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lunedì 26 luglio 2021

Paix Liturgique France: Andrea Grillo uno degli ideatori della soppressione del Summorum Pontificum. #traditioniscustodes #summorumpontificum

Pubblichiamo l'articolo di Paix liturgique france (vedi QUI originale) nella traduzione del nostro MS.

Foto dal profilo facebook.

Claudio

ANDREA GRILLO, UNO DEGLI IDEATORI DELLA SOPPRESSIONE DEL SUMMORUM PONTIFICUM

 

INDAGINE SUI NEMICI DELLA PACE NELLA CHIESA

 

Nella nostra lettera 805 del 28 giugno 2021, abbiamo evocato l'offensiva condotta contro il Summorum Pontificum da un gruppo di pressione che opera all'interno della Curia e dell'episcopato italiano, a cui stava dando munizioni un intellettuale impegnato, Andrea Grillo, professore di liturgia all'Università romana di Sant'Anselmo. Abbiamo citato un importante articolo di questo autore, "Il peccato dell'Ecclesia Dei si chiama Summorum Pontificum" (http://www.cittadellaeditrice.com/munera/il-peccato-dellecclesia-dei-si-chiama-summorum-pontificum/), che abbiamo pensato fosse utile riprodurre, poiché getta luce sui motivi di coloro che stanno cercando oggi di distruggere, in una o più tappe, lo spirito e la lettera del motu proprio Summorum Pontificum.

 

Chi è Andrea Grillo?

 

Questo laico sessantenne, sposato padre di due figli, con un dottorato in legge all'Università di Genova e un dottorato in teologia all'Istituto di Liturgia di Padova, molto in sintonia con il mondo episcopale italiano progressista, ha fatto parte della Commissione della Cei incaricata di tradurre e adattare il nuovo rito per il sacramento del matrimonio. È stato anche molto attivo nel sostenere il cambiamento della morale familiare avvenuto durante il Sinodo sulla famiglia e con l'esortazione Amoris laetitia (la sua trovata è che si possono ottenere molte aperture se si fa attenzione a distinguere tra matrimonio e famiglia…).

 

È professore di teologia sacramentale presso la Pontificia Università di Sant'Anselmo, situata sull'Aventino, e docente di teologia presso l'Istituto di Liturgia Pastorale di Padova e presso l'Istituto Teologico di Ancona. Nel piccolo ed estremamente bugniniano mondo dell'insegnamento liturgico in Italia, è una personalità forte (è vicepresidente dell'Associazione degli insegnanti di liturgia), anche se ha fama di intellettuale un po' ripetitivo. Il suo blog, Come se non, è ospitato da Munera, «Giornale Europeo della Cultura»: Andrea Grillo (cittadellaeditrice.com). Si dice che sia ascoltato dal Papa.

 

Un articolo-programma

 

L'articolo che qui riproduciamo, del 21 gennaio 2019, è molto militante, come tutti quelli di Grillo, e commenta la soppressione della Commissione Ecclesia Dei, avvenuta pochi giorni prima, il 17 gennaio 2019, per assorbimento nella Congregazione per la Dottrina della Fede. Vi sviluppa un tema che è stato martellato nella Curia e nell'episcopato italiano dopo l'elezione di Papa Francesco, quello dello scandalo rappresentato da questa Commissione: avrebbe protetto l'esistenza di un mondo liturgico e dottrinale parallelo alla Chiesa rinnovata dal Concilio.

 

Ma, a differenza degli ecclesiastici che non hanno osato attaccare direttamente l'opera di Benedetto XVI, Grillo ha fatto un attacco frontale al Summorum Pontificum. Un attacco che poi ha dato frutto e ha avuto successo sfociando nei progetti attualmente sul tavolo.

