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lunedì 19 agosto 2019

Giovanni da Palestrina, quando la musica è culto di Dio


Un ricordo di Giovanni Pierluigi da Palestrina dell'amico Maestro Porfiri
Luigi

30-07-2019, La Nuova Bussola Quotidiana, Aurelio Porfiri

Celebriamo il 425° anniversario della morte di uno dei più grandi musicisti del Rinascimento, Giovanni Pierluigi da Palestrina, che ha avuto notevole influenza sulla scuola romana di musica sacra e in genere sulla musica occidentale. Con il suo genio ha dato lustro alla religione cattolica, componendo opere che aiutano il popolo ad addentrarsi nel mistero di Dio.
Noi cattolici dovremmo essere più consapevoli dei grandi personaggi che hanno dato onore e lustro alla nostra religione. Eminente fra questi è Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594) di cui celebriamo i 425 anni dalla morte. Un compositore come Palestrina dovrebbe essere celebrato ogni anno, non semplicemente ogni 5 o 10, tanto grande è stata la sua influenza sulla scuola romana di musica sacra, sulla musica occidentale e anche sulla spiritualità cattolica.

Nato appunto a Palestrina, cittadina vicino Roma, fu mandato giovanissimo nella Città Eterna e divenne fanciullo cantore nella Basilica di Santa Maria Maggiore. In quella Basilica apprese anche dai maestri fiamminghi l’arte della composizione musicale sacra. I fiamminghi erano depositari di una grande sapienza musicale, avendo sviluppato l’arte del contrappunto in modo sommo. Eppure, in questo sviluppo si era annidato il pericolo di un eccessivo tecnicismo, che riduceva la composizione musicale a uno sfoggio di grande sapienza tecnica ma senza cuore. Il personaggio di transizione fra il tecnicismo fiammingo e la grande cantabilità della scuola romana fu certamente Josquin Desprez (1450-1521), musicista che si può considerare a ragione come il degno predecessore del nostro Palestrina.

Palestrina, grazie anche all’appoggio di personalità ecclesiastiche importanti, fu attivo in importanti cappelle musicali romane, fu membro dei cantori pontifici (anche se la condizione di uomo sposato ne provocò l’allontanamento) e maestro alla Cappella Giulia in San Pietro. Fu anche maestro a San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore. L’enciclopedia Treccani così sintetizza l’attività di questo grande genio: “Massimo musicista italiano del Cinquecento ed esponente di punta della scuola polifonica romana rinascimentale, Palestrina visse per tutta la vita a Roma, alla corte dei papi, rivestendo l'incarico di maestro di cappella presso le principali basiliche patriarcali per oltre quarant'anni. La sua opera fu principalmente legata alla produzione di messe e di musica liturgica per le celebrazioni pontificali”.

Sarebbe troppo lungo ricordare tutte le sue opere, ma certamente possiamo nominare la monumentale Missa Papae Marcelli a 6 voci, vertice del pensiero polifonico rinascimentale. Fra i mottetti, possiamo menzionare l’adorante Ego sum panis vivis (4 voci), il conosciutissimo Sicut Cervus (4 voci) e l’altrettanto famoso Super flumina Babylonis (4 voci). Molto belli anche gli offertori, tra cui Exaltabo te (5 voci).

Qualcuno ha detto che tra i grandi musicisti della scuola romana nel Rinascimento, Orlando di Lasso componeva per l’imperatore, Palestrina per la corte papale e Tomas Luis de Victoria per Dio. Questo è vero fino a un certo punto, per quel che riguarda il nostro Palestrina. È vero che la sua musica si sposava perfettamente per le liturgie della corte papale, di Santa Romana Chiesa, ma non per questo esse erano prive di quelle qualità spirituali che le rendevano degne del culto divino. Anzi, egli fu considerato, e lo è tuttora, modello supremo per coloro che compongono musica per la liturgia. La sua musica è umana in un modo così profondo da trascendere se stesso per elevarsi a Dio. Non è musica falsamente spirituale, lontana, ma musica che risuona di sentimenti veri e autentici e proprio per questo gradita a Dio.

Nella musica di Palestrina ritroviamo questo celebre passaggio di sant’Agostino:

"Ammonito da quegli scritti a tornare in me stesso, entrai nell'intimo del mio cuore sotto la tua guida; e lo potei, perché divenisti il mio soccorritore. Vi entrai e scorsi con l'occhio della mia anima, per quanto torbido fosse, sopra l'occhio medesimo della mia anima, sopra la mia intelligenza, una luce immutabile. Non questa luce comune, visibile a ogni carne, né della stessa specie ma di potenza superiore, quale sarebbe la luce comune se splendesse molto, molto più splendida e penetrasse con la sua grandezza l'universo. Non così era quella, ma cosa diversa, molto diversa da tutte le luci di questa terra. Neppure sovrastava la mia intelligenza al modo che l'olio sovrasta l'acqua, e il cielo la terra, bensì era più in alto di me, poiché fu lei a crearmi, e io più in basso, poiché fui da lei creato. Chi conosce la verità, la conosce, e chi la conosce, conosce l'eternità. La carità la conosce. O eterna verità e vera carità e cara eternità, tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Quando ti conobbi la prima volta, mi sollevasti verso di te per farmi vedere come vi fosse qualcosa da vedere, mentre io non potevo ancora vedere: respingesti il mio sguardo malfermo col tuo raggio folgorante e io tutto tremai d'amore e terrore. Mi scoprii lontano da te in una regione dissimile, ove mi pareva di udire la tua voce dall'alto: “Io sono il nutrimento degli adulti. Cresci e mi mangerai, senza per questo trasformarmi in te, come il nutrimento della tua carne; ma tu ti trasformerai in me”. Riconobbi che hai ammaestrato l'uomo per la sua cattiveria e imputridito come ragnatela l'anima mia. Chiesi: “La verità è dunque un nulla, poiché non si estende nello spazio sia finito sia infinito?”; e tu gridasti da lontano: “Anzi, io sono colui che sono”. Queste parole udii con l'udito del cuore. Ora non avevo più motivo di dubitare. Mi sarebbe stato più facile dubitare della mia esistenza, che dell'esistenza della verità, la quale si scorge comprendendola attraverso il creato. (Sant’Agostino, Confessioni 7, 10)".

Nella sua musica, Palestrina si ricongiunge con quanto di autenticamente umano c’è in tutti noi e proprio per questo degno di stare alla presenza di Dio che ci ha creati. Egli ci mette in guardia contro i pericoli della falsa spiritualità, dello spirito senza carne. Nella musica di Palestrina, come nei Salmi, l’uomo piange, adora, impreca, grida, giubila. Ma lo fa sempre con lo sguardo rivolto a Dio, punto centrale della prospettiva di tutta un’esistenza.

Ma il Dio di Palestrina non è una divinità vaga, lontana. Esso è il Dio della liturgia cattolica, che viene adorato attraverso quei testi e quelle cerimonie che vengono da una tradizione millenaria e che come tale va rispettata e tramandata. Il nostro compositore capiva che a lui era stato dato il compito più alto, quello di servire con la sua musica il culto divino. Pensiamo per un momento a come questo compito sia oggi degradato a un livello disdicevole, per cui si permette che nelle chiese la musica commerciale la faccia da padrona. Un tempo in cui si parla di “animazione liturgica”. Ma siamo noi a dare anima alla liturgia? Che liturgia è se ha bisogno di noi per avere un’anima? È la liturgia dell’uomo, la celebrazione di se stessi, il mettere il soggetto umano al centro dell’universo.

La liturgia è culto oggettivo, cioè in definitiva non dipende dalla nostra opera ma il culto è la voce della Chiesa come mistero, non delle singole persone. Ecco perché la musica di Palestrina è veramente canto della Chiesa, non l’espressione di un genio solitario. In lui tutti cantiamo, piangiamo, adoriamo, imprechiamo, soffriamo di fronte a Dio. 

Egli è stato considerato come il modello del compositore cattolico. Il maestro (e cardinale) Domenico Bartolucci, in una sua intervista di molti anni fa a Sandro Magister, affermava: “Palestrina è il primo patriarca che ha capito che cosa vuol dire far musica; lui ha intuito la necessità di una scrittura contrappuntistica vincolata dal testo, aliena dalla complessità e dai canoni della scrittura fiamminga. (...) La musica è arte con la “a” maiuscola. La scultura ha il marmo, l'architettura l'edificio... La musica la vedi solo con gli occhi dello spirito, ti entra dentro. E la Chiesa ha il merito di averla coltivata nelle sue cantorie, di averle dato la grammatica e la sintassi. La musica è l'anima della parola che diventa arte. In definitiva, ti dispone a scoprire e accogliere la bellezza di Dio. Per questo più che mai oggi la Chiesa deve sapersene riappropriare”.

Ecco, quello che Domenico Bartolucci aveva intuito in Palestrina noi possiamo farlo nostro: egli fu colui che ha saputo andare alla ricerca “dell’anima della parola” sacra e l’ha trasformata in grande arte a servizio della liturgia e per il bene del popolo cristiano.