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venerdì 22 febbraio 2019

Incontro su “La Protezione dei Minori nella Chiesa”: Punti di riflessione, una domanda e altro



Alleghiamo di seguito ai nostri lettori:
  1. il discorso del S. Padre.
  2. i 21 punti consegnati per la riflessione ai partecipanti.
  3. Le relazioni Scicluna e Tagle.
  4. Una lettera di mons. Viganò al S. Padre sul tema.
  5. Due articoli della Bussola molto significativi

Una sola riflessione: dopo la lettura - ad oggi - dei testi e dei discorsi,  facendo anche solo un controllo ortografico, le parole "OMOSESSUALITA'\OMOSESSUALI" non vengo usate neppure una volta. O almeno noi non le abbiamo trovate (i lettori ci aiutino a verificare)
Veramente bizzarro ed estremamente preoccupante.
Come se ad un convegno sull'alcolismo non si parlasse di alcol.
Vi teniamo aggiornati.
Luigi

Introduzione del Santo Padre

Cari fratelli, buongiorno!

Dinanzi alla piaga degli abusi sessuali perpetrati da uomini di Chiesa a danno dei minori, ho pensato di interpellare voi, Patriarchi, Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, Superiori Religiosi e Responsabili, affinché tutti insieme ci mettiamo in ascolto dello Spirito Santo e con docilità alla Sua guida ascoltiamo il grido dei piccoli che chiedono giustizia. Grava sul nostro incontro il peso della responsabilità pastorale ed ecclesiale che ci obbliga a discutere insieme, in maniera sinodale, sincera e approfondita su come affrontare questo male che affligge la Chiesa e l’umanità. Il santo Popolo di Dio ci guarda e attende da noi non semplici e scontate condanne, ma misure concrete ed efficaci da predisporre. Ci vuole concretezza. Iniziamo, dunque, il nostro percorso armati della fede e dello spirito di massima parresia, di coraggio e concretezza.

Come sussidio, mi permetto di condividere con voi alcuni importanti criteri, formulati dalle diverse Commissioni e Conferenze Episcopali – sono arrivati da voi, io li ho elencati un po’… –. Sono delle linee-guida per aiutare la nostra riflessione che vi verranno consegnate adesso. Sono un semplice punto di partenza, che viene da voi e torna a voi, e che non toglie la creatività che ci deve essere in questo incontro. Anche a nome vostro, vorrei ringraziare la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, la Congregazione per la Dottrina della Fede e i membri del Comitato organizzativo per l’eccellente lavoro svolto con grande impegno nel preparare questo incontro. Grazie tante!

Infine, chiedo allo Spirito Santo di sostenerci in questi giorni e di aiutarci a trasformare questo male in un’opportunità di consapevolezza e di purificazione. La Vergine Maria ci illumini per cercare di curare le gravi ferite che lo scandalo della pedofilia ha causato sia nei piccoli sia nei credenti. Grazie.


21 Punti
Pubblichiamo di seguito alcuni punti formulati dalle diverse Commissioni e Conferenze Episcopali come aiuto alla riflessione nel corso dei lavori dell’Incontro su: “La protezione dei minori nella Chiesa”:

1. Elaborare un vademecum pratico nel quale siano specificati i passi da compiere a cura dell’autorità in tutti i momenti-chiave dell’emergenza di un caso.

2. Dotarsi di strutture di ascolto, composte da persone preparate ed esperte, dove si esercita un primo discernimento dei casi delle presunte vittime.

3. Stabilire i criteri per il coinvolgimento diretto del Vescovo o del Superiore Religioso.

4. Attuare procedure condivise per l’esame delle accuse, la protezione delle vittime e il diritto di difesa degli accusati.

5. Informare le autorità civili e le autorità ecclesiastiche superiori nel rispetto delle norme civili e canoniche.

6. Fare una revisione periodica dei protocolli e delle norme per salvaguardare un ambiente protetto per i minori in tutte le strutture pastorali; protocolli e norme basati sui principi della giustizia e della carità e che devono integrarsi perché l’azione della Chiesa anche in questo campo sia conforme alla sua missione.

7. Stabilire protocolli specifici per la gestione delle accuse contro i Vescovi.

8. Accompagnare, proteggere e curare le vittime, offrendo loro tutto il necessario sostegno per una completa guarigione.

9. Incrementare la consapevolezza delle cause e delle conseguenze degli abusi sessuali mediante iniziative di formazione permanente di Vescovi, Superiori religiosi, chierici e operatori pastorali.

10. Preparare percorsi di cura pastorale delle comunità ferite dagli abusi e itinerari penitenziali e di recupero per i colpevoli.

11. Consolidare la collaborazione con tutte le persone di buona volontà e con gli operatori dei mass media per poter riconoscere e discernere i casi veri da quelli falsi, le accuse dalle calunnie, evitando rancori e insinuazioni, dicerie e diffamazioni (cfr Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2018).

12. Elevare l’età minima per il matrimonio a sedici anni.

13. Stabilire disposizioni che regolino e facilitino la partecipazione degli esperti laici nelle investigazioni e nei diversi gradi di giudizio dei processi canonici concernenti abuso sessuale e/o di potere.

14. Il Diritto alla difesa: occorre salvaguardare anche il principio di diritto naturale e canonico della presunzione di innocenza fino alla prova della colpevolezza dell’accusato. Perciò bisogna evitare che vengano pubblicati gli elenchi degli accusati, anche da parte delle diocesi, prima dell’indagine previa e della definitiva condanna.

15. Osservare il tradizionale principio della proporzionalità della pena rispetto al delitto commesso. Deliberare che i sacerdoti e i vescovi colpevoli di abuso sessuale su minori abbandonino il ministero pubblico.

16. Introdurre regole riguardanti i seminaristi e i candidati al sacerdozio o alla vita religiosa. Per costoro introdurre programmi di formazione iniziale e permanente per consolidare la loro maturità umana, spirituale e psicosessuale, come pure le loro relazioni interpersonali e i loro comportamenti.

17. Effettuare per i candidati al sacerdozio e alla vita consacrata una valutazione psicologica da parte di esperti qualificati e accreditati.

18. Indicare le norme che regolano il trasferimento di un seminarista o di un aspirante religioso da un seminario a un altro; come pure di un sacerdote o religioso da una diocesi o congregazione ad un’altra.

19. Formulare codici di condotta obbligatori per tutti i chierici, i religiosi, il personale di servizio e i volontari, per delineare limiti appropriati nelle relazioni personali. Specificare i requisiti necessari per il personale e i volontari, e verificare la loro fedina penale.

20. Illustrare tutte le informazioni e i dati sui pericoli dell’abuso e i suoi effetti, su come riconoscere i segni di abuso e su come denunciare i sospetti di abuso sessuale. Tutto ciò deve avvenire in collaborazione con genitori, insegnanti, professionisti e autorità civili.

21. È necessario che si istituisca, laddove non si è ancora fatto, un organismo di facile accesso per le vittime che vogliono denunciare eventuali delitti. Un organismo che goda di autonomia anche rispetto all’Autorità ecclesiastica locale e composto da persone esperte (chierici e laici), che sappiano esprimere l’attenzione della Chiesa verso quanti, in tale campo, si ritengono offesi da atteggiamenti impropri da parte di chierici.

Relazione Tagle

L’abuso di minori da parte di sacerdoti ordinati ha inflitto ferite non solo alle vittime ma anche alle loro famiglie, al clero, alla Chiesa, alla società nel senso più ampio, agli stessi abusatori e ai vescovi. Ma è anche vero, e noi lo ammettiamo umilmente e con grande tristezza, che queste ferite sono state inflitte da noi vescovi alle vittime e quindi di fatto all’intero Corpo di Cristo. La mancanza di risposte da parte nostra alla sofferenza delle vittime, fino al punto di respingerle e di coprire lo scandalo al fine di proteggere gli abusatori e l’istituzione ha lacerato la nostra gente, lasciando una profonda ferita nel nostro rapporto con coloro ai quali siamo inviati per servirli. Giustamente, la gente si domanda: “Non è forse vero che proprio voi, che dovreste avere su di voi l’odore delle pecore, siete scappati quando vi siete trovati di fronte al fetore della sporcizia gettata sui bambini e sulle persone vulnerabili che invece avreste dovuto proteggere, perché era troppo acre da sopportare?”.

Le ferite hanno bisogno di essere guarite. Ma in che cosa consiste la guarigione? Come possiamo proprio noi vescovi, che siamo stati partecipi del ferimento, promuovere oggi una guarigione in questo contesto specifico? Il tema della guarigione delle ferite è stato al centro di molti studi interdisciplinari. Non pretendo di conoscere tutti i ritrovati delle scienze umane e sociali sull’argomento, ma credo che abbiamo bisogno di recuperare e conservare una prospettiva di fede ed ecclesiale a guidarci. Ripeto: una prospettiva di fede ed ecclesiale a guidarci, come molte volte ha ribadito Papa Francesco. Per la mia presentazione, in particolare nella prima parte, invito tutti a guardare al Signore risorto e a imparare da Lui, dai suoi discepoli e dal loro incontro.1 Voglio menzionare a questo puto gli studi pubblicati da Roberto Goizueta, Richard Horsley, Barbara Reid, Tomas Halik, Robert Enright e il cardinale Albert Vanhoye, per menzionare solo alcuni autori che mi hanno aiutato nelle mie riflessioni.

