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venerdì 9 aprile 2021

Magister. Benedizioni omosex, il papa si rimangia il divieto?

Mala tempora currunt.
Sembra che il S. Padre invece di confermare i fedeli (cfr. Mt. 16,16ss.) aumenti i loro dubbi.
Ora  anche il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna,  si è dissociato dal "Responsum" (vedere sotto).
Luigi

Settimo Cielo, 24-3-21

L’alt intimato il 15 marzo dalla congregazione per la dottrina della fede alle benedizioni delle coppie dello stesso sesso ha scatenato nella Chiesa un diffuso moto di ribellione, con il suo epicentro in Germania e Belgio, dove anche vescovi di primissimo piano hanno pubblicamente respinto e dileggiato la decisione di Roma.

Ma da domenica 21 marzo l’incognita maggiore è ormai un’altra. E riguarda il papa.

Francesco condivide o no questo “Responsum” della congregazione che vigila sulla retta dottrina della Chiesa?

Il documento porta le firme del cardinale Luis F. Ladaria, prefetto del dicastero, e dell’arcivescovo Giacomo Morandi, segretario del medesimo.

Ma vi si trova anche scritto che “il sommo pontefice Francesco, nel corso di un’udienza concessa al segretario di questa congregazione, è stato informato e ha dato il suo assenso alla pubblicazione del suddetto ‘Responsum ad dubium’, con annessa ‘Nota esplicativa’”.

Già in questa formulazione, tuttavia, vi sono degli indizi che fanno pensare a un minore coinvolgimento di Francesco rispetto ai precedenti “Responsa” della stessa congregazione.

Nelle precedenti occasioni il papa aveva dato preliminarmente udienza non al segretario ma al cardinale prefetto del dicastero, e non per esserne semplicemente “informato” e “dare il suo assenso alla pubblicazione”, come in questo caso, ma per qualcosa di più impegnativo: per “approvare”, cioè per fare propria la decisione, e per “ordinare” che sia pubblicata.

Dal bollettino ufficiale delle udienze risulta che il segretario della congregazione Morandi è stato ricevuto da Francesco il 28 gennaio, mentre il cardinale prefetto Ladaria è stato ricevuto l’ultima volta il 18 marzo, tre giorni dopo la pubblicazione del “Responsum”, quando già la ribellione contro il divieto era scoppiata.

I ribelli, in realtà, non prendevano tanto di mira Francesco in persona. Scagliavano piuttosto i loro dardi contro la congregazione per la dottrina della fede, il Vaticano, l’istituzione ecclesiastica. Implicitamente, come già altre volte, tendevano a separare il papa dalla curia e ad esonerarlo da una responsabilità diretta.

E lui? È come stato al gioco. All’Angelus di domenica 21 marzo ha aggiunto a braccio un paio di glosse al testo che aveva in lettura, per marcare anche lui le distanze da quelle rigidità e aridità clericali, elitarie, che sono il suo bersaglio abituale, da papa che sta dalla parte del popolo contro l’istituzione.

Ecco il passaggio con le parole che Francesco ha aggiunto a braccio, sottolineate:

“Si tratta di seminare semi di amore non con parole che volano via, ma con esempi concreti, semplici e coraggiosi, non con condanne teoriche, ma con gesti di amore. Allora il Signore, con la sua grazia, ci fa portare frutto, anche quando il terreno è arido a causa di incomprensioni, difficoltà o persecuzioni, o pretese di legalismi o moralismi clericali. Questo è terreno arido”.

Poche ore dopo, puntualmente, è arrivata la doppia conferma che proprio di questo si trattava, di un’allusione del papa, non certo benevola, al “Responsum” che vieta le benedizioni delle coppie omosessuali.

La doppia conferma è arrivata – con il rituale rimando a “fonti vaticane autorevoli che vogliono restare anonime” – da due vaticanisti di rilievo da tempo classificati tra i più vicini a Jorge Mario Bergoglio: l’irlandese Gerard O’Connell e sua moglie, l’argentina Elisabetta Piqué, rispettivamente sulla rivista dei gesuiti di New York “America” e sul quotidiano di Buenos Aires “La Nación”.

