Pagine

venerdì 6 marzo 2020

Finalmente un Vescovo parla chiaro e non perde la fede davanti ad un semplice virus

Risultato immagini per Pascal Roland
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera pastorale (tradotta da un nostro amico sacerdote francese, che ringraziamo) del vescovo Pascal Roland, della diocesi del Curato d'Ars (QUI la versione originale), sulla dura vita dei cristiani ai tempi del coronavirus.
AZ





Più che l'epidemia di coronavirus, dobbiamo temere l'epidemia della paura! Per quanto mi riguarda, mi rifiuto di cedere al panico collettivo e di sottopormi al cosiddetto principio di precauzione che sembra ispirare le istituzioni civili.

Non intendo pertanto dare delle istruzioni specifiche per la mia diocesi: i cristiani smetteranno forse di riunirsi per pregare? Smetteranno di uscire per salvare i loro simili? A parte le misure elementari di prudenza che tutti prendono spontaneamente per non contagiare gli altri quando sono malati, non è opportuno aggiungere altro.

Dovremmo piuttosto ricordarci che in situazioni molto più gravi, quelle delle grandi pestilenze, e quando i mezzi sanitari non erano quelli di oggi, le popolazioni cristiane si sono rese benemerite per aver pregato in maniera collettiva, così come per il soccorso da loro dato ai malati, per l'assistenza ai moribondi e la sepoltura dei defunti. Insomma, i discepoli di Cristo non si sono allontanati da Dio né si sono nascosti. Al contrario!



Il panico collettivo a cui stiamo assistendo oggi non rivela forse la nostra relazione distorta con la realtà della morte? Non manifesta forse gli effetti ansiogeni della perdita di Dio? Vogliamo nasconderci che siamo mortali e, essendo privi della dimensione spirituale del nostro essere, perdiamo terreno. Poiché abbiamo tecniche sempre più sofisticate ed efficienti, pretendiamo di controllare tutto e nascondiamo che non siamo i padroni della vita!

Notiamo, a tal riguardo, che questa epidemia, che capita mentre in Parlamento si sta dibattendo sulle leggi sulla bioetica, ci ricorda fortunatamente la nostra fragilità umana! E questa crisi globale ha almeno il pregio di ricordarci che viviamo in una casa comune, che siamo tutti vulnerabili e interdipendenti e che è più urgente cooperare che chiudere i nostri confini!

Inoltre, sembra che abbiamo tutti perso la testa! Certamente, viviamo in una menzogna. Perché dovremmo improvvisamente focalizzare la nostra attenzione solo sul coronavirus? Perché nasconderci che ogni anno in Francia la banale influenza stagionale contagia tra 2 e 6 milioni di persone, provocando circa 8.000 morti? Sembra anche che abbiamo rimosso dalla nostra memoria collettiva il fatto che l'alcol è responsabile di 41.000 morti all'anno, mentre circa 73.000 morti sono da attribuire al tabagismo!

Lungi da me, quindi, l'idea di ordinare la chiusura delle chiese, di sopprimere delle Messe, di abbandonare il gesto di pace nella celebrazione eucaristica, di imporre una piuttosto che un'altra modalità di comunione considerata più igienica (detto questo, ciascuno potrà fare come meglio crede!), perché una chiesa non è un luogo di rischio, ma un luogo di salvezza. È uno spazio in cui accogliamo Colui che è la Vita, Gesù Cristo, e dove attraverso Lui, con Lui e in Lui, impariamo insieme a essere dei veri viventi. Una chiesa deve rimanere ciò che è: un luogo di speranza!


Bisogna barricarsi in casa? Dovremmo prendere d'assalto il supermercato del quartiere e accumulare riserve per prepararci a un assedio? No! Perché un cristiano non teme la morte. Sa di essere mortale, ma sa in Chi ha messo la propria speranza. Crede in Gesù che gli dice: Io Sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno (Gv 11, 25-26). Sa di essere abitato e animato dallo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti (Rm 8,11).

E poi un cristiano non si appartiene, la sua vita gli è stata donata, e segue Gesù, che insegna: Chi vuole salvare la propria vita la perderà; ma chiunque perderà la vita a causa mia e del Vangelo lo salverà (Mc 8,35). Di certo non si espone scioccamente al pericolo, ma neppure cerca di preservare se stesso. Seguendo il suo Maestro e Signore crocifisso, impara a offrirsi generosamente al servizio dei suoi fratelli più fragili, nella prospettiva della vita eterna.

Allora, non cediamo all'epidemia della paura! Vediamo di non essere dei morti-viventi! Come direbbe Papa Francesco: non lasciatevi rubare la vostra speranza!

+ Pascal ROLAND
Vescovo di Belley-Ars, Francia