Scritto dall'amico Padre Giovanni Cavalcoli.
Ma il S. Padre si rende conto quanto scandalo possono dare certe parole equivoche che lui - ormai spesso - pronuncia?
Luigi
Libertà e Persona, 26 gennaio 2019 | Da Padre Giovanni Cavalcoli
Un aspetto della predicazione di Papa Francesco che suscita disagio è la sua apparente tendenza a contraddirsi, causata dal fatto che pare che egli concepisca il messaggio evangelico non nella categoria dell’universalità, ma in quella della diversità, non in quella dell’unità, ma in quella della molteplicità. E’ l’immagine della Chiesa a lui cara del poliedro e non della sfera. Non tutti raggi uguali che escono da un centro, ma una pluralità di facce coordinate tra di loro nella diversità.
Sembra allora che per lui predicare a tutti non voglia dire predicare a ciascuno lo stesso messaggio identico per tutti, ma, col pretesto di predicare un messaggio adatto a ciascuno, per rendersi gradito a ciascuno, e per un malinteso bisogno di accontentare ciascuno, e dire ciò che piace a lui, benché tra gli uomini esistano contraddittorie idee o esigenze, non si fa scrupolo di dire a Tizio che A è B e a Caio che A non è B.
E così tutti dovrebbero essere contenti e soddisfatti per l’apertura mentale del Papa e l’accoglienza che il Papa loro riserva. «Nella Chiesa, come egli dice, c’è posto per tutti». Ma il prezzo di questo doppio gioco – che tale almeno appare – non è troppo alto? Dove finisce il «sì sì no no» predicato da Cristo? Che ne è del principio di non-contraddizione e della coerenza nel parlare e nel pensare? È la verità che deve conformarsi a noi, assumendo mille facce, o siamo noi che dobbiamo conformarci all’unica verità, una per tutti?
Questa incoerenza, questa apparente doppiezza o volontà di accontentare cattolici ed eretici, questo apparente considerare il falso non contrario, ma semplicemente diverso dal vero, quasi che esista un diritto alla falsità come esiste un diritto alla verità, tutto ciò sembrerebbe ispirato al modo rahneriano di concepire l’ecumenismo, ossia non come appello ai fratelli separati ad entrare nella piena comunione con la Chiesa cattolica, accogliendo tutti i dogmi della fede, secondo il dettato del decreto conciliare Unitatis Redintegratio (n.3), ma come decisione della Chiesa di esigere da tutti i cristiani l’adesione a quei dogmi che tutti già condividono, cattolici ed eretici, mentre concedere libertà dipensiero riguardo a quei dogmi che sono accolti solo dai cattolici e non dai luterani, nel senso che la Chiesa, nei confronti dei luterani dovrebbe accontentarsi che accettino i dogmi che già noi cattolici abbiamo in comune con loro.
In tal modo i luterani sarebbero liberi di continuare a rifiutare quei dogmi che respinse Lutero, e tra questi c’è appunto il dogma dell’Immacolata. Per questo, per un luterano dire che la Madonna non è nata santa non fà alcuna difficoltà,mentre è un’eresia per il cattolico, salvo le precisazioni che darò, ma che purtroppo il Papa, nel contesto di quelle parole, non fa; per cui, per sapere esattamente il vero pensiero del Papa, bisogna andare a que idiscorsi dove testimonia chiaramente la fede nel dogma.
Così parlando ai cattolici l’8 dicembre scorso dice che la Madonna è immacolata, ma nel discorso successivo del 21 ai dipendenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, in occasione degli auguri natalizi, riferendosi a S.Giuseppe e alla Madonna, ha detto che «santi non si nasce, si diventa, e questo vale anche per loro». La Madonna, dunque, non è nata santa, ossia, a quanto sembra, non è immacolata, e così è accontentato anche chi non crede a questo dogma.
Se queste parole possono sorprendere e creare disagio, occorre tuttavia tener presente che non c’è da dubitare della fede di Papa Francesco nel dogma dell’Immacolata, fede che egli ha espresso con perfetta chiarezza in più occasioni, per esempio nell’Angelus della Solennità dell’Immacolata del 2015 con le seguenti parole:
«Oggi, la festa dell’Immacolata ci fa contemplare la Madonna che, per singolare privilegio, è stata preservata dal peccato originale fin dal suo concepimento. Pur vivendo nel mondo segnato dal peccato, non ne viene toccata: Maria è nostra sorella nella sofferenza, ma non nel male e nel peccato. Anzi, il male in lei è stato sconfitto prima ancora di sfiorarla, perché Dio l’ha ricolmata di grazia (cfr Lc 1,28). L’Immacolata Concezione significa che Maria è la prima salvata dall’infinita misericordia del Padre, quale primizia della salvezza che Dio vuole donare ad ogni uomo e donna, in Cristo. Per questo l’Immacolata è diventata icona sublime della misericordia divina che ha vinto sul peccato».
