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giovedì 14 gennaio 2021

Su gender e temi etici l'attacco è ormai anche alla Chiesa e alle sue istituzioni

Questa volta l'attacco è alla nostra amica Prof. Claudia Navarini e al compianto Card. Elio Sgreccia (QUI qualche post di MiL sul grande prelato).
QUI un altro commento.
Luigi


Giorgia Brambilla, Blog di Sabino Paciolla, Dicembre 31 2020|


Bei tempi quando ci dicevano che il vero studioso è colui che ha sviluppato un “pensiero critico”; valore prezioso per chi fa scienza, frutto di anni di ricerca e di confronto onesto e di sintesi tra tesi e autori diversi, una formazione continua che considera la verità una conquista.

Roba da retrogradi o da infaticabili intellettuali? No, semplicemente, il mestiere e il servizio del docente universitario. Peccato che oggi la dedizione per il sapere pare debba allinearsi alla flaccida ideologia uniformante. Meglio non pensare troppo; meglio assorbire l’omogenizzato del pensiero unico. Vietato esplorare tesi diverse dal mainstream – specie se di stampo cattolico – e ovviamente vietato obiettare: il pensiero unico non concede dubbi; bisogna prendere la “medicina”, senza discutere.

Figuriamoci se i temi in questione riguardano la Filosofia morale e nella fattispecie la Bioetica! Ci si permette di disquisire persino sulla scelta dei libri adottati per il proprio corso da parte di un docente universitario. Se poi il docente insegna in un’Università non statale, non si conta nemmeno fino a dieci prima di infamarlo in una testata giornalistica nazionale.

È successo a Claudia Navarini (qui e qui), associato di Filosofia morale all’Università Europea di Roma, che per il suo corso di Bioetica alla facoltà di Psicologia – facente parte i corsi di formazione umana integrale previsti dall’Università come integrazione al curriculum ordinario per arricchire il bagaglio culturale dello studente – adotta il manuale di Elio Sgreccia, testo riconosciuto a livello internazionale dalla comunità accademica per il suo alto valore scientifico oltre che pionieristico della disciplina stessa.

Secondo la giornalista de “La Stampa”, i valori coerenti con il personalismo ontologicamente fondato, ovvero la linea antropologica di riferimento del Manuale, sarebbero “dittatoriali”, “paternalistici”, frutto di “fanatismi religiosi ormai superati”, mediante i quali la Chiesa “insegnerebbe a contrastare le leggi” dello Stato e, dunque, non andrebbero proposti ai giovani universitari. E già qui si potrebbe chiudere il nostro commento, perché livelli del genere non meritano repliche. Ma per amore di scienza e di giustizia – prima ancora che per difendere quella libertà di espressione che evidentemente è passata di moda – è doveroso puntualizzare alcuni passaggi metodologici del Manuale.

Diciamo, innanzitutto, che chi di noi scrive testi scientifici sa benissimo che qualsiasi citazione deve essere rispettosa del testo di origine e dell’opinione dell’autore. Non così hanno riportato le questioni i giornalisti oltremodo ignari del benché minimo ragionamento bioetico, basato da Sgreccia, peraltro, sempre sul dato scientifico (il cosiddetto metodo “triangolare”). Il loro “taglia e cuci” di alcuni passaggi del libro, estrapolati dal contesto, ha restituito una visione a dir poco parziale e volutamente fuorviante di questioni come aborto, omosessualità e fecondazione assistita, presenti nel Manuale. Ebbene, niente di più lontano da quella basica dose di onestà intellettuale che dovrebbe essere parte integrante del lavoro dei professionisti dell’informazione.

Basta considerare la posizione di Sgreccia all’inizio del suo Manuale, infatti, per riconoscere chi ha il coraggio di fare scienza e chi si pregia di diffondere chiacchiere. Nell’edizione del 1993, quindi fin dalle prime edizioni del Manuale, si legge che «le finalità della Bioetica consistono nell’analisi razionale dei problemi morali legati alla biomedicina e della loro connessione con gli ambiti del diritto e delle scienze umane. Esse implicano l’elaborazione di linee etiche fondate sui valori della persona e sui diritti dell’uomo, rispettose di tutte le confessioni religiose, con fondazione razionale e metodologica scientificamente adeguata» (p. 51). Infatti, «il dialogo tra scienza e fede può avvenire soltanto con l’intermediazione della ragione che è comune riferimento per l’una e per l’altra. Di qui nasce ed è nata l’esigenza di una riflessione filosofico-morale anche in campo medico e biologico [n.d.r. la Bioetica]» (p.55).

Secondo Sgreccia, «la vita umana è anzitutto un valore naturale, razionalmente conosciuto da tutti coloro che fanno uso della ragione (..) In effetti, nel dibattito sull’aborto, si è rischiato di pensare che si trattasse di un problema di fede o non fede, mentre la vita umana è tale per tutti gli uomini e l’obbligo di rispettarla è dovere dell’uomo in quanto uomo, non soltanto in quanto credente» (pp.54-55).

Proprio il modo di procedere di Sgreccia, rispetto ad altre scuole o modelli, realizza la vera essenza della Bioetica, non a caso strettamente connessa con la Filosofia, e ne mostra la grande valenza educativa. Così impostata, la riflessione bioetica, caratterizzata oltretutto dall’incontro interdisciplinare di diverse discipline, e sviluppata non come mera “casistica” o applicazione pratica di principi sullo stile anglosassone, corrisponde esattamente a quanto il Comitato Nazionale per la Bioetica nel 2010 raccomandava come “educazione alla Bioetica”, «condotta in modo da garantire alle giovani generazioni la preparazione di base per partecipare attivamente al dibattito bioetico (..), portata avanti progressivamente, in modo coerente con la gradualità dello sviluppo del senso critico e del giudizio morale, facendo corrispondere a tale sviluppo lo studio delle tematiche riguardanti i principi della scienza nonché le problematiche etiche e giuridiche, nel contesto storico e sociale»(qui).

Allora, qual è il problema di presentare la questione bioetica sotto le varie prospettive del panorama scientifico, e dunque anche quella cattolica, adottando un testo di riferimento – di fatto l’unico – che già al suo interno presenta le varie tesi in modo critico e completo? Non dovremmo piuttosto considerarlo un dovere da parte del docente? I rischi veri per la ragione e per la libertà storicamente scaturiscono dal pensiero unico, non dal dialogo o dal confronto e derivano semmai da posizioni lesive nei confronti della dignità persona umana, anni luce evidentemente da quella di Sgreccia.

Che sta succedendo dunque? Come scriveva Francesco Paolo Casavola «Non abbiamo avuto nella nostra storia esempi positivi del pensiero unico nelle Università; quando ci sono stati è perché c’era privazione di libertà in tutto il Paese». Si sperava che quei tempi bui fossero tramontati, ma evidentemente non è così. E a fine anno una riflessione su questo è qualcosa da cui non possiamo proprio esimerci.