Il risultato di questa obliqua presa di distanza del papa è che da qui in avanti il “Responsum” contro le benedizioni delle coppie omosessuali sarà ritenuto da molti una mera “opinione”, esattamente come l’aveva liquidato fin da subito il presidente della conferenza episcopale tedesca, il vescovo di Limburgo Georg Bätzing, nella cui diocesi – come in altre, in tutto il mondo – quelle benedizioni sono praticate da tempo.

E non saranno di certo interrotte, con papa Francesco che lascerà fare tutto e il contrario di tutto senza mai dire con chiarezza che cosa vuole per davvero. Come è già avvenuto per la comunione eucaristica condivisa tra cattolici e protestanti, dopo quel suo memorabile “sì, no, non so, fate voi” che ha disarmato qualsiasi successivo intervento correttivo della congregazione per la dottrina della fede o del pontificio consiglio per l’unità dei cristiani.

*

Questo è ciò che accade oggi. Ma c’è un precedente, molto simile ma di esito opposto, che è istruttivo richiamare.

Era l’anno 2000, con Giovanni Paolo II papa e con Joseph Ratzinger cardinale prefetto della congregazione per la dottrina della fede.

Materia del contendere fu una dichiarazione, la “Dominus Iesus”, firmata da Ratzinger e dall’allora segretario della congregazione Tarcisio Bertone, che riaffermava un caposaldo assoluto della fede cristiana: che la salvezza di tutti viene da Gesù e da lui solo.

Vi era anche scritto che Giovanni Paolo II aveva “ratificato e confermato” la dichiarazione “con certa coscienza e con la sua autorità apostolica”.

Ma ciò non impedì che si levasse anche allora un’ondata di ribellione, anche da parte di vescovi e cardinali di prima grandezza.

E anche allora il bersaglio esplicito non fu il papa, quanto piuttosto la congregazione per la dottrina della fede e il suo cardinale prefetto.

Addirittura ci fu chi – come lo storico del Concilio Vaticano II Alberto Melloni – attribuì la stesura della “Dominus Iesus” all'"incompetenza" di non precisati "collaboratori della congregazione" che lo stesso Ratzinger “in colloqui diretti mostrava di non apprezzare e di non conoscere”, e tutto questo al fine di sabotare il papato di Karol Wojtyla “per il suo atteggiamento ecumenico e le sue tesi sul Dio del Corano”.

Ma non accadde affatto che Giovanni Paolo II prendesse poi pubblicamente le distanze da quel documento, in un Angelus successivo. Anzi, accadde tutto il contrario.

Per cominciare, vista l’entità delle proteste, papa Wojtyla convocò per discuterne e decidere il da farsi il cardinale Ratzinger. Esattamente come pochi giorni fa papa Francesco ha convocato in udienza il cardinale Ladaria.

Ma che cosa accadde in quella riunione? E poi all’Angelus di domenica 1 ottobre 2000? Lasciamo la parola allo stesso Ratzinger e a come ne ha scritto – da papa emerito – in un libro del 2014:

“A fronte del turbine che si era sviluppato intorno alla ‘Dominus Iesus’, Giovanni Paolo II mi disse che all'Angelus intendeva difendere inequivocabilmente il documento. Mi invitò a scrivere un testo per l'Angelus che fosse, per così dire, a tenuta stagna e non consentisse alcuna interpretazione diversa. Doveva emergere in modo del tutto inequivocabile che egli approvava il documento incondizionatamente.

“Preparai dunque un breve discorso; non intendevo, però, essere troppo brusco e così cercai di esprimermi con chiarezza ma senza durezza. Dopo averlo letto, il papa mi chiese ancora una volta: ‘È veramente chiaro a sufficienza?’. Io risposi di sì.

“Chi conosce i teologi non si stupirà del fatto che, ciononostante, in seguito ci fu chi sostenne che il papa aveva prudentemente preso le distanze da quel testo”.

Si noti l’ironia tutta ratzingeriana di queste due righe finali. Certo non applicabili a papa Francesco, che nel suo Angelus di questo 21 marzo le distanze dal “Responsum” contro le benedizioni delle coppie omosessuali le ha prese davvero.

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POST SCRPTUM – Il 24 marzo anche il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, molto stimato da papa Francesco, si è dissociato dal "Responsum" della congregazione per la dottrina della fede, in una dichiarazione al giornale "Der Sonntag" della sua arcidiocesi, subito circolata e tradotta in tutto il mondo: