Appena uscito sul blog di Aldo M. Valli sul libro "il mio e vostro sacrificio, la liturgia risponde" di don Finotti, a cura di A. Porfiri.
Stupendo articolo e ottimo libro.
(La vignetta e il grassetto nel testo dell'articolo del Vaticanista è nostro.)
(La vignetta e il grassetto nel testo dell'articolo del Vaticanista è nostro.)
Roberto.
Vignetta su Il Borghese, 21 ottobre 1965, idea di Guareschi |
«Uno degli abbagli più estesi del post-concilio è stata l’eliminazione della balaustra. Un errore considerevole sul piano storico, liturgico, dottrinale, artistico e pastorale».
Don Enrico Finotti (Rovereto, 1953) scrive così a pagina 19 del libro Il suo e il vostro sacrificio. Il liturgista risponde
(Chora Books), un’opera preziosa, da raccomandare a tutti coloro che
hanno a cuore il retto modo di intendere e attuare il culto da rendere a
Dio.
Vi sembrerà strano partire da un dettaglio come quello della
balaustra, ma la liturgia è fatta di dettagli e ogni volta che se ne
stravolge uno (com’è noto, è proprio nei dettagli che il diavolo
nasconde la coda) è l’insieme a patirne le conseguenze. Inoltre la
risposta di don Finotti fa capire di che pasta è questo prete che non
gira attorno alle parole e va dritto al punto.
Dunque, la balaustra. Quale il suo senso? E perché è stata tolta di mezzo?
La distinzione tra la navata, nella quale si raccolgono i fedeli, e
la zona sacra dell’altare, dove si compie il sacrificio, è una costante
nella tradizione liturgica, sia dell’Oriente sia dell’Occidente. Il
motivo liturgico è che l’altare va protetto da un accesso facile e va
distinto dal resto per tutelarne la sacralità. Il motivo teologico è che
la distinzione serve a evidenziare la gerarchia esistente all’interno
della celebrazione, per cui il ministro ordinato, che agisce in persona Christi Capitis,
ha un ruolo certamente diverso da quello dei fedeli riuniti
nell’assemblea. Occorre poi ricordare che alla balaustra si accostavano i
fedeli, inginocchiandosi, per ricevere il Santissimo Sacramento e
quindi era una mensa che permetteva di esprimere bene la necessaria
riverenza.
Ora è chiaro che eliminare la balaustra vuol dire da un lato
banalizzare l’area del sacrificio eucaristico, perché se ne riduce la
sacralità, e dall’altro abolire la distinzione gerarchica presente nella
liturgia, nella pretesa «democratica» di rendere tutti uguali. Il che
ha conseguenze negative anche sul piano storico e artistico, perché
l’eliminazione della balaustra equivale a una manomissione di una
testimonianza liturgica radicata nella tradizione e a una grave
alterazione dello spazio architettonico.
Ma c’è da sottolineare che il Concilio Vaticano II non ha affatto
richiesto l’eliminazione della balaustra, tant’è vero che anche il Messale Romano del 2000 ribadisce che il presbiterio si deve distinguere dalla navata attraverso «strutture e ornamenti particolari».
Insomma, aver tolto la balaustra è stato un abuso. Uno dei tanti.
Il bello del libro di don Finotti è che si occupa veramente di tutto.
Perché la messa di Natale va celebrata a mezzanotte? È vero che
l’albero di Natale ha un’origine cristiana? Durante la Quaresima i fiori
vanno tolti dalla chiesa? Quali regole osservare per il suono delle
campane? Come utilizzare gli altari laterali? Ha senso un gruppo
liturgico in parrocchia? Un
laico può tenere l’omelia? Si può tenere
l’omelia scendendo in mezzo ai fedeli e camminando con il microfono in
mano? È corretto dire «Andiamo in pace» anziché «Andate in pace»? Perché
accanto al tabernacolo deve essere accesa una lampada perenne? Dove
deporre la pisside? La comunione in ginocchio è ancora possibile? In
chiesa ci può essere posto per cartelloni e manifesti? Gli avvisi
parrocchiali si possono fare dall’ambone? I doni offertoriali possono
essere commentati?
Per ogni domanda, da don Finotti arriva una risposta sintetica ma ben
argomentata. Si tratta di una raccolta degli interventi pubblicati
dalla rivista Liturgia: culmen et fons, nella rubrica Domande del lettore,
e mi sembra che il direttore della casa editrice, Aurelio Porfiri,
facendone un libro, abbia avuto un’ottima idea, perché nella liturgia
oggi c’è spesso confusione ed è ormai evidente, purtroppo, «l’influsso
di forti derive abusive, che continuano a condizionare ancor oggi sia
l’interpretazione sia la celebrazione dei nuovi ordines liturgici».
Le ragioni sono numerose e don Finotti le espone a partire dal vago
«profetismo» del periodo immediatamente successivo al Concilio. Fu
l’epoca nella quale numerosi «profeti» (leaders religiosi, sociali e
politici, comunità ecclesiali, movimenti di opinione, ecclesiastici più
«sensibili», intellettuali più «aperti», teologi più «avanzati»), pur
essendo spesso in polemica e in contrasto fra loro, individuarono i
comuni nemici da abbattere: la Chiesa e il magistero, uniche realtà
escluse a priori dal «carisma profetico». Così, tutte queste «realtà
vive» diffusero il sospetto e l’accusa: Roma è «nemica della profezia»,
l’istituzione ecclesiale è un ostacolo e chi è «vivo» ha il dovere di
essere «profeticamente» ostile ai suoi pronunciamenti. Di qui una vera e
propria disobbedienza ecclesiale, con i conseguenti abusi, anche in
campo liturgico. Il principio secondo il quale un carisma deve passare
al vaglio del magistero della Chiesa, all’insegna di un’umile
obbedienza, fu semplicemente ignorato o addirittura osteggiato come, a
sua volta, «anti-profetico», e i risultati sono quelli che vediamo oggi.