L’apparizione del Signore risorto ai Discepoli e a Tommaso (Gv 20:19-28)

Il Vangelo di San Giovanni narra di un’apparizione del Signore risorto ai discepoli la sera del primo giorno della settimana. Le porte erano chiuse a chiave perché i discepoli tremavano dalla paura, chiedendosi se sarebbe toccato presto a loro, di essere arrestati e crocifissi. È proprio in questo momento di assoluta impotenza che Gesù, risorto ma ancora ferito, appare in mezzo a loro. Dopo averli salutati con il messaggio della risurrezione – “la pace sia con voi” – Egli mostra loro le sue mani e il suo fianco, ancora segnati dalle ferite aperte. Solo avvicinandosi alle Sue ferite, avrebbero potuto essere inviati in missione di riconciliazione e perdono, con il potere dello Spirito Santo. In quel momento, Tommaso non era con loro. Ascoltiamo la narrazione dell’incontro tra il Signore risorto e Tommaso. “Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!»”.

Coloro che sono inviati devono essere in contatto con l’umanità ferita

Notate come Gesù ancora una volta li invita a guardare le sue ferite. Addirittura insiste affinché Tommaso metta il suo dito nelle ferite della mano e tocchi la ferita sul costato. Provate a immaginare come dev’essersi sentito Tommaso. Ma nel vedere le ferite del Signore risorto, egli esprime la suprema professione di fede a Dio come Signore e Dio. Vedere e toccare le ferite di Gesù è fondamentale per l’atto e la professione di fede.

Cosa possiamo imparare da questo incontro così intimo? Ripetendo due volte questa azione, l’evangelista chiarisce che coloro che sono inviati a proclamare il nocciolo della nostra fede cristiana, cioè la morte e risurrezione di Cristo, potranno farlo con autenticità soltanto se saranno costantemente in contatto con le ferite dell’umanità. Questa è una delle caratteristiche del nostro ministero. Questo vale per Tommaso e per la Chiesa di tutti i tempi, specialmente ai nostri tempi. Mons. Tomas Halik scrive: “Cristo va da lui, da Tommaso, e gli mostra le sue ferite. Questo significa che la risurrezione non è l’annullamento o la svalutazione della Croce. Le ferite sempre rimangono ferite”. Le ferite di Cristo rimangono le ferite del nostro mondo. E, aggiunge mons. Halik, “il nostro mondo è pieno di ferite. È mia convinzione che quelli che chiudono gli occhi di fronte alle ferite del nostro mondo non hanno il diritto di dire ‘mio Signore e mio Dio’”. Per lui, vedere e toccare le ferite di Cristo nelle ferite dell’umanità è una condizione per vivere una fede autentica. E ancora dice: “Io non posso credere finché non tocco le ferite, la sofferenza del mondo, perché tutte le ferite doloranti, tutte le miserie del mondo e dell’umanità sono le ferite di Cristo! Non ho il diritto di confessare Dio se non prendo sul serio la sofferenza del mio prossimo. Quella fede che vorrebbe chiudere gli occhi davanti alla sofferenza della gente, è soltanto un’illusione”. La fede nasce e ri-nasce soltanto dalle ferite di Cristo crocifisso e risorto, visto e toccato nelle ferite dell’umanità. Solo una fede ferita è credibile (Halik). Come possiamo professare la fede in Cristo se chiudiamo gli occhi davanti a tutte le ferite inflitte dagli abusi?

Cosa è in gioco

Fratelli e sorelle, ecco cosa è in gioco in questo momento di crisi, originato dall’abuso dei bambini e dalla nostra cattiva gestione di questo crimine. La nostra gente ha bisogno che noi ci avviciniamo alle sue ferite, che riconosciamo i nostri peccati se vogliamo dare una testimonianza autentica e credibile della nostra fede nella risurrezione. Questo significa che ciascuno di noi, come pure i nostri fratelli e sorelle che sono a casa, devono assumere personalmente la responsabilità di portare la guarigione a questa ferita inferta al Corpo di Cristo, che devono assumere l’impegno di fare tutto quanto sia in nostro potere e capacità per fare in modo che i bambini, nelle nostre comunità, siano al sicuro e amati. La presenza delle ferite della crocifissione sul Signore risorto rappresenta, per me, una sfida alla logica umana. Se si potesse fare una coreografia della risurrezione, Gesù si sarebbe presentato a casa di Erode o nel portico di Pilato, e avrebbe pronunciato il più grande “Ve l’avevo detto” della storia. Gesù avrebbe avuto il suo trionfo finale eliminando ogni segno di sofferenza, ingiustizia e sconfitta. Avrebbe fatto in modo che tutto questo rimanesse sepolto nel buio del passato e mai tornasse alla luce. Ma non è questo il modo di Gesù Cristo.

La risurrezione non è una vittoria illusoria. Mostrando le sue ferite ai discepoli, Gesù ristabilisce la loro memoria. Correttamente, Roberto Goizueta commenta che “le ferite sul corpo glorificato di Cristo rappresentano la memoria incarnata delle relazioni che hanno definito la sua vita e la sua morte”. Le ferite di Gesù sono la conseguenza del suo rapporto amorevole e compassionevole con i poveri, i malati, gli esattori delle tasse, le donne di dubbia reputazione, le persone malate di lebbra, i bambini rumorosi, gli estranei e gli stranieri. Le ferite di Gesù sono la conseguenza del fatto che Egli abbia permesso a se stesso di essere ferito quando ha toccato le ferite degli altri. E’ stato crocifisso perché amava queste persone concrete che a loro volta erano state ferite dalla società e dalla religione. Condividendo la loro debolezza e le loro ferite, divenne un fratello compassionevole piuttosto che un giudice severo. La Lettera agli Ebrei – 5, 8-9 – dice: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”. Le ferite del Signore risorto ricordano ai discepoli quell’amore che è pronto a essere ferito per compassione nei riguardi del genere umano. Le sue ferite sono le ferite degli altri che Lui liberamente ha preso su di sé. Lui non ha inflitto ferite agli altri, ma era pronto ad essere ferito in virtù del suo amore e della sua comunione con loro. Come diceva Frederick Gaiser, “il pastore che guarisce non è mai lontano dai pericoli, mai inattaccabile dai mali e dalle debolezze dalle quali cerca di proteggere il gregge”. Solo le ferite d’amore e di compassione possono guarire.

Non abbiate paura

Fratelli e sorelle, dobbiamo mettere da parte ogni esitazione ad avvicinarci alle ferite della nostra gente, per paura di essere feriti noi stessi. È vero, molte delle ferite che riceveremo sono parte del processo di ricostruzione della memoria al quale dobbiamo sottoporci, come fecero i discepoli di Gesù. Le ferite del Signore risorto ricordarono ai discepoli il tradimento, il loro proprio tradimento e l’abbandono di Gesù quando, per paura, vollero mettere in salvo la propria vita. Scapparono ai primi segnali di pericolo, terrorizzati dal prezzo da pagare per essere suoi discepoli e, nel caso di Pietro, negando addirittura di conoscere il Signore.

Le ferite di Gesù ricordano a loro e anche a noi che le ferite spesso sono inflitte dalla cecità che viene dall’ambizione e dal legalismo e dall’uso improprio del potere che hanno condannato una persona innocente a morire da criminale. Le ferite del Cristo risorto portano la memoria della sofferenza innocente, ma anche della nostra debolezza e della nostra immoralità. Se vogliamo essere operatori della guarigione, dobbiamo rigettare qualsiasi tendenza che appartenga a un pensiero mondano che rifiuta di vedere e toccare le ferite degli altri, quelle ferite che sono le ferite di Cristo nella gente ferita. Le persone ferite dall’abuso e dallo scandalo hanno bisogno che noi siamo, adesso, saldi nella fede. Il mondo ha bisogno di testimonianze autentiche della risurrezione di Cristo che ci avvicinino alle sue ferite come primo atto di fede. Voglio sottolinearlo: è un atto di fede.

Roberto Goizueta sostiene che la negazione delle ferite e della morte porta alla morte degli altri e di noi stessi. Oggi nel cuore della gente, ma anche nel nostro stesso cuore, c’è una grande paura che induce l’umanità dei nostri giorni a evitare di toccare le ferite del nostro mondo, semplicemente perché ha paura di guardare in faccia le nostre proprie ferite, la propria mortalità, debolezza, immoralità e vulnerabilità. Ernest Becker osserva che tendiamo a evitare il dolore e la sofferenza perché ci ricordano dolorosamente che siamo vulnerabili. Siamo stati ingannati a credere che avere tanto denaro, la giusta polizza assicurativa, la più assoluta sicurezza, le telecamere a circuito chiuso, l’ultimo modello di automobile e gadget e l’appartenenza a club che procurano il ringiovanimento e la salute possano renderci immortali. Purtroppo con questo eliminiamo anche le persone ferite tra di noi, eliminandole dalle strade quando ci sono visite di personalità importanti o nascondendo le loro baracche dietro a pannelli dipinti. In termini pungenti Goizueta afferma: “Se noi rinneghiamo la morte, la infliggiamo ad altri. Se rinneghiamo la morte, noi infliggiamo la morte. Ma la infliggiamo anche a noi stessi.

La paura del dolore e della vulnerabilità che ci porta a evitare rapporti umani veri, a evitare quel vero amore che sempre implica la resa e la vulnerabilità di fronte all’altro, in definitiva uccide la nostra – la nostra! – vita interiore, la nostra capacità di sentire qualsiasi cosa – né dolore né gioia, né amore”. La nostra capacità di amare potrebbe morire. Il terrore delle ferite ci isola e ci rende indifferenti alle necessità degli altri. La paura induce le persone ad assumere atteggiamenti violenti e irrazionali. La paura induce le persone a difendersi anche quando non c’è nessun pericolo. Coloro che seminano il terrore negli altri e nella società in realtà hanno paura di se stessi. In Gesù risorto sappiamo che guardando e toccando le ferite di coloro che soffrono, noi in realtà tocchiamo le nostre stesse ferite e tocchiamo Gesù. Diventiamo fratelli e sorelle gli uni delle altre. Riconosciamo la nostra colpa comune nell’infliggere ferite al genere umano e alla creazione. Sentiamo la chiamata alla riconciliazione. Osserviamo la presenza paziente del Signore risorto nel nostro mondo spaccato.

Accompagnamento continuo nella solidarietà

A proposito della seconda e ultima parte del mio contributo: una proposta psicologica alla luce della fede; alla luce della fede, e una proposta psicologica. In questa parte mi appoggio fortemente al dr. Robert Enright, professore all’Università di Wisconsin-Madison negli Stati, pioniere nello studio socioscientifico del perdono. Noi collaboriamo con lui in un programma sul perdono nelle Filippine. E infatti, proprio ora è in corso un seminario con gli Educatori delle Scuole cattoliche a Manila sul tema “Dolore, ferite e perdono”. Secondo lui, uno dei punti che dobbiamo valutare è: una volta ottenuta giustizia, come possiamo aiutare le vittime a guarire dagli effetti degli abusi? La giustizia è necessaria, ma da sola non basta per guarire il cuore dell’uomo. Se vogliamo rendere un servizio alle vittime e a tutte le persone ferite dalla crisi, dobbiamo prendere sul serio la loro ferita di risentimento e dolore e la loro necessità di guarigione. Il risentimento è una malattia che lentamente ma inesorabilmente infetta le persone finché uccide il loro entusiasmo e la loro energia. Con l’aumentare dello stress, sono inclini a fortissime crisi di ansia e depressioni, a una bassissima autostima e a conflitti interpersonali che vengono dalla frattura interiore che hanno subito.

Prima di sollevare il punto di chiedere alle vittime di perdonare, come parte della loro guarigione, dobbiamo chiarire che non stiamo suggerendo loro di lasciare perdere tutto, giustificare l’abuso e semplicemente andare avanti. No. Assolutamente no. Senza dubbio, sappiamo anche che quando le vittime arrivano al momento del perdono nei riguardi di chi ha fatto loro del male, avviene una guarigione veramente profonda e il comprensibile risentimento che nasce nel loro cuore si pacifica. Noi sappiamo che il perdono è una via potente e anche scientificamente dimostrata strada che aiuta a eliminare il dolore, il sentimento nel cuore dell’uomo. Noi, Chiesa, dobbiamo continuare a camminare insieme con le persone profondamente ferite dall’abuso costruendo fiducia, dando amore incondizionato e ripetutamente chiedendo perdono nella piena consapevolezza del fatto che in realtà quel perdono non ci spetta di diritto ma che potremo riceverlo soltanto se ci viene elargito come un dono e una grazia nel processo di guarigione. In ultimo, siamo preoccupati per il fatto che in alcuni casi vescovi e superiori religiosi siano tentati – a volte forse addirittura sotto pressione – di scegliere tra la vittima e l’abusatore. Chi dobbiamo aiutare? A chi dare aiuto? La riflessione su giustizia e perdono ci porta alla risposta: a tutti e due. Per quanto riguarda le vittime, dobbiamo aiutarle a manifestare le loro ferite profonde e a guarirne. Per quanto riguarda gli abusatori, è necessario applicare la giustizia, aiutarli a guardare in faccia la verità senza razionalizzazioni, e allo stesso tempo a non trascurare il loro mondo interiore, le loro ferite. A volte siamo tentati a pensare in termini di “o/oppure”: ci sforziamo di ottenere giustizia, oppure cerchiamo di offrire perdono. Dobbiamo spostarci sulla dimensione di “entrambi/e”, ponendoci deliberatamente queste domande: come possiamo amministrare la giustizia e favorire il perdono di fronte a queste ferite dell’abuso sessuale? Come possiamo prevenire un perdono distorto in modo che non sia equiparato al lasciar scappare via l’ingiustizia, andare avanti e lasciar perdere il male? Come possiamo mantenere un’ottica attenta del perdono come offerta di una sorprendente misericordia e di amore incondizionato nei riguardi di chi ha fatto il male, e al tempo stesso impegnarci per la giustizia? Come possiamo rinnovare la Chiesa mediante una decisa correzione di un preciso errore e camminare insieme alle vittime, pazientemente e costantemente chiedendo perdono, sapendo che questo dono può guarirle ancora meglio?

Conclusione

Prima di leggere il paragrafo conclusivo, vorrei leggere una parte della “Lettera al popolo di Dio pellegrino in Cile”, che Papa Francesco ha scritto il 31 maggio 2018, al no. 2: “Senza questa visione di fede, qualsiasi cosa potremmo dire o fare andrebbe a vuoto. Questa certezza è imprescindibile per guardare al presente senza evasività ma con audacia, con coraggio ma saggiamente, con tenacia ma senza violenza, con passione ma senza fanatismo, con costanza ma senza ansietà, e così cambiare tutto quello che oggi può mettere a rischio l’integrità e la dignità di ogni persona. Infatti, le soluzioni di cui c’è bisogno richiedono che si affrontino i problemi senza farsene irretire o, peggio ancora, ripetere quegli stessi meccanismi che vogliono eliminare”.

Imparando dal Signore risorto e dai suoi discepoli, guardiamo e tocchiamo le ferite delle vittime, delle famiglie, dei chierici colpevoli e innocenti, della Chiesa e della società. Osservando Gesù ferito dal tradimento e dall’abuso di potere, riconosciamo le piaghe delle persone ferite da coloro che avrebbero dovute proteggerle. In Gesù sperimentiamo la misericordia che tutela la giustizia e celebra il grande dono del perdono. Speriamo che la Chiesa diventi una comunità di giustizia che viene dalla comunione e dalla compassione, una Chiesa capace di procedere in una missione di riconciliazione con il mondo ferito, nello Spirito Santo. Una volta ancora, il Signore crocifisso e risorto è in mezzo a noi, in questo momento, ci mostra le sue ferite e proclama: “La pace sia con voi!”. Preghiamo di crescere nella nostra fede in questo grande mistero. Grazie.
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1 Gli Studi pubblicati da Roberto Goizueta, Richard Horsley, Barbara Reid, Tomas Halik, Robert Enright e dal cardinale Albert Vanhoye, per nominare solo alcuni autori, mi sono stati di aiuto nelle mie riflessioni


Relazione Scicluna
Introduzione

Il modo in cui noi Vescovi esercitiamo il nostro ministero al servizio della giustizia nelle nostre comunità è una delle prove fondamentali della nostra corresponsabilità e, di fatto, della nostra fedeltà. Per citare il Signore in Luca 12,48: “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”. Ci è stata affidata la cura del nostro popolo. È nostro sacro dovere proteggere il nostro popolo e garantire la giustizia di quanti siano stati abusati. Nella sua lettera ai cattolici dell’Irlanda, pubblicata il 19 marzo 2010, Papa Benedetto XVI ha detto questo: “Solo esaminando con attenzione i molti elementi che diedero origine alla presente crisi è possibile intraprendere una chiara diagnosi delle sue cause e trovare rimedi efficaci. Certamente, tra i fattori che vi contribuirono possiamo enumerare: procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati; una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali, che hanno portato come risultato alla mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona. Bisogna agire con urgenza per affrontare questi fattori, che hanno avuto conseguenze tanto tragiche per le vite delle vittime e delle loro famiglie e hanno oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione”. (n. 4b) http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/en/letters/2010/documents/hf_benxvi_let_20100319_church-ireland.html

Il mio intervento di questa mattina intende ripercorrere le principali fasi dei processi dei singoli casi di abusi sessuali su minori da parte di membri del clero con alcuni suggerimenti pratici dettati dalla prudenza, dalle best practise e dalla primaria preoccupazione per la salvaguardia dell’innocenza dei nostri bambini e dei nostri giovani.

Segnalazione di atti di cattiva condotta sessuale

La prima fase è la segnalazione di atti di cattiva condotta sessuale. È essenziale che la comunità sia informata del fatto che ha il dovere e il diritto di denunciare l’atto di cattiva condotta sessuale a una persona di riferimento nella diocesi o nell’Ordine religioso. Tali contatti devono essere di pubblico dominio.

È consigliabile che nell’eventualità un caso di cattiva condotta venga riferito direttamente al Vescovo o al Superiore religioso, questi ultimi riportino le informazioni all’interlocutore designato. In ogni caso e per tutte le fasi di gestione di ciascuno di essi, questi due aspetti dovrebbero essere sempre osservati in ogni momento:

I) i protocolli stabiliti devono essere rispettati.

II) devono essere rispettate le leggi civili o nazionali. È importante che ogni accusa sia esaminata con l’aiuto di esperti e che l’indagine sia conclusa senza inutili ritardi. Il discernimento dell’autorità ecclesiastica deve essere collegiale. In un certo numero di chiese locali sono stati istituiti comitati di revisione o commissioni di tutela e questa esperienza si è rivelata utile. È un tale sollievo per noi vescovi quando siamo in grado di condividere il nostro dispiacere, il nostro dolore e la nostra frustrazione di fronte ai terribili effetti della cattiva condotta di alcuni dei nostri sacerdoti. La consulenza di esperti porta luce e conforto e ci aiuta ad arrivare a decisioni basate sulla competenza scientifica e professionale. Affrontare i casi che si presentano in un contesto sinodale o collegiale darà la forza necessaria ai vescovi per raggiungere in modo pastorale le vittime, i sacerdoti accusati, la comunità dei fedeli e persino la società in generale. Tutte queste persone richiedono un’attenzione particolare e il Vescovo e il Superiore religioso devono far giungere il proprio supporto pastorale di persona o attraverso i propri delegati.

Come pastori del gregge del Signore non dobbiamo sottovalutare la necessità di confrontarci con le profonde ferite inflitte alle vittime di abusi sessuali da parte dei membri del clero. Sono ferite di natura psicologica e spirituale che devono essere curate con la massima premura. Nei miei numerosi incontri con le vittime in tutto il mondo mi sono reso conto che questo è un terreno sacro dove incontriamo Gesù sulla Croce. Questa è una Via Crucis cui noi vescovi e altri leader della Chiesa non possiamo sottrarci. Dobbiamo essere Simone di Cirene nell’aiutare le vittime con le quali Gesù si identifica (Matteo 25) a portare la loro pesante croce.

Indagine sulla cattiva condotta sessuale

In base al Motu Proprio Sacramentorum Sanctitatis tutela, il risultato dell’indagine sulla cattiva condotta sessuale del clero con minori di 18 anni deve essere riferito alla Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF). In questi casi, l’Ordinario è autorizzato dal Diritto Canonico ad applicare misure cautelative (CIC 1722) che limitano o vietano l’esercizio del ministero. L’Ordinario dovrebbe consultare i suoi esperti canonici in tutti i casi di cattiva condotta sessuale, in modo che il rinvio sia fatto quando è necessario e che siano adottate procedure adeguate a livello locale, quando il caso non sia di pertinenza della Santa Sede (per esempio, quando la cattiva condotta si verifichi tra adulti consenzienti). Gli esperti aiuteranno inoltre il Vescovo o il Superiore religioso a condividere con la CDF tutte le informazioni necessarie e lo aiuteranno ad esprimere il suo parere sia sul merito delle accuse che sulle procedure da adottare. È consigliabile che l’Ordinario segua il caso con la CDF. Il Vescovo o Superiore religioso si trova nella migliore posizione per comprendere il potenziale impatto che l’esito del caso può avere sulla sua comunità. La CDF prende sul serio il consiglio del Vescovo ed è sempre disponibile a discutere i singoli casi con le autorità ecclesiastiche competenti.

Processo penale canonico

Nella maggior parte dei casi riferiti alla CDF, la Santa Sede autorizza un processo penale canonico. La maggior parte dei processi penali canonici sono di tipo extragiudiziale o amministrativo (CIC 1720). I procedimenti penali giudiziari sono autorizzati in un numero minore di casi. In entrambi i tipi di processo, l’Ordinario ha il dovere di nominare Delegati e Periti o Giudici e Promotori di Giustizia che siano prudenti, qualificati accademicamente e rinomati per il loro senso di imparzialità. Nel nostro sistema, così come si presenta attualmente, il ruolo della vittima di abuso sessuale nei procedimenti canonici è limitato. Il supporto pastorale dell’Ordinario aiuterà a colmare questa lacuna. La persona responsabile della tutela nella Diocesi o nell’Ordine religioso dovrebbe essere in grado di condividere le informazioni sullo stato di avanzamento del procedimento con la vittima, o le vittime, del caso.

Nel processo penale giudiziario la vittima ha il diritto di intentare una causa per danni dinanzi al giudice ecclesiastico di Primo grado. Nel caso di un procedimento penale amministrativo questa iniziativa deve essere presa dall’Ordinario a nome della vittima, chiedendo al Delegato di concedere il risarcimento dei danni a favore della vittima come conseguenza subordinata a un’eventuale decisione di colpevolezza. L’essenza di un processo giusto richiede che l’imputato sia a conoscenza di tutte le discussioni e prove a suo carico; che all’imputato sia concesso il pieno beneficio del diritto di presentare la propria difesa; che la sentenza sia emessa sulla base dei fatti del caso e della legge applicabile al caso; che una sentenza o decisione motivata sia comunicata per iscritto all’imputato e che l’imputato abbia facoltà di impugnazione avverso una sentenza o decisione che gli arrechi pregiudizio.

Una volta che l’Ordinario, seguendo le istruzioni del CDF, nomina un Delegato e i suoi Periti in un processo amministrativo, o nomina i membri del Tribunale in un processo penale giudiziario, deve lasciare che le persone nominate facciano il loro lavoro e deve astenersi dall’interferire nel processo. Resta, tuttavia, suo dovere garantire che il processo si svolga in modo tempestivo e secondo il diritto canonico. Un processo penale canonico, sia giudiziario che amministrativo, si conclude con uno dei tre possibili esiti: una decisio condemnatoria (dove il reus è ritenuto colpevole di un delitto canonico); una decisio dimissoria (dove le accuse non sono state dimostrate); o una decisio absolutoria (dove l’imputato è dichiarato innocente).

Una decisio dimissoria potrebbe creare un dilemma. Il Vescovo o Superiore religioso potrebbe ancora trovarsi in difficoltà nel consentire all’accusato di tornare a esercitare il suo Ministero nel caso in cui le accuse siano credibili, ma il caso non sia stato provato. In queste circostanze è essenziale la consulenza di esperti e l’Ordinario dovrebbe usare la propria autorità per garantire il bene comune e assicurare l’effettiva tutela dei bambini e dei giovani.


Confronto con la giurisdizione degli Stati

Un aspetto essenziale dell’esercizio della corresponsabilità in questi casi è l’opportuno confronto con la giurisdizione dello Stato. Stiamo parlando di cattiva condotta che è anche un reato in tutte le giurisdizioni degli Stati. La competenza delle autorità statali dovrebbe essere rispettata. Le norme che regolano comunicazione delle denunce dovrebbero essere seguite attentamente e uno spirito di collaborazione andrà a beneficio sia della Chiesa che della società in generale. I tribunali civili hanno facoltà di punire i reati e di risarcire i danni ai sensi delle leggi in materia civile. I limiti di legge in materia civile o i criteri di prova possono essere diversi da quelli applicati nei procedimenti canonici. Differenti risultati per lo stesso caso non sono un evento raro. In una serie di procedimenti canonici, gli atti presentati o prodotti nel corso di un procedimento civile sono presentati come elemento di prova. Ciò avviene molto spesso nei casi di acquisizione, possesso o divulgazione di pornografia minorile in cui le autorità statali dispongono di migliori mezzi di individuazione, sorveglianza e accesso alle prove. La differenza di leggi relative ai termini di prescrizione è un altro motivo di diversità di risultati di un medesimo caso deciso in giurisdizioni diverse. Il potere del CDF di derogare alla prescrizione ventennale è ancora invocato in un certo numero di casi storici, ma è vero che essa non dovrebbe essere la norma ma, piuttosto, l’eccezione. La ratio legis sta nel fatto che l’accertamento della verità e la garanzia della giustizia richiedono la possibilità di esercitare la competenza giurisdizionale in favore del bene comune anche nei casi in cui il reato sia stato commesso lontano nel tempo.

Attuazione dei provvedimenti canonici

Il Vescovo e il Superiore Religioso hanno il dovere di vigilare sull’attuazione e l’esecuzione delle legittime conseguenze dei procedimenti penali. Si deve tener conto del diritto dell’imputato di ricorrere ai mezzi consentiti dalla legge contro un’azione penale che lo danneggia. Una volta esaurita la fase di appello è dovere dell’Ordinario informare la Comunità sull’esito definitivo del processo. La sentenza che stabilisce la colpevolezza dell’imputato e la pena inflitta devono essere attuate senza indugio. Le sentenze che stabiliscono l’innocenza dell’imputato devono essere anch’esse debitamente rese pubbliche. Sappiamo tutti che è molto difficile risanare il buon nome di un sacerdote che potrebbe essere stato ingiustamente accusato.

La questione dell’assistenza successiva in questi casi riguarda anche la cura delle vittime che sono state tradite negli aspetti più fondamentali e spirituali della loro personalità e del loro essere. Anche le loro famiglie sono profondamente colpite e l’intera comunità deve condividere il peso della loro vita e accompagnarli verso la guarigione. Le parole di Benedetto XVI ai Vescovi d’Irlanda, il 28 ottobre 2006, risuonano oggi più profetiche: “Nell’esercizio del vostro ministero pastorale, negli ultimi anni avete dovuto rispondere a molti casi dolorosi di abusi sessuali su minori. Questi sono ancora più tragici quando a compierli è un ecclesiastico. Le ferite causate da simili atti sono profonde, ed è urgente il compito di ristabilire la confidenza e la fiducia quando queste sono state lese. Nei vostri sforzi continui di affrontare in modo efficace questo problema, è importante stabilire la verità di ciò che è accaduto in passato, prendere tutte le misure atte ad evitare che si ripeta in futuro, assicurare che i principi di giustizia vengano pienamente rispettati e, soprattutto, guarire le vittime e tutti coloro che sono colpiti da questi crimini abnormi. In tal modo la Chiesa in Irlanda si rafforzerà e sarà sempre più capace di dare testimonianza della forza redentrice della Croce di Cristo.

Prego affinché per grazia dello Spirito Santo questo tempo di purificazione consenta a tutto il popolo di Dio in Irlanda di “mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto” (Lumen gentium, n. 40). L’ottimo lavoro e il generoso impegno della grande maggioranza dei sacerdoti e dei religiosi in Irlanda non devono essere oscurati dalle trasgressioni di alcuni loro fratelli. Sono certo che la gente lo capisce e che continua a guardare al suo clero con affetto e stima. Incoraggiate i vostri sacerdoti a cercare sempre il rinnovamento spirituale e a scoprire di nuovo la gioia di prendersi cura del loro gregge in seno alla grande famiglia della Chiesa”. http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/en/speeches/2006/october/documents/hf_benxvi_spe_20061028_ad-limina-ireland.html

Prevenzione dell’abuso sessuale

La nostra corresponsabilità dovrebbe anche comprendere la questione urgente e a lungo termine della prevenzione degli atti di cattiva condotta sessuale in generale e dell’abuso sessuale sui minori in particolare. Nonostante la mancanza di candidati al sacerdozio in alcune parti del mondo, ma anche in vista di una fioritura di vocazioni in altre zone, la questione della scelta dei futuri candidati rimane essenziale. I documenti più recenti della Congregazione per il Clero sui programmi di formazione umana dovrebbero essere studiati e attuati in modo approfondito. Per citare la più recente Ratio Fundamentalis (8 dicembre 2016): “Massima attenzione dovrà essere prestata al tema della tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, vigilando con cura che coloro che chiedono l’ammissione in un Seminario o in una casa di formazione, o che già presentano la domanda per ricevere gli Ordini, non siano incorsi in alcun modo in delitti o situazioni problematiche in questo ambito. Uno speciale e pertinente accompagnamento personale dovrà essere assicurato dai formatori a coloro che abbiano subito esperienze dolorose in questo ambito. Nel programma sia della formazione iniziale che di quella permanente, sono da inserire lezioni specifiche, seminari o corsi sulla protezione dei minori. Una informazione adeguata deve essere impartita in modo adatto e dando anche rilievo alle aree di possibile sfruttamento o di violenza, come, ad esempio, la tratta dei minori, il lavoro minorile e gli abusi sessuali sui minori o sugli adulti vulnerabili” (n. 202).

Una giusta ed equilibrata comprensione delle esigenze del celibato sacerdotale e della castità dovrebbe essere sostenuta da una profonda e sana formazione alla libertà umana e a una sana dottrina morale. I candidati al sacerdozio e alla vita religiosa dovrebbero nutrire e crescere in quella paternità spirituale che dovrebbe rimanere la motivazione di base per una generosa donazione di se stessi alla comunità di fede, sull’esempio di Gesù Buon Pastore. Il Vescovo e il Superiore religioso dovrebbero esercitare la loro paternità spirituale vis-à-vis nei confronti dei sacerdoti affidati alle loro cure. Questa paternità si realizza attraverso l’accompagnamento con l’aiuto di sacerdoti prudenti e santi. La prevenzione è più efficace quando i Protocolli sono chiari e i Codici di condotta ben noti. La risposta alla cattiva condotta dovrebbe essere giusta e anche equilibrata. I risultati dovrebbero essere chiari fin dall’inizio. Soprattutto, l’Ordinario ha la responsabilità di garantire e promuovere il benessere personale, fisico, mentale e spirituale dei sacerdoti. I documenti del magistero su questo tema sottolineano la necessità di una formazione permanente e di momenti e luoghi in cui vivere la fraternità nel presbyterium. Un buon corresponsabile rafforzerà la sua comunità attraverso l’informazione e la formazione. Ci sono già esempi di best practice in diversi paesi in cui intere comunità parrocchiali hanno ricevuto una formazione specifica in materia di prevenzione. Questa esperienza valida e positiva deve crescere in termini di accessibilità ed estensione in tutto il mondo.

Un altro servizio alla comunità è la disponibilità di un facile accesso ai meccanismi di comunicazione, in modo che la cultura della divulgazione non sia promossa solo dalle parole ma anche incoraggiata dai fatti. I protocolli di salvaguardia dovrebbero essere facilmente accessibili in un linguaggio chiaro e diretto. La comunità di fede affidata alla nostra tutela deve sapere che facciamo sul serio. Devono conoscerci come paladini della loro sicurezza e di quella dei loro figli e dei loro giovani. Li coinvolgeremo con franchezza e umiltà. Li proteggeremo a ogni costo. Daremo la nostra vita per i greggi che ci sono stati affidati. Un altro aspetto della corresponsabilità nella prevenzione è la selezione e la presentazione del candidato alla missione di Vescovo. Molti chiedono che il processo sia più aperto al contributo dei laici della comunità. Noi Vescovi e Superiori religiosi abbiamo il sacro dovere di aiutare il Santo Padre ad arrivare a un giusto discernimento sui possibili candidati alla leadership come Vescovi. È un grave peccato contro l’integrità del ministero episcopale nascondere o sottovalutare fatti che possano indicare carenze nello stile di vita o nella paternità spirituale circa quei sacerdoti soggetti a alla verifica pontificia sulla loro idoneità all’ufficio di Vescovo.

A questo punto vorrei offrire un’altra citazione dalla Lettera di Papa Benedetto XVI al Popolo in Dio in Irlanda, il 19 marzo 2010, questa volta espressamente indirizzata ai Vescovi: “Non si può negare che alcuni di voi e dei vostri predecessori avete mancato, a volte gravemente, nell’applicare le norme del diritto canonico codificate da lungo tempo circa i crimini di abusi di ragazzi. Seri errori furono commessi nel trattare le accuse. Capisco quanto era difficile afferrare l’estensione e la complessità del problema, ottenere informazioni affidabili e prendere decisioni giuste alla luce di consigli divergenti di esperti. Ciononostante, si deve ammettere che furono commessi gravi errori di giudizio e che si sono verificate mancanze di governo. Tutto questo ha seriamente minato la vostra credibilità ed efficacia. Apprezzo gli sforzi che avete fatto per porre rimedio agli errori del passato e per assicurare che non si ripetano. Oltre a mettere pienamente in atto le norme del diritto canonico nell’affrontare i casi di abuso dei ragazzi, continuate a cooperare con le autorità civili nell’ambito di loro competenza. Chiaramente, i superiori religiosi devono fare altrettanto. Anch’essi hanno partecipato a recenti incontri qui a Roma intesi a stabilire un approccio chiaro e coerente a queste questioni. È doveroso che le norme della Chiesa in Irlanda per la tutela dei ragazzi siano costantemente riviste ed aggiornate e che siano applicate in modo pieno ed imparziale in conformità con il diritto canonico. Soltanto un’azione decisa portata avanti con piena onestà e trasparenza potrà ripristinare il rispetto e il benvolere degli Irlandesi verso la Chiesa alla quale abbiamo consacrato la nostra vita. Ciò deve scaturire, prima di tutto, dal vostro esame di voi stessi, dalla purificazione interiore e dal rinnovamento spirituale. La gente dell’Irlanda giustamente si attende che siate uomini di Dio, che siate santi, che viviate con semplicità, che ricerchiate ogni giorno la conversione personale. Per loro, secondo l’espressione di Sant’Agostino, siete vescovi; eppure con loro siete chiamati ad essere seguaci di Cristo (cfr Discorso 340, 1).

Vi esorto dunque a rinnovare il vostro senso di responsabilità davanti a Dio, a crescere in solidarietà con la vostra gente e ad approfondire la vostra sollecitudine pastorale per tutti i membri del vostro gregge. In particolare, siate sensibili alla vita spirituale e morale di ciascuno dei vostri sacerdoti. Siate un esempio con le vostre stesse vite, siate loro vicini, prestate ascolto alle loro preoccupazioni, offrite loro incoraggiamento in questo tempo di difficoltà e alimentate la fiamma del loro amore per Cristo e il loro impegno nel servizio dei loro fratelli e sorelle. Anche i laici devono essere incoraggiati a fare la loro parte nella vita della Chiesa. Fate in modo che siano formati in modo tale che possano dare ragione in modo articolato e convincente del Vangelo nella società moderna (cfr 1 Pt 3, 15), e cooperino più pienamente alla vita e alla missione della Chiesa. Questo, a sua volta, vi aiuterà a ritornare ad essere guide e testimoni credibili della verità redentrice di Cristo.”. (n.11) http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/en/letters/2010/documents/hf_benxvi_let_20100319_church-ireland.html

Conclusioni

Come ha scritto Papa Francesco nella sua Lettera al popolo di Dio (20 agosto 2018): “È imprescindibile che come Chiesa possiamo riconoscere e condannare con dolore e vergogna le atrocità commesse da persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione di vigilare e proteggere i più vulnerabili. Chiediamo perdono per i peccati propri e altrui. La coscienza del peccato ci aiuta a riconoscere gli errori, i delitti e le ferite procurate nel passato e ci permette di aprirci e impegnarci maggiormente nel presente in un cammino di rinnovata conversione”. http://m.vatican.va/content/francescomobile/en/letters/2018/documents/papafrancesco_20180820_lettera-popolo-didio.html



Marco Tosatti


Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, un messaggio che l'arcivescovo Carlo Maria Viganò ha scritto indirizzandolo al Pontefice e ai vescovi riuniti nel vertice in Vaticano nella giornata in cui si ricorda San Pietro Damiano, un grande santo che si batte contro l'omosessualità e la simonia nella Chiesa.


Non possiamo evitare di vedere come un segno della Provvidenza che voi, Papa Francesco e Fratelli Vescovi che rappresentano l'intera Chiesa, vi siate riuniti proprio nello stesso giorno in cui celebriamo la memoria di San Pietro Damiano. Questo grande monaco nell'XI secolo ha messo tutta la sua forza e il suo zelo apostolico nel rinnovare la Chiesa nel suo tempo, così profondamente corrotto dai peccati di sodomia e simonia. Lo fece con l'aiuto di fedeli Vescovi e laici, in particolare con l'appoggio dell'abate Hildebrand dell'Abbazia di San Paolo extra muros, il futuro Papa San Gregorio Magno.

Consentitemi di proporre per la nostra meditazione le parole del nostro caro Papa Emerito Benedetto XVI indirizzate al popolo di Dio nell'udienza generale di mercoledì 17 maggio 2006, commentando proprio il brano del Vangelo di Marco 8: 27- 33 che abbiamo proclamato nella messa di oggi.

"Pietro doveva vivere un altro momento importante del suo viaggio spirituale vicino a Cesarea di Filippo quando Gesù chiese ai discepoli una domanda precisa:" Chi dicono che io sia? " (Mc 8, 27). Ma per Gesù il “sentito dire” non era sufficiente. Voleva da coloro che avevano accettato di essere personalmente coinvolti con lui una dichiarazione personale della loro posizione. Di conseguenza, ha insistito: "Ma tu chi dici che io sia?" (Mc 8, 29).

Fu Pietro a rispondere a nome degli altri: "Tu sei il Cristo" (ibid.), Cioè il Messia. La risposta di Pietro, che non gli è stata rivelata da "carne e sangue" ma gli è stata data dal Padre che è nei cieli (cfr Mt 16, 17), contiene come in un seme la futura confessione di fede della Chiesa. Tuttavia, Pietro non aveva ancora capito il contenuto profondo della missione messianica di Gesù, il nuovo significato di questa parola: il Messia.

Lo dimostrò un po’ più tardi, deducendo che il Messia che sta seguendo nei suoi sogni è molto diverso dal vero piano di Dio. Rimase scioccato dall'annuncio della Passione del Signore e protestò, scatenando una vivace reazione da parte di Gesù (cfr Mc 8, 32-33).

Pietro voleva come Messia un "uomo divino" che soddisfacesse le aspettative del popolo imponendo il suo potere su tutti: vorremmo anche noi che il Signore imponesse il suo potere e trasformasse il mondo all'istante. Gesù si è presentato come un "Dio umano", il Servo di Dio, che ha rovesciato le aspettative della folla seguendo un percorso di umiltà e sofferenza.

Questa è la grande alternativa che dobbiamo imparare più e più volte: o dare priorità alle nostre aspettative, e rifiutare Gesù; o accettare Gesù nella verità della sua missione e mettere da parte le aspettative troppo umane.

Pietro, impulsivo com'era, non esitò a prendere da parte Gesù e lo rimproverò. La risposta di Gesù demolì tutte le sue false aspettative, chiamandolo alla conversione e a seguirlo: "Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini" (Mc 8, 33)”. Non sei tu che devi mostrarmi la strada. Prendo la mia strada e tu dovrai seguirmi.

Pietro apprese così che cosa significa seguire Gesù in realtà. Era la sua seconda chiamata, simile a quella di Abramo in Genesi 22, dopo quella in Genesi 12: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. [8.35] Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà"(Mc 8, 34-35). Questa è la regola esigente della sequela di Cristo: bisogna essere in grado, se necessario, di rinunciare al mondo intero per salvare i veri valori, per salvare l'anima, per salvare la presenza di Dio nel mondo (cfr Mc 8: 36-37). E sebbene con difficoltà, Pietro accettò l'invito e continuò la sua vita sulle orme del Maestro.

E mi sembra che queste conversioni di San Pietro in diverse occasioni, e la sua intera figura, siano una grande consolazione e una grande lezione per noi. Anche noi abbiamo un desiderio per Dio, anche noi vogliamo essere generosi, ma anche noi ci aspettiamo che Dio sia forte nel mondo e che trasformi il mondo subito, secondo le nostre idee e i bisogni che percepiamo.

Dio sceglie un modo diverso. Dio sceglie la via della trasformazione dei cuori nella sofferenza e nell'umiltà. E noi, come Pietro, dobbiamo convertirci, ancora e ancora. Dobbiamo seguire Gesù e non andare davanti a lui: è lui che ci indica la via.

È così che Pietro ci dice: pensi di avere la ricetta e che spetta a te trasformare il cristianesimo, ma è il Signore che conosce la strada. È il Signore che mi dice, che ti dice: seguimi! E dobbiamo avere il coraggio e l'umiltà di seguire Gesù, perché è la Via, la Verità e la Vita. "

Maria, Mater Ecclesiae, Ora pro nobis,

Maria, Regina Apostolorum, Ora pro nobis.

Maria, Mater Gratiae, Mater Misericordiae, Tu nos ab hoste protege et mortis hora suscipe.

+ Carlo Maria Viganò
Tit. Arcivescovo di Ulpiana
Nunzio Apostolico
21 febbraio 2019
Memoria di San Pietro Damiano


We cannot avoid to see as a sign of Providence that you Pope Francis and brother Bishops representing the entire Church have come together on the very day on which we celebrate the memory of St. Peter Damian. This great monk in the 11th century put all his strength and apostolic zeal into renewing the Church in his time, so deeply corrupted by sins of sodomy and simony. He did that with the help of faithful Bishops and lay people, especially with the support of Abbot Hildebrand of the Abbey of St Paul extra muros, the future Pope St. Gregory the Great. 

Allow me to propose for our meditation the words of our dear Pope Emeritus Benedict XVI addressed to the people of God in the General Audience of Wednesday, the 17th of May, 2006, commenting on the very passage of the Gospel of Mark 8:27-33 that we proclaimed on today’s Mass.

“Peter was to live another important moment of his spiritual journey near Caesarea Philippi when Jesus asked the disciples a precise question: "Who do men say that I am?" (Mk 8: 27). But for Jesus hearsay did not suffice. He wanted from those who had agreed to be personally involved with him a personal statement of their position. Consequently, he insisted: "But who do you say that I am?" (Mk 8: 29). 

It was Peter who answered on behalf of the others: "You are the Christ" (ibid.), that is, the Messiah. Peter's answer, which was not revealed to him by "flesh and blood" but was given to him by the Father who is in heaven (cf. Mt 16: 17), contains as in a seed the future confession of faith of the Church. However, Peter had not yet understood the profound content of Jesus' Messianic mission, the new meaning of this word: Messiah.

He demonstrates this a little later, inferring that the Messiah whom he is following in his dreams is very different from God's true plan. He was shocked by the Lord's announcement of the Passion and protested, prompting a lively reaction from Jesus (cf. Mk 8: 32-33).

Peter wanted as Messiah a "divine man" who would fulfil the expectations of the people by imposing his power upon them all: we would also like the Lord to impose his power and transform the world instantly. Jesus presented himself as a "human God", the Servant of God, who turned the crowd's expectations upside-down by taking a path of humility and suffering.

This is the great alternative that we must learn over and over again: to give priority to our own expectations, rejecting Jesus, or to accept Jesus in the truth of his mission and set aside all too human expectations.

Peter, impulsive as he was, did not hesitate to take Jesus aside and rebuke him. Jesus' answer demolished all his false expectations, calling him to conversion and to follow him: "Get behind me, Satan! For you are not on the side of God, but of men" (Mk 8: 33). It is not for you to show me the way; I take my own way and you should follow me.

Peter thus learned what following Jesus truly means. It was his second call, similar to Abraham's in Genesis 22, after that in Genesis 12: "If any man would come after me, let him deny himself and take up his cross and follow me. For whoever would save his life will lose it; and whoever loses his life for my sake and the Gospel's will save it" (Mk 8: 34-35). This is the demanding rule of the following of Christ: one must be able, if necessary, to give up the whole world to save the true values, to save the soul, to save the presence of God in the world (cf. Mk 8: 36-37). And though with difficulty, Peter accepted the invitation and continued his life in the Master's footsteps.

And it seems to me that these conversions of St Peter on different occasions, and his whole figure, are a great consolation and a great lesson for us. We too have a desire for God, we too want to be generous, but we too expect God to be strong in the world and to transform the world on the spot, according to our ideas and the needs that we perceive.

God chooses a different way. God chooses the way of the transformation of hearts in suffering and in humility. And we, like Peter, must convert, over and over again. We must follow Jesus and not go before him: it is he who shows us the way.

So it is that Peter tells us: You think you have the recipe and that it is up to you to transform Christianity, but it is the Lord who knows the way. It is the Lord who says to me, who says to you: follow me! And we must have the courage and humility to follow Jesus, because he is the Way, the Truth and the Life.”


Maria, Mater Ecclesiae, Ora pro nobis,

Maria, Regina Apostolorum, Ora pro nobis.

Maria, Mater Gratiae, Mater Misericordiae, Tu nos ab hoste protege et mortis hora suscipe.

+ Carlo Maria Viganò
Tit. Archbishop of Ulpiana
Apostolic Nuncio
February 21, 2019
Memory of St. Peter Damian


21-02-2019
Si apre stamattina in Vaticano il vertice sugli abusi sessuali nella Chiesa che sta suscitando molte attese. Ma malgrado la retorica della “tolleranza zero” e della “trasparenza”, non c’è proprio aria di andare al fondo della questione. Intanto è "scomparso" anche il cardinale O'Malley che, formalmente, è ancora a capo della Pontificia Commissione per la tutela dei minori. Non è nel comitato organizzatore né risulta fra i relatori, un segnale molto negativo.
- AVVENIRE E LA GAY CONNECTION, di Tommaso Scandroglio
- BURKE E BRANDMULLER: VESCOVI, FERMATE LA DERIVA OMOSESSUALISTA
- AL VIA IL SUMMIT, IL PAPA: "CI VUOLE CONCRETEZZA" di Nico Spuntoni



Quando lo scorso 12 settembre papa Francesco ha annunciato che l’incontro dei presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo sul tema degli abusi dei minori sarebbe iniziato oggi, 21 febbraio, sicuramente non si sarà accorto che questa data coincide con la memoria di san Pier Damiani. Il monaco e dottore della Chiesa, vissuto nell’XI secolo, è famoso per il suo Liber Gomorrhianus (Libro di Gomorra); sottotitolo di una edizione moderna: “Omosessualità ecclesiastica e riforma della Chiesa” (clicca qui).

È una coincidenza molto significativa, ancor più se si considera che quel libro era indirizzato al papa Leone IX, perché intervenisse in maniera drastica contro questa «turpe pratica». «Nelle nostre regioni – scriveva san Pier Damiani - cresce un vizio assai scellerato e obbrobrioso. Se la mano della severa punizione non lo affronterà al più presto, certamente la spada del furore divino infierirà terribilmente, minacciando la sventura di molti. Ah, mi vergogno a dirlo! (…) La sozzura sodomitica si insinua come un cancro nell’ordine ecclesiastico, anzi, come una bestia assetata di sangue infuria nell’ovile di Cristo con libera audacia». Seppure il linguaggio crudo mal si adatta ai nostri tempi, il giudizio e l’avvertimento riguardano la Chiesa di ogni epoca.

È in fondo lo stesso tipo di messaggio contenuto nella lettera aperta pubblicata ieri dei cardinali Raymond L. Burke e Walter Brandmüller i quali - nel denunciare «l’agenda omosessuale» diffusa nella Chiesa e «promossa da reti organizzate e protetta da un clima di complicità e omertà» - ricordano ai loro confratelli vescovi che la radice di questa crisi morale «che corrompe certi ambienti della Chiesa» sta «in quell’atmosfera di materialismo, di relativismo e di edonismo, in cui l’esistenza di una legge morale assoluta, cioè senza eccezioni, è messa apertamente in discussione». In altre parole la vera colpa del clero «sta nell’essersi allontanato dalla verità del Vangelo», è una crisi di fede.

Non sembra però che finora questo messaggio abbia fatto breccia nella cabina di regia del vertice che inizia oggi. La linea è dettata: «Il problema è il clericalismo», e da qui non ci si sposta. Di positivo c’è l’ascolto delle vittime degli abusi, che tutti possano rendersi conto dei danni che questi abusi comportano, che tutti tocchino con mano le conseguenze di questi crimini e delle complicità di chi, pur sapendo, non interviene. Ma malgrado la retorica della “tolleranza zero” e della “trasparenza”, non c’è proprio aria di andare al fondo della questione, alle radici del problema. Vediamo brevemente alcuni di questi elementi critici, che non fanno ben sperare:
Il tema omosessualità è rigorosamente lasciato fuori dalla porta. Non è certo l’unico problema, ma se l’80% e oltre degli abusi sono in realtà atti omosessuali una qualche domanda bisognerà pur farsela se si vuole davvero risolvere la questione. È quello che ha detto il cardinale Müller nell’intervista che ci ha dato alcune settimane fa, ma è anche una semplice questione di buon senso. Non si tratta di marchiare le persone che hanno tendenze omosessuali o di lanciare una caccia alle streghe. Piuttosto è necessario che si ribadisca il giudizio sull’omosessualità, viste le spinte e le pressioni che puntano a una revisione del Catechismo (vedi la vicenda Avvenire). Questa ostinazione a non voler affrontare il tema lancia un sinistro segnale di ambiguità.

A questo proposito, non è certo un buon segno che alla conferenza stampa di presentazione del vertice, lunedì il cardinale Blase Cupich, arcivescovo di Chicago, abbia clamorosamente contraddetto il Catechismo, come ha giustamente sottolineato Costanza Miriano. «Gli abusi non hanno a che fare con un particolare orientamento sessuale», ha risposto a una delle domande che gli sono state fatte sull’argomento. Ma questo è già una inaccettabile assunzione del linguaggio Lgbt, che al sesso biologico sostituisce i vari orientamenti che ognuno liberamente sceglie. In realtà il progetto creatore di Dio prevede solo maschi e femmine, tra loro complementari; orientamenti diversi da questo costituiscono un “disordine”, che non potrà mai diventare “ordine” anche se lo decidesse la maggioranza del popolo.

Non solo si vuole evitare di definire la questione omosessualità, anche per quel che riguarda la vocazione sacerdotale, ma questa “neutralità” fa chiaramente il gioco di chi vuole usare di questa occasione per legittimare l’omosessualità. Il caso Avvenire ne è un esempio, le parole di Cupich un altro esempio; il lancio del libro Sodoma, un altro ancora. E certamente ne sentiremo ancora nei prossimi giorni. Il ritornello è: per i sacerdoti non è importante l’orientamento sessuale, ma che si resti fedeli alla castità. Pazientare un po’ di tempo, almeno fino a quando faremo saltare anche il celibato sacerdotale: allora ognuno potrà sposarsi secondo il proprio orientamento.

La “scomparsa” del cardinale O’Malley. Formalmente l’arcivescovo di Boston, cardinale Sean Patrick O’Malley, è ancora il presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, ma il suo nome non compare né nel comitato organizzatore né fra i relatori del vertice. Come mai? Probabilmente è la “vendetta” del Papa per la sua presa di distanza sul caso abusi in Cile. Quando nella conferenza stampa in aereo di ritorno dal Cile, il Papa difese a spada tratta il vescovo Barros, tacciando di pettegolezzi le denunce delle vittime, O’Malley non nascose il suo disappunto. Nel giro di pochi giorni papa Francesco dovette fare pubblica ammenda per i suoi giudizi temerari, ma da allora l’arcivescovo di Boston è praticamente scomparso. Come è nel suo stile, il Papa non lo ha destituito, semplicemente lo aggira dando ad altri il suo compito. E infatti ha nominato il cardinale Cupich nel comitato organizzatore.

Ancora a proposito di Cupich, non si può non restare sconcertati da certe nomine. Si è deciso di far pagare all’ex cardinale McCarrick il conto per tutti, ma i suoi “protetti” continuano a fare carriera come se niente fosse. Cupich è un esempio, ma recentemente proprio nei giorni della sentenza che ha ridotto McCarrick allo stato laicale, il cardinale Kevin Farrell, che con McCarrick ha convissuto quattro anni, è stato addirittura nominato Camerlengo di santa Romana Chiesa, ovvero colui che prende possesso dei palazzi apostolici alla morte del Papa e organizza il conclave per eleggere il successore.



22-02-2019

Dall'Argentina arriva un report di cinque preti da cui si evince che il Vaticano e il Pontefice sin dal 2015 erano a conoscenza del caso del vescovo Zanchetta su cui oggi pende una pesante accusa di abusi. Fotografie imbarazzanti con seminaristi. Ciononostante, un mese dopo la rinuncia, è stato nominato in un importante incarico amministrativo Vaticano. Ma ancora pochi giorni fa si è continuato a dire che le segnalazioni arrivarono solo nell'autunno scorso. 



Un quotidiano argentino, “El Tribuno” il primo che aveva fatto esplodere il caso Zanchetta, ha pubblicato ieri documenti che dimostrano come vescovi, il cardinale Primate di Argentina, il Nunzio il Vaticano e il Pontefice in persona sin dal 2015 fossero a conoscenza del caso del vescovo sui cui oggi pende una pesante accusa di abusi. Il caso nei giorni scorsi è arrivato in tribunale, con la denuncia penale sporta da vittime dell’ex vescovo di Oran. Dalle fotografie di una relazione del 2016, firmata da cinque sacerdoti, di cui tre ex vicari diocesani, appare chiaro che Gustavo Zanchetta era accusato non solo di avere sul suo cellulare foto oscene di sesso omosessuale, ma di molestie ai seminaristi, di non aver registrato la vendita di una proprietà importante della diocesi e di cattiva gestione sia delle finanze che del personale di Oran.

Dalla relazione, di cui El Tribuno è venuto in possesso (leggi qui l'articolo integrale con il documento firmato da 5 religiosi), e di cui ha pubblicato le foto, si evince che come la diocesi scoprì in maniera casuale foto di Zanchetta e di altri nudi e in atteggiamenti molto espliciti. Il cancelliere vide quelle foto mentre scaricava sul pc alcune immagini istituzionali dal cellulare di Zanchetta, richiesto proprio da lui. E da lì ha avvisato le autorità, in primis il Vicario generale. Subito dopo sono stati coinvolti mons. Marcelo Colombo, l’arcivescovo di Salta Mario Cargnello, il Primate card. Poli, arcivescovo di Buenos Aires la nunziatura e il Pontefice. Nell’ottobre del 2015 Gustavo Zanchetta è stato convocato urgentemente a Roma; e tutti pensavano nella diocesi che si trattasse di qualche cosa legata al Sinodo della Famiglia, visti i rapporti stretti che lo legavano a Jorge Mario Bergoglio sin da quando quest’ultimo era cardinale e Presidente della Conferenza Episcopale argentina. Zanchetta rientrò a Oran, senza che fosse accaduto nulla: si ignora che cosa si siano detti con il Pontefice, ma c’è chi afferma che il vescovo abbia sostenuto che le foto erano truccate.

Nel 2016, - come testimonano le fotografie di “El Tribuno” tre dei suoi vicari generali e due monsignori hanno presentato una denuncia interna formale alla nunziatura, insistendo su "strani atteggiamenti" di Zanchetta con i seminaristi. Li incontrava senza la presenza del Rettore, passava a notte fonda nelle loro stanze con una torcia, chiedeva che gli facessero dei massaggi, andava nelle loro stanze all’ora in cui dovevano alzarsi, si sedeva sui loro letti, li incoraggiava a bere bevande alcoliche, e mostrava una certa preferenza per quelli un po’ più aggraziati”. 

Neanche questa denuncia ha avuto ripercussioni visibili. Ne è seguita un’altra, nel 2017, quando presunti casi di abuso sessuale sui seminaristi hanno cominciato a emergere.

Zanchetta ha dovuto abbandonare la diocesi, ma non è seguita un’inchiesta ecclesiastica, non è stato denunciato alla giustizia. Anzi. Zanchetta è approdato in Vaticano, dove il Pontefice ha creato per lui un ruolo, fino a quel momento inesistente, quello di Assessore all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolico. Diventava così il “N. 2” della cassaforte vaticana, e prendeva residenza a Santa Marta, nel cui attico alloggia il Pontefice.

"Nella città di San Ramon del Nuovo Oran, il giorno 20 di aprile 2016 alle 12, si riuniscono i Vicari generali, monsignor Gabriel Acevedo e Juan José Manzano, il signor Rettore del seminario S. Giovanni XXIII, P. Martin Alarcon, Mons. Diego Pietro Calvisi, e Mons. Andrés Buttu per conformarsi alla richiesta di sua Eccellenza Reverendissima Mons. Paul Emile Tscherrig, Nunzio Apostolico di sua Santità in Argentina”, così comincia la relazione interna dei cinque religiosi. 

Il documento, scritto su richiesta del rappresentante del Papa nel paese (guarda qui nella foto le firme), Emile Tscherrig, è una prova che il Vaticano sapeva delle accuse nei confronti di Gustavo Zanchetta sin dal 2016. E smentisce quindi le affermazioni del portavoce della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti, secondo cui del “caso Zanchetta” dietro le alte mura si è saputo solo pochi mesi fa

Nel rapporto i cinque religiosi con alti funzionari sostengono che il "22 settembre 2015", il segretario cancelliere della diocesi, Luis Diaz, ha detto loro di aver trovato "selfie" di Zanchetta sul suo cellulare, "nudo e che si masturbava”. Díaz ha scoperto queste immagini per caso, quando l'ex-vescovo gli ha chiesto di scaricare alcune foto delle attività istituzionali, e che sono apparse come inviate dal suo cellulare. Ha anche detto di aver trovato materiale pornografico che gli era stato inviato, e che non era stato cancellato dalla memoria.

Con questi elementi, i religiosi raccontano di aver comunicato con l'ex-vescovo di Oran Marcelo Colombo, che li ha indirizzati all'arcivescovo di Salta Mario Cargnello. "Notando la gravità della situazione, con Mons. Zanchetta amico personale del Papa, decide (Cargnello ndr.) di mettersi in comunicazione con il Cardinale Primate dell'Argentina, Mons. Mario Poli, e chiede al Padre Gabriel di chiamare la Nunziatura per avvertire che si trovava in mano al cardinale materiale che contiene informazioni riservate di natura molto grave sul Vescovo di Oran", afferma la lettera.

Nell’ottobre 2015, l'allora vescovo fu chiamato dal Papa. "Notiamo che in nessun modo si tratta di fotomontaggi, come il vescovo ha sostenuto al suo ritorno da Roma, perché tutto quello che vedete nelle immagini, lenzuola, e armadio, sono quelli della sua stanza”. 

Diaz, che ha scoperto i controversi selfies di Zanchetta, in una lettera firmata e sigillata, ha anche sottolineato che non erano falsi. In quel documento, che faceva parte della prima denuncia, l'ex-vescovo pensava di avere il sostegno di papa Francesco. Secondo Diaz, Zanchetta gli ha detto che a Roma gli hanno mostrato le foto ma che "non gli importava di questo perché aveva spalle robuste per portare quel peso e farla franca".

L'ex vescovo inoltre, secondo quanto riferito dal suo allora segretario, gli dsse che "per fortuna le immagini non sono passate per la Nunziatura, ma direttamente a Roma, dove ha il sostegno personale di papa Francesco e del cardinale Primate", Mario Poli.

Una seconda denuncia, nel 2017, era corredata a quanto pare da lettere di seminaristi. Scrive “El Tribuno” che Zanchetta si sarebbe presentato di nuovo al suo “padre spirituale”, papa Francesco: “Gli dice, si padre, sono malato e ho bisogno di un trattamento, presento la rinuncia. Il Papa gli dice: ti facciamo curare e mi sembra che tu non possa governare nulla. Venne e rinunciò”.

Un mese più tardi fu creato per lui il posto di Assessore all’Apsa. Ora Zanchetta – che qualche giorno fa era in udienza dal Pontefice – è stato sospeso dall’incarico, e la denuncia penale apre nuovi scenari problematici anche dal punto di vista diplomatico.