Tomko (unico porporato
slovacco), oggi il più anziano del collegio cardinalizio.
Mercoledì 15
settembre il momento di preghiera privata con i vescovi e la santa messa
conclusiva presso il santuario nazionale di Saštín: “Davanti a Gesù non si può restare tiepidi, con ‘il piede in due scarpe’
(…) Non si tratta di essere ostili al mondo, ma di essere ‘segni di
contraddizione’ nel mondo. Cristiani che sanno mostrare, con la vita, la bellezza
del Vangelo. Che sono tessitori di dialogo laddove le posizioni si
irrigidiscono”.
LA
CONFERENZA-STAMPA IN AEREO
Poi il
ritorno a Roma, con la consueta conferenza-stampa in aereo. A proposito della
sosta a Budapest, papa Francesco ha prefigurato la possibilità tra qualche
tempo di una eventuale visita pastorale tra qualche tempo (“il prossimo anno o l’altro”) in Ungheria. Nella stessa risposta ha anche
constatato che “alcuni interessi, forse
non europei, cercano di usare l’Unione europea per le colonizzazioni
ideologiche e questo non va”. In un’altra risposta - sull’incontro con
Ader, Orbán e Sémjen - si è dilungato in particolari di cui si è già riferito.
A chi poi
gli ha chiesto che cosa ne pensasse della risoluzione votata nei giorni scorsi
da una chiara maggioranza dell’Europarlamento che invita a riconoscere
nell’intera Ue il cosiddetto “matrimonio omosessuale”, Jorge Mario Bergoglio ha
risposto evidenziando che il matrimonio è un sacramento e la Chiesa non il
potere di cambiarlo. Lo Stato, ha proseguito, ha il potere – come giusto, par
di capire - di “sostenere civilmente” le unioni omosessuali: l’esempio fatto è
quello dei Pacs francesi. Vien da
osservare che Francesco con tale esternazione (che fa seguito a una indubbia
oscillazione di valutazioni soprattutto a proposito di ‘unioni omosessuali’ )
si differenzia non poco da quanto detto e ribadito in più occasioni sugli
argomenti in questione da Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger (già in qualità di
prefetto della Dottrina della Fede), rinnegando anche le grandi manifestazioni
popolari spagnole, francesi e italiane degli anni scorsi. Joseph Ratzinger
motiva esemplarmente anche nel suo recentissimo libro “La vera Europa” (ed.
Cantagalli), la contrarietà profonda al cosiddetto “matrimonio omosessuale”: “Il concetto di ‘matrimonio omosessuale’ è in
contraddizione con tutte le culture dell’umanità che si sono succedute sino a
oggi (…) Mai è stata messa in dubbio la comunità basilare, il fatto che
l’esistenza dell’uomo – nel modo di maschio e femmina – è ordinata alla
procreazione, nonché il fatto che la comunità di maschio e femmina e l’apertura
alla trasmissione della vita determinano l’essenza di quello che è chiamato
matrimonio. (… ) Anche l’uomo possiede una ‘natura’ che gli è stata data, e il
violentarla o il negarla conduce all’autodistruzione. Proprio di questo si
tratta anche nel caso della creazione dell’uomo come maschio e femmina, che
viene ignorata nel postulato del ‘matrimonio omosessuale’ “. Parole chiare,
argomenti di peso che sono condivisi anche al di là del mondo cattolico, tra
coloro che non accettano che la natura umana possa essere violentata.
Così si è
conclusa una trasferta di papa Francesco molto attesa, ricca in ogni caso di
momenti di interesse non solo pastorale. Il Papa è apparso in buona forma
fisica, nonostante il pesante intervento chirurgico subito il 4 luglio scorso.
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