L’ultimo saluto a don Tabolacci, parroco stroncato dal Covid
Un pastore ospitale, gioviale e assiduamente attento ai fedeli.
È il ritratto di don Alfonso Tabolacci, parroco di San Giovanni in Laterano, venuto a mancare lo scorso 7 maggio, a causa del coronavirus, all’età di 51 anni.
Nella mattina di lunedì 10 maggio, proprio nella basilica di San Giovanni in Laterano, i funerali del sacerdote sono stati presieduti dal cardinale vicario Angelo De Donatis, che ha voluto sottolineare l’immenso impegno di un sacerdote «costantemente dedito al prossimo, tanto da non sottrarsi al suo ministero neanche davanti ai rischi del virus», che lo fatto ammalare dopo averlo contagiato proprio nel portare l’Eucarestia a casa di un’anziana malata.
«Lo Spirito, per oltre 23 anni di sacerdozio – ha sottolineato il cardinale – ha accompagnato don Alfonso nel suo cammino di pastore vicino alle anime e ai suoi parrocchiani».
De Donatis ha ricordato «gli ambienti molto differenti in cui don Alfonso ha vissuto, in contesti diversi anche dalla sua stessa personalità». Già vicario parrocchiale della parrocchia Santi Fabiano e Venanzio dal 2011 al 2013, infatti, don Tabolacci era stato anche viceparroco anche a San Tommaso d’Aquino, dal 1998 al 2007, e a Santa Maria Stella Maris, dal 2007 al 2011. «Ovunque – ha affermato il cardinale durante l’omelia – è entrato nel cuore delle persone con la sua innata spontaneità e la sua generosità. Si trovava, infatti, subito in un clima di intimità con chi aveva davanti».
Don Tabolacci, romano, ordinato sacerdote a San Pietro nel 1998, portava sempre con sé un particolare motto, ripreso dalla lettera di Paolo ai Filippesi: «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13). «Questa frase lo ha accompagnato per tutta la vita e il Signore – ha ricordato De Donatis – gli ha dato la possibilità di sperimentare tanti momenti diversi e di riuscire in ciò che faceva, anche se spesso si sentiva inadeguato o piccolo davanti alle sfide». Ciò che gli ha dato coraggio è stata «la Parola, come anche negli ultimi giorni di sofferenza per la malattia».
Un uomo generoso e cordiale, ma anche grato e accogliente. «Conservava sempre un’immensa gratitudine per ciò che aveva e per le grazie che il Signore gli aveva donato. Mai una lamentela – ha detto De Donatis – e sempre propositivo nello scoprire, in ogni occasione, un lato positivo». Don Tabolacci aveva anche una «sana curiosità» per ciò che lo circondava, «senza mai scadere nel lusso o nella mondanità».Per quanto riguarda il suo impegno nelle parrocchie, invece, «l’accoglienza era il suo tratto distintivo. Ascoltava e prestava attenzione a tutti, anche a chi entrava in chiesa solo per una festività o una celebrazione».
Don Alfonso è stato solo l’ultimo sacerdote di una lunga lista, a Roma e in Italia, che hanno contratto il virus svolgendo il loro ministero. Virus spesso rivelatosi letale. «Proprio lo Spirito – ha detto De Donatis ai fedeli presenti nella basilica di San Giovanni – ci può aiutare a comprendere la sofferenza che viviamo per questo lutto e per tutti i lutti portati dalla pandemia. Lo stesso Spirito che ci aiuta ad avere speranza». Il dolore per la prematura scomparsa di Don Tabolacci, «che a soli 51 anni avrebbe potuto dare ancora tanto alla Chiesa», è infatti misto ad una «gioia di speranza e gratitudine per ciò che ha fatto fino all’ultimo per gli altri».
Fonte: Roma Sette QUI