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lunedì 31 gennaio 2022

Magister. Nell’ortodossia è scisma tra Mosca e Costantinopoli. Ma Roma non sa con chi stare

Un'interessante analisi di Sandro Magister.
Luigi

13-1-22
Proprio mentre si rincorrono le voci sulla località e la data del tanto decantato nuovo incontro tra papa Francesco e il patriarca ortodosso di Mosca Kirill – ora pronosticato, tramontato il Kazakistan, nell’abbazia ungherese di Pannonhalma – i rapporti tra cattolicesimo e ortodossia sono in realtà alla paralisi.
A mettere in forte difficoltà Francesco è ciò che sta accadendo dentro il mondo ortodosso. Dove Kirill è in aperto conflitto, sul filo dello scisma, con due degli storici patriarcati d’Oriente, quelli di Costantinopoli e di Alessandria, il primo particolarmente vicino a Roma.
A far infuriare Kirill fino al punto di rompere la comunione eucaristica con il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo è stata la decisione di quest’ultimo, formalizzata il 6 gennaio 2019, di riconoscere l’autonomia da Mosca della neonata Chiesa ortodossa di Ucraina, retta dal metropolita Epifanio.

Il patriarcato di Mosca condannò immediatamente come illegittimo questo riconoscimento. Mosca ritiene la Chiesa ucraina come parte di sé, da sempre, e in effetti una porzione cospicua dell’ortodossia dell’Ucraina, con metropolita Onufrio, continua ad essere sottomessa al patriarcato di Mosca. Mentre al contrario Bartolomeo, in quanto patriarca ecumenico e “primus inter partes” nell’insieme del mondo ortodosso, ritiene di avere l’autorità di dar vita a delle Chiese “autocefale”, che si autogovernano, e opera di conseguenza.

Se a questo si aggiungono lo stato di guerra che intercorre tra la Russia e l’Ucraina e il legame molto stretto tra Kirill e il presidente russo Vladimir Putin, si può capire quanto sia radicale lo scontro tra i due patriarcati, che in definitiva consiste nel rifiuto del patriarca di Mosca di riconoscere al patriarca ecumenico di Costantinopoli quell’autorità primaziale che questi rivendica.

Forte del suo peso numerico e politico nel campo dell’ortodossia, Mosca diffidò subito tutte le altre Chiese ortodosse dal riconoscere la nuova Chiesa ortodossa ucraina. Solo le Chiese di Grecia e di Cipro, le più legate a Costantinopoli, lo fecero. Ma ora che anche il patriarca greco-ortodosso di Alessandria “e di tutta l’Africa” Teodoro II ha fatto lo stesso, Mosca ha reagito come nessuno si aspettava.

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La prima avvisaglia risale al dicembre del 2019, quando il patriarcato di Mosca sottrasse al patriarcato di Alessandria e legò a sé sei parrocchie africane, affidate a missionari russi.

Nell’ortodossia, ogni patriarcato ha autorità su un proprio territorio canonico, nel quale nessun altro patriarcato può interferire, e l’Africa appartiene per antica tradizione al patriarcato di Alessandria.

Ma a Mosca hanno rotto proprio con questa tradizione, invadendo il campo altrui, cioè facendo ad altri ciò che non hanno mai tollerato per sé. Lo scorso 29 dicembre il sinodo del patriarcato russo ha istituito un proprio esarcato per l’Africa, con due diocesi: la prima con sede al Cairo e con giurisdizione sulla parte Nord del continente, la seconda con sede in Sudafrica, per la parte meridionale. Alle due diocesi sono stati associati 102 preti, passati dal patriarcato di Alessandria all’obbedienza di Mosca.

Il nuovo esarcato ha la sua sede centrale non in Africa ma a Mosca ed è stato affidato all’arcivescovo Leonida di Vladikavkaz, col titolo di esarca d’Africa.

Da Alessandria la reazione è stata immediata. Il 30 dicembre il patriarca Teodoro II ha espresso il suo “più profondo dolore per la decisione sinodale del patriarcato russo di istituire un esarcato nei territori canonici della giurisdizione dell’antica Chiesa di Alessandria”. E ha annunciato che l’affronto sarebbe stato discusso “in una vicina sessione del sinodo del patriarcato” nel quale “saranno prese decisioni importanti”: cioè nella sessione già convocata per il 10 gennaio per procedere anche alla nomina del successore del defunto metropolita di Kampala e di tutta l’Uganda Jonah Lwanga, personalità di alta levatura e di esemplare spiritualità, colonna africana del patriarcato alessandrino, nel quale invece non godono di buona fama i vescovi e il clero greco.

