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martedì 19 giugno 2018

I grandi protagonisti della musica sacra romana. Primo "Medaglione": Giovanni da Palestrina

Pubblichiamo  il primo contributo che il Maestro Aurelio Porfiri ha donato a MiL.

Ci piacerebbe  fare una serie di "Medaglioni" sui grandi protagonisti della musica sacra della scuola romana, visto che, purtroppo,  non ne parla quasi  più nessuno.
Ringraziamo di cuore l'amico Autore per questo contributo su Giovanni Pierluigi da Palestrina.
L

IL MUSICISTA TEOLOGO
Aurelio Porfiri

Ricordo molti anni fa, al tempo dei miei studi, venni in contatto con una tesi dal nome “Il musicista teologo”. Questa definizione mi veniva ripetuta spesso da uno dei miei insegnanti, il futuro cardinale Domenico Bartolucci. Si riferiva ad un altro musicista, vissuto alcuni secoli prima, quello che i musicisti romani considerano e hanno sempre considerato il più grande di tutti: Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594).

Egli fu senz’altro un vertice non solo della musica sacra (alla quale dedicò la quasi totalità della sua opera) ma della musica tutta. Egli è nella triade dei grandi della scuola romana del rinascimento, insieme a Tomás Luis de Victoria e Orlando di Lasso. Un sacerdote, anni fa, mi diceva che riteneva il Victoria come superiore agli altri, in quanto Lasso scriveva per le corti, Palestrina per il Papa e Victoria scriveva per Dio. Certo, c’è una qualità di fervore mistico in Victoria, tipica della mistica spagnola ma non credo questo lo faccia più vicino a Dio degli altri due. Non sarebbe corretto vedere le cose in questo modo.


Il Palestrina fu giudicato dai suoi pari degno di divenire un modello per i futuri compositori. Tanto che anche Johann Joseph Fux (1660-1741), componendo il suo influente trattato per la composizione Gradus ad Parnassum, lo immagina come un dialogo fra lo studente Josephus (lui stesso) e il “venerande Magister” Aloysius (Palestrina), visto come il modello a cui attingere la sapienza musicale.  Ma molti prima e dopo di lui condividevano questa prospettiva. Infatti comporre “alla Palestrina” o nello stile antico era requisito importante per dirsi compositore e questo fino ai nostri giorni. Una delle prove, almeno nel vecchio ordinamento, del diploma di musica corale era proprio quella di comporre un mottetto nello stile rinascimentale. Certo, bisogna stare attenti. Questo può rivelarsi un esercizio sterile se non si capisce la sua vera importanza.

Infatti si è spesso detto che una delle caratteristiche della scuola romana, sulla scia del canto gregoriano, è l’attenzione suprema al testo. Questo è vero ma va ricompreso meglio. Il compositore che prende esempio da Palestrina e dal canto gregoriano, sa musicare il testo “da dentro”, cioè come Michelangelo ne scopre le potenzialità musicali che il testo ha già di per se stesso. Non si cerca di forzare il testo mettendogli un “vestito musicale”che magari sembra confargli ma in realtà tradisce l’intenzione del testo stesso. È il testo che parla, il compositore ascolta e scrive. Egli è come una vetrata che rimanda i raggj del sole dandogli una forma particolare, per la sua conformazione; ma sono sempre i raggi del sole che riceviamo, la vetrata è solo un tramite.

Palestrina ha fatto questo da enorme Maestro quale era, con Messe come la famosa Missa Papae Marcelli, ma anche con altre, per esempio la Missa Iam Christus Astra Ascenderat, Messa in cui riprendeva il tema dell’omonimo inno usato alla maniera ritmica in cui probabilmente lo eseguiva il popolo. Tra i mottetti ci sono gioielli come l’Ego Sum Panis Vivus, Dum Aurora (per Santa Cecilia) e molti altri. Uno dei vertici assoluti saranno i suoi mottetti su testi dal Cantico dei Cantici, in cui lo scavo del testo “da dentro” si fa spasmodico, intimo come la sposa con il suo sposo.

Questa musica non può essere compresa al di fuori della liturgia. I concerti, sia detto senza voler essere offensivo, lasciano il tempo che trovano. Ascoltare questi brani in concerto, come per il canto gregoriano, non è congruo con lo scopo e la funzione per cui gli stessi sono stati composti. Non solo, essi vanno proprio capiti musicalmente all’interno del loro contesto liturgico. Un Et incarnatus o Jesu Christe nel Gloria prendono senso quando si comprende la gestualità rituale che li accompagna. Il concerto è un surrogato, ma spesso è l’ultimo rifugio di musicisti che non vogliono arrendersi.

San Pio X nel suo Motu Proprio sulla musica sacra del 1903 diceva, parlando delle qualità che deve possedere la musica sacra: “Le anzidette qualità sono pure possedute in ottimo grado dalla classica polifonia, specialmente della Scuola Romana, la quale nel secolo XVI ottenne il massimo della sua perfezione per opera di Pier Luigi da Palestrina e continuò poi a produrre anche in seguito composizioni di eccellente bontà liturgica e musicale. La classica polifonia assai bene si accosta al supremo modello di ogni musica sacra che è il canto gregoriano, e per questa ragione meritò di essere accolta insieme col canto gregoriano, nelle funzioni più solenni della Chiesa, quali sono quelle della Cappella Pontificia. Dovrà dunque anche essa restituirsi largamente nelle funzioni ecclesiastiche, specialmente nelle più insigni basiliche, nelle chiese cattedrali, in quelle dei seminari e degli altri istituti ecclesiastici, dove i mezzi necessari non sogliono fare difetto”. Quindi è ancora il Palestrina un modello valido per l’oggi? Validissimo, se non fosse che il professionismo musicale a servizio della liturgia è oramai in ginocchio, praticamente finito. Quindi musica di quel livello, anche di autori contemporanei, è praticamente impraticabile, date le condizioni attuali. 

Come comportarsi? Si continui a tenere la fiaccola accesa, onorando questi grandi. Mi viene da pensare che perpetuandone il ricordo e la memoria, potrà essere ragione di una rinascita fra molti decenni, che forse noi non vedremo. Posso solo sperare che Dio, a suo modo e tempo, provvederà.

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