Rilancio dal blog Rorate Caeli un commento al nuovo Motu Proprio Traditionis Custodes fatto da un esperto di diritto canonico sotto pseudonimo. La traduzione è a mia cura. [di S. Paciolla, n.d.r.]
di padre Pierre Laliberté, J.C.L.*
Principi
Il motu proprio “Traditionis Custodes” è stato emesso da Papa Francesco il 16 luglio 2021, insieme ad una lettera di accompagnamento.
Essendo un decreto restrittivo, questo motu proprio di Papa Francesco deve essere interpretato rigorosamente, in accordo con la massima giuridica Regula Juris 15 (odiosa restringenda, favorabilia amplificanda). È interessante notare che non c’è nemmeno una vacatio legis nel documento.
Papa Francesco indica nel primo paragrafo che i vescovi costituiscono il principio di unità delle chiese particolari e le governano attraverso l’annuncio del Vangelo. Poiché il fine specificato del documento è la “costante ricerca della comunione ecclesiale”, sembrerebbe anche che ermeneuticamente, questo documento dovrebbe essere interpretato in modo da favorire realmente la comunione ecclesiastica tra i fedeli, i sacerdoti e i vescovi, e non promuovere sentimenti negativi e malumori tra qualsiasi membro dei fedeli cristiani che sono attaccati alle forme liturgiche tradizionali.
Vale la pena di indicare su cosa questo motu proprio non pone restrizioni. Non viene fatta alcuna menzione del Breviarium Romanum, del Pontificale Romanum e del Rituale Romanum preconciliari. Non viene fatta alcuna abrogazione esplicita di alcun documento degno di nota riguardante il Messale Romano tradizionale, e tale abrogazione non dovrebbe quindi essere implicita. Il Messale tradizionale rimane, come è sempre stato, mai abrogato. I diritti stabiliti dal Quo Primum, dalla tradizione teologica e liturgica dei riti occidentali e dalla consuetudine immemorabile rimangono intatti. Non si fa menzione dei riti tradizionali delle varie comunità religiose (domenicane, carmelitane, praemonstratensi, ecc.) né di quelli delle antiche sedi (ambrosiana, lionese, ecc.). Non c’è alcuna indicazione che il diritto di un sacerdote a celebrare privatamente secondo il messale del 1962 sia in qualche modo violato.
Quando viene letto in raffronto con l’ampia concessione di diritti concessi dal Summorum Pontificum e chiariti e ampliati dall’Universae Ecclesiae, quando non c’è alcuna revoca espressa di questi diritti indicati da Papa Benedetto XVI, si deve concludere canonicamente che essi esistono ancora.
C’è una grave mancanza di chiarezza in questo documento che questa breve analisi cercherà di affrontare, ed è evidente che le sue ambiguità saranno, purtroppo, sfruttate da coloro che non hanno un amore genuino per la Chiesa, il suo popolo fedele e la sua eredità.
Analisi documentaria
L’articolo 1, parlando dei libri liturgici promulgati dai santi Paolo VI e Giovanni Paolo II, indica che essi sono “l’espressione unica della lex orandi del Rito Romano”. In assenza di qualsiasi indicazione contraria, si deve concludere che lo status dei libri liturgici della Forma Straordinaria rimane intatto.
L’articolo 2 riconosce il vescovo diocesano come “moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica della Chiesa particolare”. Questo è vero ed è sempre stato così. Questo articolo riconosce semplicemente che il vescovo regola la vita liturgica generale della diocesi, che comprende anche l’uso del Missale Romanum preconciliare, e di autorizzare il suo uso, proprio come un vescovo autorizzerebbe il diritto di qualsiasi sacerdote a celebrare la liturgia.
Nel considerare l’articolo 3, vale la pena notare che le disposizioni di questo articolo si riferiscono al “Messale antecedente alla riforma del 1970”. Strettamente inteso, il Messale antecedente alla riforma del 1970 è l’editio typica del 1965 con le modifiche di Tres abhinc annos del 4 maggio 1967. Questo non è il Messale del 1962. Per quanto ne sa questo autore, il messale del 1965 non è usato quasi mai.
L’articolo 3, numero 1 afferma che “questi gruppi non negano la validità e la legittimità della riforma liturgica dettata dal Concilio Vaticano II e dal Magistero dei Sommi Pontefici”. Questo non dovrebbe costituire un problema, poiché il principio fondamentale della riforma liturgica, antecedente a qualsiasi cambiamento, come indicato nella Sacrosanctum Concilium 4, rimane che “in fedele obbedienza alla tradizione, il sacro Concilio dichiara che la santa Madre Chiesa ritiene che tutti i riti legittimamente riconosciuti siano di uguale diritto e dignità; che vuole conservarli in futuro e favorirli in ogni modo.”
L’articolo 3, numero 2, nota che il vescovo della diocesi deve designare uno o più luoghi dove i fedeli aderenti a questi gruppi [che celebrano secondo il Messale antecedente alla riforma del 1970] possano riunirsi per la celebrazione eucaristica, non svolgendosi nelle chiese parrocchiali e non erigendo nuove parrocchie personali. Questo rimane poco chiaro dal punto di vista giuridico, in quanto potrebbe essere semplicemente sottinteso come una restrizione posta all’editio typica del 1965. Mentre il testo indica che questi gruppi possono riunirsi “non nelle chiese parrocchiali e senza l’erezione di nuove parrocchie personali”, rimane un certo numero di altri luoghi dove tali celebrazioni possono avere luogo.
L’articolo 3, numero 3 indica che il vescovo può stabilire i giorni in cui sono permesse le celebrazioni eucaristiche secondo il Messale del 1962. Non vi è alcuna indicazione che il diritto di un sacerdote a farlo sia violato. Anche il vescovo può fare una tale designazione. E come avviene in quasi tutte le comunità in cui si celebra la Forma Straordinaria, le letture sono tipicamente proclamate in volgare secondo le disposizioni stabilite nella Universae Ecclesiae 26: “Come previsto dall’articolo 6 del Motu Proprio Summorum Pontificum, le letture della Santa Messa del Messale del 1962 possono essere proclamate o solo in lingua latina, o in latino seguito dal testo in vernacolo, nelle Messe minori, solo in vernacolo”. Il numero 4 indica che dovrebbe essere nominato un sacerdote “adatto a questa responsabilità”, e fornisce esempi delle caratteristiche positive che dovrebbero essere insite in un tale sacerdote.
L’articolo 3, numeri 5 e 6 descrivono come il vescovo deve guidare positivamente la crescita di tali comunità e parrocchie, cioè assicurare che siano “efficaci per la loro crescita spirituale” e “determinare se mantenerle o meno”. Naturalmente, l’accento qui è sul positivo: i vescovi dovrebbero incoraggiare l’efficacia della crescita di tali comunità e parrocchie. La sottosezione seguente nota che non c’è anche un severo divieto per i vescovi di autorizzare la costituzione di nuovi gruppi, ma semplicemente che “avrà cura” a non autorizzare la loro costituzione.
L’articolo 4 stabilisce una distinzione tra coloro che sono stati ordinati dopo il 16 luglio 2021 e che “dovrebbero” presentare una richiesta al vescovo diocesano, che consulterà la Sede Apostolica, e quelli ordinati in precedenza. Non c’è alcuna indicazione che questi sacerdoti appena ordinati debbano far così, e nessuna indicazione delle sanzioni a cui sarebbero soggetti se non lo facessero. Questa è una dichiarazione esortativa, non obbligatoria. Allo stesso modo, quelli ordinati prima del 16 luglio 2021 sono anche incoraggiati nell’articolo 5 a richiedere al vescovo diocesano la facoltà di continuare a celebrare secondo il Messale tradizionale. Di nuovo, questi due (2) articoli dovrebbero essere letti in un modo che, in accordo con gli scopi espressi del presente motu proprio, favoriscano la crescita positiva e la comprensione nella comunione tra i sacerdoti e i loro vescovi.
L’articolo 6 afferma che gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica precedentemente sotto la giurisdizione della Pontificia Commissione Ecclesia Dei sono ora sotto la giurisdizione della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, e l’articolo 6 afferma la competenza della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, così come la suddetta Congregazione, sull’osservanza di queste disposizioni.
Mentre l’articolo finale di questo motu proprio appare piuttosto ampio nella sua abrogazione di “norme, istruzioni, permessi e consuetudini precedenti che non sono conformi alle disposizioni del presente Motu Proprio”, va ribadito che le disposizioni di questo motu proprio sono restrizioni che richiedono una stretta interpretazione.
*Pseudonimo di un sacerdote e esperto di diritto canonico della Chiesa latina
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