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venerdì 25 dicembre 2020

Echi (pre)tridentini in gastronomia - Cucina e cattolicesimo: le marmellate si diffusero grazie ai crociati

Dio è anche un grande gastronomo!
Luigi


Così le confetture 
si diffusero grazie ai crociati
 25-10-2020
Liana Marabini

Nel ricettario De re coquinaria, una raccolta di ricette culinarie romane in dieci libri realizzati alla fine del IV secolo, troviamo la ricetta della confettura di fichi bolliti nel miele. Dopo le Crociate, grazie all'importazione dello zucchero, cominciò la tradizione delle marmellate prodotte anche oggi dai monasteri.

Fin dagli albori dell’umanità, si è cercato il modo di conservare il cibo. Che si tratti di popolazioni nomadi o sedentarie, la preoccupazione di fare durare gli alimenti ha accompagnato da sempre l’uomo.

Il più antico metodo di conservazione è l’essiccazione. Negli scavi archeologici si sono trovati alimenti (frutta, verdura, carne e pesce) essiccati al sole e al vento nell’antico Egitto. Anche l’affumicatura è un metodo antico di conservazione, utilizzato per la carne e il pesce. La salatura invece è propria dei popoli che vivevano vicino al mare, dal quale estraevano il sale necessario alla conservazione. Ma è un metodo più tardivo, inizia nel XV secolo. Fra i primi ad usarlo sono gli abitanti delle isole norvegesi di Lofoten che conservavano lo stoccafisso (baccalà) nel sale, anche se i pareri sono controversi: c’è chi sostiene che siano stati i navigatori iberici che per fare durare il merluzzo dalla Norvegia fino in Spagna, lo salavano alla partenza, mentre in Italia questo pesce salato arrivò grazie al nobile veneziano Piero Querini, che nella sua ricerca di affari fuori dal Mediterraneo, lo importò dalla Norvegia nel 1431.


Ma ci sono anche le conserve dolci: le marmellate e le confetture. Abbiamo la prima testimonianza scritta nel ricettario De re coquinaria che è una raccolta di ricette culinarie romane in dieci libri realizzati alla fine del IV secolo. Sebbene attribuito a Marco Gavio Apicio, famoso gastronomo dell'inizio del I secolo, la sua scrittura è in realtà molto più tarda. Trasmesso da due manoscritti del periodo carolingio, fu poi riscoperto dagli umanisti del Rinascimento italiano. In questa compilazione troviamo la ricetta della confettura di fichi bolliti nel miele. In quell’epoca il dolcificante di base era appunto il miele. I Greci e i Romani conoscevano lo zucchero, importato dall’Oriente in piccole quantità, ma era impiegato esclusivamente a scopi terapeutici. Furono gli Arabi che lo introdussero in Spagna e in Sicilia intorno all'anno Mille, ma era raro e costoso, perché ricavato dalla canna da zucchero tipica dei climi tropicali.

Ma anche i Crociati lo portarono con loro, rientrando dalla Terra Santa e lo donarono ai monasteri. Da quel momento per i religiosi fu possibile conservare la frutta che producevano in abbondanza nei frutteti dei conventi e delle abbazie anche sotto un’altra forma che non fosse la mera essiccazione. Iniziò la tradizione delle confetture, gustose preparazioni a base di frutta tagliata a pezzi e bollita nello sciroppo di zucchero.

Parliamo di ”confettura” e non di ”marmellata” e qui conviene fare una piccola digressione linguistica. I maggiori dizionari etimologici concordano per far risalire il termine ”marmellata” alla portoghese marmelada che significa confettura di marmelo che è la mela cotogna. Per secoli si è indicato come “marmellata” solo quella che noi chiamiamo “cotognata”. Nel linguaggio comune continuiamo a usare questo termine per tutte le confetture preparate con qualunque frutto, ma è sbagliato. Oggigiorno i vocabolari (e l’Unione europea) spiegano che “marmellata” è solo quella ottenuta esclusivamente con agrumi (limoni, arance, cedri, pompelmi). Tutte le altre, realizzate con qualsiasi tipo di frutta o perfino ortaggi, sono confetture. L’Unione europea indica: può dirsi marmellata se la frutta impiegata è qualunque sorta di agrume ed è almeno il 20% del prodotto, confettura (il 35%), confettura extra (il 45%). È tutto nella Direttiva 2001/113/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2001.

Torniamo però ai monasteri ed alle loro confetture e marmellate. Da mille anni frati e monache portano avanti una tradizione fatta di prodotti naturali e genuini: frutta raccolta e tagliata a mano, preparata secondo la tradizione, senza aggiunte di coloranti e conservanti. In una lettera del 1162, Enguerrand de Bauffremont racconta il suo passaggio all’Abbazia Sainte-Trinité de La Lucerne (fondata in Normandia nel 1143 e    occupata dai canonici regolari premostratensi), dove   gli viene offerta, citiamo: "Una preparazione sorprendente e deliziosa, dolce, di mele cotte a lungo nello zucchero e miele, servita su una fetta di pane fresco, con una porzione di formaggio saporito”. Era una confettura di mele, frutto che cresce in abbondanza in Normandia.

Un altro documento interessante è il diario della giovane Cunégonde de Noirmoustier che, inviata nel 1482 dalla famiglia nell’Abbazia di Fontevrauld (attiva fino alla Revoluzione francese e che aveva la particolarità di ospitare monaci e suore insieme, sempre comandati da un’abbadessa: se ne sono succedute 36). La giovane Cunégonde scrive: ”Mi hanno messa in cucina, dove aiuto la suora confeturiera. Ho avuto fortuna: è un luogo ampio e pulito, con l’aria piena di profumi deliziosi. Sœur Tiphaine è allegra e parla sempre, mi ha insegnato molte cose sulla frutta e le confetture. La mia preferita è quella di lamponi”.

Le testimonianze son tante, in libri, manoscritti, ricettari e archivi conventuali. Ma ciò che è degno di nota è il fatto che oggi più che mai i conventi hanno sviluppato la tradizione delle confetture e delle marmellate, molte delle quali sono ispirate ai santi fondatori. Sant’Antonio da Padova aveva la sua confettura preferita, era fatta di mele verdi e melograno. La possiamo trovare oggi sotto il marchio ”Le delizie dei monasteri”.

Nel Monastero di Vitorchiano (Viterbo), da più di 40 anni le monache trappiste producono marmellate e confetture artigianali di tanti gusti diversi, utilizzando un’alta percentuale di frutta fresca, con la sola aggiunta di zucchero, senza additivi. Citiamo poi, per i loro eccellenti prodotti: il Monastero Benedettine Laboratorio S. Ildegarde (Orte); l’Abbazia di Casamari (Veroli, Frosinone); in Francia ci sono le suore Bénédictines de Martigné-Briand e le loro confetture antiche; le meravigliose marmellate dei monaci di St Joseph’s Abbey a Spencer, Massachusetts, Stati Uniti; la Quarr Abbey in Gran Bretagna (visitata spesso dalla regina Vittoria) e la sua marmellata di arance amare; i monaci del monastero romeno Sihăstria Putnei sono invece famosi per la loro confettura di sambuco (che completa questo articolo).

In Piemonte c’è un monastero fondato nel 1988 a Pra d’Mill: si chiama Dominus Tecum e produce delle confetture molto speciali: albicocche e mandorle, mele alla menta, mele al caffè, mele con cacao e amaretti, pere alla lavanda, pere allo zenzero, pesche al timo serpillo, zucchine con arancia, zucca al limone, solo per citarne alcune. E scrivono nel loro sito: "Le nostre confetture hanno una quantità ridotta di zuccheri e non usiamo né pectina, né conservanti: tutto ciò fa risaltare ulteriormente la frutta, sia nel gusto come nella sua alta quantità rispetto al prodotto finale”.

E questo concetto che riunisce natura, qualità, genuinità e tradizione, è l’atout maggiore dei luoghi di culto e dei loro prodotti: non è un caso che il turismo gastronomico monastico è sempre più trendy.

1 commento:

  1. Magari poi spiegherete come mai si parla di "echi tridentini" visto che le Crociate e l'importazione della marmellata sono avvenuti alcuni secoli prima del Concilio di Trento...

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