Oppure all’Angelus dell’8 dicembre 2017:
«Oggi contempliamo la bellezza di Maria Immacolata. Il Vangelo, che narra l’episodio dell’Annunciazione, ci aiuta a capire quello che festeggiamo, soprattutto attraverso il saluto dell’angelo. Egli si rivolge a Maria con una parola non facile da tradurre, che significa “colmata di grazia”, “creata dalla grazia”, «piena di grazia» (Lc 1,28). Prima di chiamarla Maria, la chiama piena di grazia, e così rivela il nome nuovo che Dio le ha dato e che le si addice più del nome datole dai suoi genitori. Anche noi la chiamiamo così, ad ogni Ave Maria.
Che cosa vuol dire piena di grazia? Che Maria è piena della presenza di Dio. E se è interamente abitata da Dio, non c’è posto in lei per il peccato. È una cosa straordinaria, perché tutto nel mondo, purtroppo, è contaminato dal male. Ciascuno di noi, guardandosi dentro, vede dei lati oscuri. Anche i più grandi santi erano peccatori e tutte le realtà, persino le più belle, sono intaccate dal male: tutte, tranne Maria. Lei è l’unica “oasi sempre verde” dell’umanità, la sola incontaminata, creata immacolata per accogliere pienamente, con il suo “sì”, Dio che veniva nel mondo e iniziare così una storia nuova».
Espressioni equivoche del genere di quelle pronunciate il 21 dicembre, decisamente infelici, necessitano di un’attenta interpretazione, basata su di un’opportuna distinzione riguardante il concetto di santità, per cui bisogna dire: se per «santità» intendiamo lo stato di grazia, allora certamente Maria è santa non solo dalla nascita, ma dal suo concepimento. Se invece per «santità» intendiamo la pienezza finale di santità, che ciascuno è tenuto a realizzare alla fine della sua vita, allora è chiaro che questa santità non è appartenuta alla nascita neppure alla Madonna, la quale, per tutto il corso della sua vita, ha dovuto crescere in questa santità, fino a giungere al culmine terreno finale, che corrisponde al momento della sua assunzione in cielo. Quindi è chiaro che prendendo la santità in tal senso, Maria non è nata santa.
La santità originaria di Maria è designata col termine «immacolatezza», partendo dalla metafora del peccato come macchia o come sporcizia, ossia come di qualcosa di estraneo e posticcio, che si aggiunge al soggetto accidentalmente offuscandone la bellezza o mettendone in pericolo la salute o le condizioni igieniche. L’acqua è simbolo intuitivo della grazia battesimale, che purifica e toglie la macchia del peccato. Maria non ha avuto bisogno di essere lavata, perché era pulita sin dal momento della concezione.
È perfettamente vero che Maria, per tutto il corso della sua vita terrena, è cresciuta o ha progredito continuamente nella santità, senza mai fermarsi o retrocedere, come invece capita a noi. La sua santità è aumentata di giornoingiorno fino al culmine raggiunto al termine della sua vita mortale. Ciò non contrasta affatto con la sua originaria immacolatezza.
Maria è così passata da una santità iniziale ad una santità finale, molto più ricca della prima. E in ciò la sua santità assomiglia alla nostra, con la differenza che noi partiamo da uno stato di colpa ereditato dal peccato originale, colpa chedev’essere tolta dal battesimo, e nasciamo con miserie e con cattive inclinazioni conseguenti al peccato originale, mentre Maria è partita con tutte le inclinazioni buone e da uno stato di grazia, la quale grazia non ha fatto che crescere per tutto il corso della sua vita.
E se Maria è stata soggetta alla sofferenza, che è di per sé conseguenza del peccato originale, ciò Dio non lo ha voluto come questa conseguenza, ma solo – così come ha fatto con suo Figlio – perché lei, innocentissima, potesse essere partecipe e collaboratrice della Croce redentrice del Figlio suo e collaboratrice del Padre.
Una cosa da notare è che l’immacolatezza di Maria è strettamente unita alla sua verginità ed alla sua maternità divina. L’una e l’altra, immacolatezza e verginità, sono le condizioni della sua maternità. Per essere vicini a Dio, Essere santissimo, il «Santo dei santi», fonte e culmine di ogni santità, occorre essere santi, così come è solo il caldo che è vicino al fuoco e qualcosa è caldo perché è scaldato dalfuoco. Ora, tra tutte le creature, esclusa l’umanità di Cristo, nessuna è più vicina a Dio di Maria, essendone la Madre, ed essendo di tutte le creature la piùvicina al fuoco divino, è la più calda, ossia è la più santa. Ma esser vicini a Dio vuol dire assomigliare a Lui, come già aveva intuìto Platone, confermato da S.Giovanni (I Gv 3,2).
La santità ha la sua espressione massima nella carità. L’orizzonte nel quale si esercita la carità di Maria è la verginità e la maternità. Voglio qui concentrare l’attenzione sulla castità di Maria, considerando l’estrema attualità della problematica e della tematica attinenti oggi alla sessualità umana.
La castità, in generale, è temperanza, dominio di sé, controllo razionale dell’istinto sessuale, che può attuarsi o nell’astinenza, come i religiosi e i sacerdoti, o nel sano esercizio dell’atto sessuale, come nel matrimonio, essere «una sola carne», «dialogo corporeo», come diceva S.Giovanni Paolo II. La castità è amore, è purezza, integrità, incorruzione, completezza, armonia, perfezione, dedizione, dono di sé, segno escatologico.
La verginità di Maria, come risulta chiaramente dal suo proposito espresso all’Angelo (Lc 1,35), non è una semplice «verginità spirituale». Certo, innanzitutto è questo; ma non è solo questo, come farneticano alcuni, ma è una vera e propria verginità fisica, ante partum, in partu e post partum. Questa è verità di fede.
Questa verginità rappresenta il fatto che lo spirito, nel comunicare con un altro spirito, penetra ed attraversa la materia, supera la sua impenetrabilità fisica e l’ostacolo frapposto dalla materia. La comunione spirituale crea un’interpenetrazione tra i due comunicanti, sì da formare, al limite, almeno intenzionalmente, una cosa sola.Viceversa, i corpi, anche quando si uniscono intimamente in perfetta corrispondenza reciproca, come per esempio nell’unione sessuale o nei composti chimici, non possono fondersi completamente tra di loro, ma l’uno resta sempre fuori dell’altro.
È chiaro, quindi, che quando Gesù parla dell’unione tra l’uomo e la donna come di «una sola carne» (Gen 2,24), non vuol dire che Paolo non resti Paolo e Francesca non resti Francesca. Quando invece chiede al Padre che i discepoli «siano una cosa sola» (Gv 17,21-22), chiede un’unità intenzionalmente assoluta, pur restando sempre ovviamente la distinzione reale degli individui tra di loro e da Dio.
Così i Padri hanno osservato che Cristo esce dal seno di Maria (in partu) lasciando integro e intatto il suo imene(post partum), perché in precedenza (ante partum) in quel seno era già entrato lo Spirito Santo per fecondarla, senza nulla toccare o mutare o corrompere. Similmente Gesù Risorto entra nel cenacolo passando attraverso la porta chiusa.
Per questo, Maria viene chiamata «hortus conclusus» (Ct 4,12). Ella apre a Dio e non all’uomo, non perchè disprezzi il contatto con l’uomo, ma perché lo stima tanto, che, nella sua insuperabile vicinanza a Dio e nella sua verginità, vuol farsi mediatrice e santificatrice del retto rapporto uomo-donna. Non ha voluto conoscere uomo, per ottenere a tutti un amore casto. Come il suo divin Figlio, la Madonna non ha bisogno di purificare se stessa, ma purifica gli altri.
D’altra parte, quando Cristo dice che Dio è Padre, non intende dire che è maschio; per cui, per generare il Figlio – qui Maometto ha equivocato –, il Padre non ha bisogno di unirsi fisicamente a una donna, e sarebbe blasfemo il solo pensarlo, dato che Dio è purissimo Spirito senza materia e genera il Figlio solo spiritualmente. Per cui Maria è certamente fecondata, ma solo per opera dello Spirito Santo, che è il Germe fecondante del Padre.
Qui sta la spiegazione radicale della scelta verginale di Maria: «non conosco uomo» (andra u ghinosko, Lc 1,35). Maria abbraccia la verginità perché sente in lei fortissimo il desiderio, l’«infocato desiderio», direbbe S.Caterina, di unione con quel Dio Spirito, che può essere compreso, gustato e avvicinato solo dagli amanti dello spirito, a prescindere dal sesso.
La verginità di Maria è certo modello dell’astinenza sessuale consacrata, sia essail voto di castità del Religioso o ilcelibato sacerdotale. Ma a guardar le cose più da vicino, ci accorgeremo che c’è una grande differenza di motivazione fra le due scelte. Mentre, come ho detto, Maria è motivata dal suo bisogno del Dio Spirito – è la Donna dello Spirito Santo –, in uno stato di vita santa, che prosegue lo stato edenico, la castità consacrata di chi vive nello stato di natura decaduta, è motivata dal bisogno di una superiore libertà spirituale, che viceversa è ostacolata dalla ribellione della carne. Da qui la necessità del pudore, della cautela, della disciplina, delle penitenze, delle austerità, della rinuncia, dell’ascesi, del sacrificio, della mortificazione, della fuga dalle occasioni.
Occorre fare molta attenzione a non fraintendere l’immacolatezza verginale di Maria. Un antico inno mariano loda la Madonna con queste parole: «Inviolata, intacta et casta es, Maria». L’impressione che possono far sorgere è che esse facciano riferimento a un’idea, secondo la quale l’unione sessuale tra uomo e donna comporterebbe una certa quale impurità, violazione o corruzione, mentrela verginità sarebbe segno di purità, immacolatezza, incorruttibilità ed inviolabilità.
Non dobbiamo dimenticare, invece, se ce ne fosse bisogno, che la castità consacrata non suppone l’idea platonica che l’anima deve liberarsi dal corpo, ma al contrario l’astinenza è praticata proprio in vista di preparare le condizioni morali e psicologiche della resurrezione. Per essa si è certi di ritrovare il «centuplo» (Mt 19,29) di quell’uno che per amore di Cristo si è lasciato.