In una dichiarazione emessa il 12 gennaio al termine della sessione sinodale, il patriarcato di Alessandria ha denunciato “la pestilenziale confusione” creata dalla Chiesa russa tra “i figli in Cristo che noi abbiamo generato”, i fedeli africani, e ha annunciato “la fedele e immediata applicazione di sanzioni ecclesiastiche, prescritte dai divini e santi canoni, per i trasgressori”, senza però esplicitare se tali sanzioni comprenderanno la rottura della comunione eucaristica con la Chiesa russa.

C’è chi ritiene che il patriarcato di Mosca abbia sfruttato gli attriti interni al patriarcato di Alessandria per invaderne il campo, unendo a sé una parte del clero africano scontento. Ma le mire della Chiesa ortodossa russa non si restringono all’Africa, vogliono colpire anche altrove e più in alto. In un’intervista all’agenzia Novosti, il potente metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca, ha avvertito che anche in Turchia la Chiesa russa potrebbe fare quello che sta facendo in Africa, perché “non possiamo rifiutare la cura pastorale ai fedeli ortodossi in una situazione in cui il patriarcato di Costantinopoli si è schierato dalla parte dello scisma”.

Non è quindi da escludere che Mosca proceda presto a impiantare proprie parrocchie anche in Turchia, cioè nel territorio canonico del patriarcato di Costantinopoli. Ma c’è di più. Nella stessa intervista sopra citata, il metropolita Hilarion ha dichiarato che solo “la visione conciliare della Chiesa può sanare lo scisma nel mondo della comunità ortodossa”. Parole sibilline per invocare la convocazione di un summit tra i capi delle Chiese ortodosse, del tipo tenuto una prima volta ad Amman, in Giordania, il 26 febbraio del 2020.

In realtà ad Amman si riunirono solo i capi di poche Chiese, quelle più vicine al patriarcato di Mosca. E fu Kirill a dettare la linea.

Kirill evocò lo scisma del 1054 tra Costantinopoli e Roma per subito aggiungere che, oggi, dopo un millennio, l’ortodossia è di nuovo di fronte a uno scisma che ha anch’esso la sua radice in una diversa visione del “primato”.

Senza mai nominare il patriarca ecumenico di Costantinopoli ma riferendosi a lui in modo trasparente, Kirill additò proprio in Bartolomeo il colpevole del nuovo scisma, perché avvalendosi del suo titolo di “primus inter pares” pretende di decidere da solo per tutti, senza accettare “un sistema di controllo conciliare sugli atti della sede primaziale”.

Ad Amman, Kirill enunciò sei punti come materia di discussione ai quali dedicare un futuro summit, tutti e sei mirati a ridimensionare i poteri del patriarca ecumenico di Costantinopoli.

Ed è proprio questo il traguardo a cui il patriarcato dei Mosca vuole arrivare. Dopo aver fatto fallire con la sua assenza il concilio panortodosso convocato da Bartolomeo a Creta nel 2016, vanificando sessant’anni di faticosa preparazione, Kirill vuole ora governare lui il futuro summit finalizzato a disarmare di ogni autorità primaziale il rivale “scismatico” di Costantinopoli.

Il primo incontro tra papa Francesco e Kirill (vedi foto) avvenne all’aeroporto dell’Avana il 12 febbraio 2016, quattro mesi prima del fallito concilio panortodosso. Il secondo incontro tra i due, se e quando avverrà, potrebbe preludere a una definitiva rottura nel campo dell’ortodossia.

Ma già oggi, tra Mosca e Costantinopoli, per Roma non è facile trovare la strada giusta.

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Per una ricostruzione più precisa e documentata dello scontro tra i patriarcati di Mosca, Alessandria e Costantinopoli, a firma dello studioso dell’ortodossia Peter Anderson, di Seattle:




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POST SCRIPTUM – Il 13 gennaio il patriarca di Alessandria Teodoro II ha pubblicato un’enciclica nella quale rivendica fin dalle origini l’appartenenza canonica di tutta l’Africa al suo patriarcato e denuncia come “anticanonica” e “antiecclesiastica” l’intrusione del patriarcato di Mosca sia in Ucraina sia in Africa, nonché il suo rifiuto della legittima autorità primaziale del patriarca ecumenico di Costantinopoli: