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giovedì 21 febbraio 2019

Al Summit vaticano l’omosessualità è tabù (e San Pier Damiani ci ricorda alcune cosette....)

Alcuni stralci di notizie dal Summit sugli abusi che è iniziato oggi.
Dio talvolta ha il senso dell'umorismo (e "dell'avvertimento" ai cattivi): il Summit è iniziato il giorno della memoria di S. Pier Damiani, fustigatore della sodomia (come il Sinodo della sulla famiglia iniziò nel giorno della lettura del messale in cui Gesù condanna i divorziati risposati...).
Luigi

Settimo Cielo 21-2-19

Nella giornata d’esordio, il 21 febbraio, del summit tra papa Francesco e i capofila della Chiesa mondiale sul tema degli abusi sui minori, la grande assente è stata la parola “omosessualità”. E questo nonostante la grandissima parte degli abusi fin qui censiti avvenga con maschi giovani o giovanissimi, oltre la soglia della pubertà.

La parola “omosessualità” non è comparsa né nel discorso inaugurale del papa, né nei 21 “punti di riflessione” da lui fatti distribuire in aula, né nelle relazioni introduttive del cardinale Luis Antonio G. Tagle, dell’arcivescovo Charles J. Scicluna e, nel pomeriggio, del cardinale Rubén Salazar Gómez.

Scicluna, anzi, interpellato in proposito nella conferenza stampa di metà giornata (vedi foto), ha detto che “generalizzare su una categoria di persone non è mai legittimo”, perché l’omosessualità “non è qualcosa che predispone al peccato”, a cui inclina semmai la “concupiscenza”.

Scicluna è l’uomo chiave del comitato organizzativo del summit. Prima che arcivescovo di Malta è stato per anni promotore di giustizia della congregazione per la dottrina della fede, di cui è tornato ad essere segretario aggiunto con competenza specifica in materia di abusi sessuali. È l’uomo che più direttamente esprime, in questo momento, la volontà di Francesco, dopo che questi ha di fatto esautorato il cardinale Sean P. O’Malley, fino a un anno fa il massimo fiduciario del papa in materia ma ora rimasto solo “pro forma” presidente del pontificio consiglio per la protezione dei minori.

Risulta quindi cadere nel vuoto, fino a questo momento, l’appello dei cardinali Walter Brandmüller e Raymond L. Burke – e di non pochi altri autorevoli chierici e laici – a contrastare a viso aperto la piaga dell’omosessualità tra i sacri ministri, sintomo di un diffuso abbandono della “verità del Vangelo”.

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Settimo Cielo, 21-2-19

Incredibile ma vero. Proprio oggi, 21 febbraio, nel giorno in cui papa Francesco inaugura il summit sugli abusi sessuali con i capofila della gerarchia cattolica mondiale, la Chiesa festeggia la memoria liturgica di san Pier Damiani, grande riformatore del secolo XI, poi proclamato dottore della Chiesa, autore di un libro dal titolo emblematico: “Liber Gomorrhianus”.

La coincidenza, pur involontaria, non poteva essere più appropriata. Perché in quel libro, redatto in forma di lettera, san Pier Damiani lanciava un drammatico appello al papa e ai vescovi del suo tempo affinché liberassero la Chiesa dalla “sozzura sodomitica che si insinua come un cancro nell’ordine ecclesiastico, anzi, come una bestia assetata di sangue infuria nell’ovile di Cristo”. Sodoma e Gomorra, nel libro della Genesi, sono le due città che Dio distrusse col fuoco a motivo dei loro peccati di sesso contro natura.

Ma c’è di più. Perché lo storico della Chiesa, il tedesco Walter Brandmüller, che di recente ha messo maggiormente in luce le straordinarie similitudini tra la crisi della Chiesa nel secolo XI e la crisi odierna, è anche il cardinale che alla vigilia di questo summit ha firmato, assieme all’altro cardinale Raymond Leo Burke, una lettera-appello ai vescovi di tutto il mondo perché rompano il silenzio e finalmente contrastino a viso aperto proprio la piaga della pratica omosessuale tra i sacri ministri.

Già lo scorso 5 novembre, in coincidenza con l’uscita del saggio del cardinale Brandmüller sull’attualità della vicenda di san Pier Damiani, Settimo Cielo ne aveva pubblicata un’ampia sintesi, con i rimandi al testo integrale in tedesco e in italiano.

E questo che segue è proprio quel post di Settimo Cielo, la cui rilettura è più che mai istruttiva oggi, nel giorno della festa liturgica di quel grande santo e riformatore.

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Gomorra nel secolo XXI. L’appello di un cardinale e storico della Chiesa

(Settimo Cielo, 5 novembre 2018)

“La situazione è paragonabile a quella della Chiesa nell’XI e XII secolo”. Da autorevole storico della Chiesa e da presidente del pontificio comitato di scienze storiche dal 1998 al 2009, il cardinale Walter Brandmüller, 89 anni, non ha dubbi quando vede la Chiesa attuale “scuotersi fin nelle sue fondamenta” a motivo del dilagare di abusi sessuali e di omosessualità “in modo quasi epidemico tra il clero e perfino nella gerarchia”.

“Come si è potuti arrivare a questo punto?”, si chiede il cardinale. E la sua risposta è in un ampio e argomentato articolo pubblicato in questi giorni sul mensile tedesco “Vatican Magazin” diretto da Guido Horst:


In versione italiana integrale:


Brandmüller rimanda ai secoli in cui i vescovadi e lo stesso papato erano divenuti una tale fonte di ricchezza che per questo “si combatteva e si mercanteggiava per impossessarsene”, con la pretesa dei regnanti temporali di attribuire essi stessi le cariche nella Chiesa.

L’effetto fu che presero il posto dei pastori personaggi moralmente dissoluti, attaccati al patrimonio invece che alla cura delle anime, tutt’altro che inclini a condurre una vita virtuosa e casta.

Non solo il concubinato, ma anche l’omosessualità era sempre più diffusa tra il clero, in misura tale che san Pier Damiani nel 1049 consegnò al neoeletto papa Leone IX, noto come zelante riformatore e in seguito proclamato santo, quel suo ‘Liber Gomorrhianus’, redatto in forma epistolare, che in sostanza era un appello a salvare la Chiesa dalla “sozzura sodomitica che si insinua come un cancro nell’ordine ecclesiastico, anzi, come una bestia assetata di sangue infuria nell’ovile di Cristo”. Sodoma e Gomorra, nel libro della Genesi, sono le due città che Dio distrusse col fuoco a motivo dei loro peccati.

Ma la cosa più degna di nota, scrive Brandmüller, fu che “quasi contemporaneamente si costituì un movimento laico rivolto non solo contro l’immoralità del clero, ma anche contro l’impadronirsi degli uffici ecclesiastici da parte di poteri laici”.

“A insorgere fu il vasto movimento popolare detto della ‘pataria’, guidato da membri della nobiltà di Milano e da alcuni membri del clero, ma sostenuto dal popolo. Collaborando strettamente con i riformatori vicini a san Pier Damiani, e poi con Gregorio VII, con il vescovo Anselmo di Lucca, importante canonista poi diventato papa Alessandro II, e con altri ancora, i ‘patarini’ sollecitarono, ricorrendo anche alla violenza, la realizzazione della riforma che in seguito prese da Gregorio VII il nome di ‘gregoriana’: per un celibato del clero vissuto fedelmente e contro l’occupazione di diocesi da parte di potenze secolari”.

Certo, in seguito la “pataria” si disperse in correnti pauperistiche e antigerarchiche, sul filo dell’eresia, solo in parte poi reintegrate nella Chiesa “grazie alla lungimirante azione pastorale di Innocenzo III”. Ma “l’aspetto interessante” su cui Brandmüller insiste è che “quel moto riformatore scoppiò quasi in simultanea nei massimi ambienti gerarchici a Roma e tra la vasta popolazione laica lombarda, in risposta a una situazione considerata insostenibile”.

Ebbene, che cosa c’è di simile e di diverso nella Chiesa di oggi, rispetto ad allora?

Di simile, nota Brandmüller, c’è che allora come oggi a esprimere la protesta e a reclamare una purificazione della Chiesa sono soprattutto strati del laicato cattolico, specialmente nordamericani, nel solco del “meraviglioso omaggio al ruolo importante della testimonianza dei fedeli in materia di dottrina” messo in luce nel XIX secolo dal beato John Henry Newman.

Come allora, anche oggi questi fedeli trovano al loro fianco alcuni pastori zelanti. Ma va riconosciuto – scrive Brandmüller – che l’appassionata richiesta alle alte gerarchie della Chiesa e in definitiva al papa di unirsi a loro nel combattere la peste dell’omosessualità tra il clero e i vescovi, non trova oggi risposte altrettanto adeguate, a differenza che nei secoli XI e XII.

Anche nelle lotte cristologiche del IV secolo – fa notare Brandmüller – “l’episcopato per lunghi tratti rimase inattivo”. E se anche oggi rimane tale, rispetto al dilagare dell’omosessualità tra i sacri ministri, “può dipendere dal fatto che l’iniziativa personale e la consapevolezza della propria responsabilità di pastore del singolo vescovo sono rese più difficili dalle strutture e dagli apparati delle conferenze episcopali, con il pretesto della collegialità o della sinodalità”.

Quanto al papa, Brandmüller imputa, non solo all’attuale ma anche in parte ai predecessori, la debolezza nel contrastare le correnti di teologia morale secondo le quali “ciò che ieri era vietato oggi può essere permesso”, atti omosessuali inclusi.

È vero – riconosce Brandmüller – che l’enciclica “Veritatis splendor” del 1993 di Giovanni Paolo II – “alla quale il contributo di Joseph Ratzinger non è stato ancora debitamente riconosciuto” – ha riconfermato “con grande chiarezza le basi dell’insegnamento morale della Chiesa”. Ma essa “si è scontrata con l’ampio rifiuto dei teologi, forse perché è stata pubblicata solo quando il decadimento teologico-morale era già troppo avanzato”.

È anche vero che “alcuni libri sulla morale sessuale sono stati condannati” e “a due professori è stata revocata, rispettivamente nel 1972 e nel 1986, la licenza d’insegnamento”. “Ma – prosegue Brandmüller – gli eretici davvero importanti, come il gesuita Josef Fuchs, che dal 1954 al 1982 è stato docente presso la Pontificia Università Gregoriana, e Bernhard Häring, che ha insegnato presso l’Istituto dei Redentoristi a Roma, nonché l’influentissimo teologo morale di Bonn Franz Böckle o quello di Tubinga Alfons Auer, hanno potuto spargere indisturbati, sotto gli occhi di Roma e dei vescovi, il seme dell’errore. L’atteggiamento della congregazione per la dottrina della fede in questi casi è, in retrospettiva, semplicemente incomprensibile. Si è visto arrivare il lupo e si è rimasti a guardare mentre irrompeva tra il gregge”.

Il rischio è che a motivo di questa mancanza d’iniziativa delle alte gerarchie anche il laicato cattolico più impegnato, lasciato solo, possa “non riconoscere più la natura della Chiesa fondata sull’ordine sacro e scivolare, nella protesta contro l’inettitudine della gerarchia, in un cristianesimo comunitario evangelicale”.

E invece, più i vescovi, dal papa in giù, si sentiranno sostenuti dalla fattiva volontà dei fedeli di rinnovare e ravvivare la Chiesa, più una vera pulizia potrà essere fatta.

Conclude Brandmüller:

“È nella collaborazione di vescovi, sacerdoti e fedeli, nella potenza dello Spirito Santo, che la crisi attuale può e deve diventare il punto di partenza del rinnovamento spirituale – e quindi anche della nuova evangelizzazione – di una società post-cristiana”.

Brandmüller è uno dei quattro cardinali che nel 2016 sottoposero a papa Francesco i loro “dubia” sulle variazioni in atto della dottrina della Chiesa, senza mai avere risposta.

Questa volta il papa lo ascolterà e prenderà seriamente in considerazione, come fece Leone IX con san Pier Damiani?

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