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mercoledì 11 marzo 2020

E se parlassimo di castigo?

Dal profondo della zona rossa in cui mi trovo blindato da domenica, vorrei condividere con i lettori un interrogativo che mi accompagna ormai da giorni: non sarebbe il caso di iniziare a leggere quanto ci sta accadendo in termini di castigo divino? Un castigo inteso nel senso teologicamente corretto: una sofferenza che ci viene inflitta perché prendiamo piena consapevolezza del nostro peccato, possiamo espiarlo accettando la sofferenza del momento, ed uscirne così purificati e rinsaldati proprio là dove maggiormente ci eravamo indeboliti, cioè nella fede.

Lo dico perché mi sembra che l'infelice situazione in cui versiamo abbia smascherato la malizia peccaminosa dei capisaldi della cultura anticristica in cui siamo da tempo sprofondati: globalismo, nichilismo, iperindividualismo egolatrico (quello per cui alla movida non ci rinuncio, tanto io certamente non mi ammalo, se mi ammalo guarisco, e degli altri me ne infischio), iperliberismo amorale, ambientalismo antiumanistico (quello per cui non sarebbe male che la razza umana si estinguesse almeno un po’...), scientismo, presunzione di onnipotenza, e chi più ne ha più ne metta - tanto non è necessario formulare un pensiero coerente, la contraddizione è ammessa, anzi incoraggiata.
Un’intera weltanschauung falsamente vincente, e plausibilmente demoniaca, messa in crisi da quindici giorni di pandemia.

Ho un solo dubbio: non sono certo, infatti, che potremo trarre da questo male il beneficio per cui potrebbe essere stato provvidenzialmente permesso. Mi sembra, infatti, che coloro che dovrebbero aiutarci a leggere la realtà, discernendo questo possente segno dei tempi, siano piuttosto impegnati ad interpretare le implicazioni giuridiche del DPCM 8.3.2020, e il contenuto della nozione di cerimonia religiosa ivi contemplata. Capisco che le spiegazioni teologiche non siano alla portata di tutti, e che parlare di castighi sia politicamente scorrettissimo; ma si potrebbero almeno destinare le energie intellettuali che non si sanno o non si vogliono dedicare a tale scopo, al trovare il modo di ammettere i fedeli alla Messa in condizioni di accettabile sicurezza (secondo me basterebbe chiedere al Governo di applicare alle Messe le prescrizioni dettate per i ristoranti, ai quali non è stata imposta l’inattività assoluta...), piuttosto che chiudere tutto, sbrigando la pratica con quattro righe di comunicato, e scaricando sull'autorità civile una questione che tocca la natura stessa della Chiesa. A meno che anche tutto questo non faccia parte del castigo, e che il soggetto da castigare - nel senso che ho indicato prima, ovviamente - non sia proprio la Chiesa, nei suoi accidiosi pastori e nei suoi ormai increduli fedeli.



Enrico Roccagiachini