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lunedì 8 aprile 2019

Francesco: c'è ancora la volontà di convertire alla vera e unica religione?

Da'amico Giovanni alcune riflessioni su quanto detto dal S. Padre Francesco nel suo viaggio in Marocco.
Luigi


In Marocco il Papa ha ancora una volta attaccato quello che lui chiama "proselitismo". 
Come credo d'aver già riportato, il proselitismo che subordina la concessione di ogni beneficio (istruzione, assistenza, cure, etc.) alla conversione del beneficando, minacciandolo di negarglielo se non si fa battezzare, è cosa pessima, è certo un gravissimo peccato. 
Però, esso, come insegna Redemptoris Missio (n. 46) non va confuso con "l'appello alla conversione", che non può essere alternativa negativa all'attrazione, come sembra pensare il Papa. Perché in tal caso solo i santi consumati potrebbero evangelizzare: solo questi, infatti, hanno una tale capacità d'attrazione, che il fedele comune non può avere.
E in fondo neanche loro. 
Giuda fu a contatto con il Santo dei santi e nemmeno si convertì, in quanto rimane la libertas minor di resistere alla grazia, di resistere al dono della fede. In realtà, la Chiesa con Redemptoris Missio (loc. cit.) rammenta come un monito che "[...] l'appello alla conversione, che i missionari rivolgono ai non cristiani, [oggi] è messo in discussione o passato sotto silenzio. Si vede in esso un atto di 'proselitismo'; si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Ma si dimentica che ogni persona ha il diritto di udire la 'buona novella' di Dio che si rivela e si dona in Cristo". Insomma, battezzare è fondamentale (n. 47), non per essere più numerosi nel tempo (ma questo non guasta: le famiglie numerose son belle e tendenzialmente sante), ma per generare figli a Dio (gli altri sono creature, non figli nell'ordine della grazia, ch'è quello che conta) e donare la salvezza. 
E se invece conta solo l'attrazione, allora siamo in pieno donatismo (eresia del IV secolo: solo i puri possono annunciare e impartire i sacramenti - altrimenti invalidi in una condizione pauperistica), richiamato in modo un po' improprio durante l'intervista sull'aereo nel viaggio di ritorno dal Marocco.

Ed a proposito di questa, passi l'equiparazione della penalizzazione (per dire il meno) in area islamica della conversione al cristianesimo, alla tendenza al divieto di obiezione di coscienza in materia di aborto ed eutanasia che viene detta "cristiana" (ancorché inflitta alle strutture ospedaliere cristiane [!]). Passi l'elogio della libertà odierna totalmente rivoluzionaria, rispetto alla sua mancanza "trecento anni fa", quando si bruciavano gli eretici (sic!), imputata a quella che noi diremmo cristianità (leggere per credere). Passi per la strana ignoranza del Congresso sulla famiglia di Verona, quello che definisce un family day (di cui dice di aver solo letto "qualcosa" su L'Espresso: nessuno gli consiglia letture migliori?): "Non so cosa sia, so che è uno dei tanti “day” che si fanno..." (io sarò malpensante, ma avverto in queste espressioni un certo disprezzo).

Passi tutto questo, ma eleggere a propria fonte di"luce"un tal Philippe Roqueplo, "Un filosofo francese, negli anni Settanta, aveva fatto una distinzione che a me ha dato molta luce, si chiamava Roqueplo [Philippe], e mi ha dato una luce ermeneutica. Lui diceva: per capire una situazione bisogna dare tutte le spiegazioni e poi cercare i significati".Ora, al di là della genialità dell'osservazione che tanto colpì l'allora solo Jorge Mario Bergoglio, ecco alcuni tremendi stralci (che devo alla segnalazione d'un caro amico) del pensiero di questo ancien dominicain. E dopo piangete pure, e se non piangete di questo, almeno interiormente, "di che pianger solete?".

“Risulta un errore invocare il rispetto della vita umana per proibire l’aborto precoce. La stessa cosa capita, a mio avviso, della pratica in vitro: questa pratica s’imporrà, almeno in certi casi, come morale e questa evidenza morale implicherà il convincimento che l’embrione così prodotto non è un essere autenticamente umano.

[…] Questo embrione non è autenticamente umano perché non è mai stato destinato a diventare un uomo, perché nessuno ha mai voluto farne un uomo.

Questa conclusione mi sembra valga anche nel caso dell’embrione di cui una donna, in piena lucidità, non appena capisce di essere incinta, decide d’interrompere lo sviluppo. Non vedo in nome di che cosa si potrebbe essere sicuri che questa donna, agendo in tal modo, si opponga inevitabilmente al rispetto che ognuno di noi deve a ogni vita autenticamente umana" (P. Roqueplo, Posizione morale di fronte alla sperimentazione scientifica nel settore della vita, in AA. VV., L’aborto nella discussione teologica cattolica, Queriniana, Brescia 1977, pp. 84-85).

Salute a voi