 

Nel merito, Grillo sottolinea quella che è la forza e la debolezza del Summorum Pontificum, cioè la sua affermazione che due forme rituali (basate su due stati dottrinali notoriamente eterogenei) erano due espressioni di una identica lex orandi. Di conseguenza, la comunione ecclesiale, nota Grillo, non è più basata su un'unica espressione della fede cattolica vissuta attraverso la liturgia.

 

In un certo senso, Grillo ha ragione. È stata anche la stessa scommessa di Benedetto XVI: da un lato, con questo compromesso, assicurava la pace della Chiesa; dall'altro, sperava che alla lunga la coesistenza di due riti successivi, descritti come "forme" parallele, avrebbe contribuito a collegare il nuovo rito alla tradizione della Chiesa attraverso un arricchimento reciproco (una punta di novità nella forma tradizionale, prefazi, feste; una massiccia infusione di tradizione nella nuova forma, significato della celebrazione, comunione, ecc.). Quanto al secondo punto, Benedetto XVI è stato chiaramente irenico. Quanto al primo - la pacificazione - aveva ottenuto un risultato evidente.

 

È proprio questa pacificazione che Grillo e i suoi amici non sopportano, perché permette alla liturgia pre-Vaticano II di vivere e prosperare, modestamente in termini assoluti, ma molto sensibilmente da un punto di vista relativo, a causa del progressivo crollo nel nulla del mondo "ordinario".

 

Da qui la sua semplice idea disciplinare (Grillo è un giurista!): ridurre l'eventuale concessione del rito antico, a seconda delle circostanze, a una tolleranza messa nelle mani dei vescovi (i quali vescovi dovranno verificare che i fruitori della tolleranza non mettano in discussione il Vaticano II). È un tocco geniale, bisogna dirlo: il Summorum Pontificum sarà così assassinato sinodalmente!

 

E adesso…?

 

A Roma, però, e soprattutto sotto questo pontificato atipico, non si decide mai nulla prima della pubblicazione di una nomina o della promulgazione di un provvedimento. Fortemente spinta dalla Segreteria di Stato, l'uscita di questo Motu Proprio "anti-Benedetto XVI" sarebbe stata rallentata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Inoltre, come abbiamo detto nella nostra lettera precedente, l'erezione di una parrocchia personale per la Forma Straordinaria da parte dell'arcivescovo di Ferrara, 15 giorni dopo l'annuncio da parte del Papa del suo provvedimento, suggerisce che non tutti i prelati italiani, anche quelli considerati progressisti, siano d'accordo con l’attacco al Summorum Pontificum, che riaccenderà la guerra liturgica. In conclusione, crediamo che se questo testo dovesse vedere la luce [il presente testo, datato 15.7.2021, è anteriore di un giorno alla pubblicazione di Traditionis custodes - NdT], la sua portata potrebbe essere limitata da una sorta di "non accoglienza" da parte dei vescovi amici della Pace e della Carità (cioè non solo dei "giuristi") e soprattutto dalla massa dei fedeli tradizionali che, come abbiamo ricordato in una lettera precedente, oggi non sono più disposti a sottomettersi a decisioni inique.

 

Il peccato dell’Ecclesia Dei si chiama Summorum Pontificum

di Andrea Grillo

 

Con la soppressione della Commissione Ecclesia Dei, la Chiesa cattolica ha rimosso un elemento di scandalo all’interno della Curia romana. Tuttavia, se guardiamo con attenzione alla storia degli ultimi 12 anni, vediamo che lo scandalo era dovuto alla citata Commissione solo in quanto “strumento”, ma il cuore della questione e il principio della distorsione era costituito dal “Motu proprio” Summorum pontificum, che ha introdotto un parallelismo di forme rituali all’interno della vita della Chiesa, con la pretesa di non toccarne la dottrina e di non minare la riforma liturgica. Le parole con cui viene motivata la soppressione della Commissione chiariscono bene un dato sul quale vorrei soffermarmi: ossia che le questioni di cui la Commissione avrebbe dovuto occuparsi, e che ora le sono state sottratte, non erano di carattere disciplinare, ma di carattere dottrinale. Questo, a mio avviso, determina la esigenza di riconsiderare con urgenza la disciplina distorta e contraddittoria introdotta nel 2007 da Summorum Pontificum.

 

Una doppia ferita

 

Con quel documento, infatti, si ripristinava l’uso del Messale di Giovanni XXIII (1962), come “forma straordinaria” del rito romano. Questa ipotesi, dopo 12 anni, appare viziata da due errori gravi, sia di carattere dottrinale, sia di carattere giuridico.

 

Sul piano dottrinale, era chiaro, già 12 anni fa, che il tentativo di separare la “forma rituale” dalla Riforma liturgica e dalla Chiesa conciliare era votato al fallimento. L’azzardo voluto da papa Benedetto XVI non avrebbe né avvicinato le posizioni dei lefebvriani, né assicurato la fedeltà dei cattolici tradizionalisti. E dopo 12 anni abbiamo potuto costatare proprio questo esito. Ed è giusto riconoscere che la causa di tutto questo non è tanto la gestione della Commissione Ecclesia Dei – che pure aveva assunto il ruolo di testa di ponte tradizionalista nel cuore della Curia romana – quanto la normativa distorta e contraddittoria di Summorum Pontificum che, di fatto, rende superflua la riforma liturgica per coloro che aderiscono al Vetus Ordo, ossia:

 

- non riconosce il dettato di SC sulla necessità di riforma dell’Ordo Missae, permettendo di celebrare come se il Concilio non ci fosse mai stato;

 

- scavalca la autorità episcopale in materia liturgica, rendendo irrilevante il discernimento “in loco” e sostituendolo con quello della curia romana;

 

- contraddice la ecclesiologia conciliare, perpetuando una logica clericale e priva di partecipazione attiva.

 

L’adagio lex orandi lex credendi

 

In secondo luogo, Summorum Pontificum, introducendo una “forma straordinaria” dello stesso rito romano, capovolgeva la relazione tra dottrina e liturgia, ipotizzando che la stessa “dottrina ecclesiale” potesse esprimersi in forme rituali di cui una era la correzione dell’altra. In tal modo presumeva di far dipendere la identità cattolica da una “definizione astratta”, che risultava indifferente rispetto alla forma rituale e che poteva quindi esprimersi indifferentemente nel NO o nel VO. Ora dobbiamo riconoscere, anche in base a questo nuovo Motu Proprio del 19 gennaio 2018, che vi è in tutto questo una questione dottrinale decisiva, e che non può essere disattesa.

 

La pretesa che diverse comunità cattoliche possano essere fedeli al Concilio Vaticano II e celebrare la liturgia secondo il VO non può più essere risolta né con una decisione universale come Summorum Pontificum, né attraverso il discernimento interessato di una Commissione come Ecclesia Dei. Se si ritiene che una comunità possa, per ragioni contingenti, far uso di forme rituali diverse dall’unico rito romano vigente, questa decisione deve essere presa dal Vescovo locale competente, che può eventualmente concedere un “indulto”.

 

 La soluzione “universale”, introdotta con una forzatura dottrinale e giuridica da Summorum Pontificum, genera una chiesa non “universa”, ma “introversa” e contraddice gravemente le decisioni del Concilio Vaticano II, che ha chiesto esplicitamente la riforma di quel rito che Summorum Pontificum vorrebbe rendere universalmente accessibile.

 

Questo è il vero nodo della questione. Qui sta il peccato che ha portato alla soppressione di Ecclesia Dei. E che dovrà condurre ad una ridefinizione della disciplina, che restituisca alla questione dottrinale la sua centralità e ai vescovi diocesani la competenza per ogni decisione che faccia eccezione alla vigenza di un’unica forma del rito romano, così come voluta dal Concilio Vaticano II e dalla Riforma liturgica ad esso successiva, che deve essere riconosciuta “irreversibile” tanto sul piano dottrinale quanto sul piano disciplinare.