«Se applichiamo questa analisi – scrive l’autore – alla riforma
liturgica, si comprende come essa sul piano concreto poté divaricare
dalle normative stabilite nell’edizione tipica dei libri liturgici e
dalle direttive dei documenti del supremo magistero e imboccare la via
di una creatività libera, nella quale ognuno faceva ciò che credeva, in
un soggettivismo a tutto campo».
Come rimediare a tanti danni? Da dove ripartire? Don Finotti
consiglia una rilettura attenta dei documenti conciliari. Si vedrà così
che la lettera del Concilio è ben diversa dallo «spirito» del quale si
sono serviti i «profeti» per gettare alle ortiche la santa tradizione e
introdurre l’«aggiornamento». Si scoprirà, per esempio, che il Concilio
riconosce e promuove il canto gregoriano, che non bandisce l’uso della
lingua latina, che prevede un’autorità per regolare la liturgia, che
raccomanda lo studio di san Tommaso d’Aquino, che conferma la natura
gerarchica della Chiesa, che riafferma l’unicità della Chiesa cattolica,
che ribadisce la necessità della Chiesa cattolica in ordine alla
salvezza, e così via.
Il Concilio è stato stravolto dai paladini del relativismo e del
soggettivismo, spiega don Finotti, e lungo questa via, ovviamente in
nome del «servizio» (guai parlare di potere) si è arrivati a una vera e
propria «dittatura di sostituzione». Come scrive Riccardo Pane, citato
da don Finotti, ciò che occorre è quindi superare la visione ideologica
del Concilio:
«Il fatto è che oggi il termine “preconciliare” ha assunto un significato nuovo, che tutti accettano senza discutere: se indosso una casula in poliestere, celebro messa con calice di legno, interrompo la liturgia con frequenti didascalie, evito il più possibile di fare il segno della croce e mi compiaccio di far partecipare i fedeli con l’ultima melodia orecchiata al festival di Sanremo, allora sono un perfetto figlio del Concilio. Siccome invece mi ostino a preferire l’organo alla chitarra, il canone romano alla preghiera eucaristica V e oso persino di tanto in tanto cantare il prefazio, in tal caso sono proprio un esempio deleterio di disadattato preconciliare!».
Insomma bisogna studiare, con serietà e onestà. Ma c’è un altro punto
da segnalare. «La liturgia – scrive don Finotti – si deve celebrare
così come l’attuale disciplina della Chiesa prevede». Significa, in
concreto, che i privati, i gruppi e i movimenti non possono disporre
arbitrariamente delle leggi liturgiche. Occorre sottolinearlo con
decisione. Poiché soggetto della liturgia è la Chiesa, la comunità, sia
essa espressione di una parrocchia, di un gruppo o di un movimento, «si
inserisce in un’azione di culto, la liturgia, che la supera» ed è più
grande delle esigenze di cui l’assemblea o la comunità si dicono
portatrici. Nessuno è legittimato a fare di testa propria, aggiungendo o
togliendo qualcosa.
«Si tratta – precisa don Finotti – di entrare in atti che sono, a
diverso titolo, di Cristo e della Chiesa in quanto tale, ed è appunto in
questo universale orizzonte che la liturgia emerge in dignità ed
efficacia su qualsiasi altro atto di culto personale e soggettivo. Su
questa base teologica indispensabile è possibile comprendere e accettare
di celebrare in modo conforme ai riti stabiliti e definiti dalla
Chiesa».
E sentite qui: «Non sono infatti gli atti nostri che ci salvano, ma
quelli di Cristo e della Chiesa a noi offerti per purificare ed elevare
un culto personale che, da solo, non avrebbe alcuna possibilità di
penetrare nei cieli e di ottenerci la salvezza».
Aldo Maria Valli
Chissà se quanto scritto arriverà anche a toccare il cuore dei preti mantovani molto modernisti...molti fedeli ormai non ne possono più di vedere le nostre belle chiese paragonate ad un magazzino o più spoglie di una "Casa del commiato"
RispondiEliminaChissà se gli anziani preti - vescovi - cardinali euforici degli aggiornamenti conciliari stanno facendo mea culpa a tutto quello che hanno fatto - distrutto ecc......
RispondiEliminaHanno divelto gli Altari e vi hanno messo dei tavolacci, hanno tolto le balaustre e spostato il Santissimo dal centro dell'Altare in una parte nascosta della Chiesa come se chi volesse pregare in ginocchio se ne debba stare lontano da occhi indiscreti. Non contenti sono passati alle chiese-garage e lì si sono sbizzarriti. Vediamo fino a che punto si spingeranno.
RispondiEliminaE cosa dire di una Chiesa Collegiata che il parroco prende le statue dei Santi, del Sacro Cuore (diciamo una decina di statue di cui due della Madonna Immacolata) e gettate dentro un campanile piene di ragnatele e escrementi di piccioni che le stanno distruggendo; traqueste c'è addirittura una statua in legno molto antica di San Rocco, e nessuno interviene - dico nessuno per dire che anche il vescovo diocesano sa tutto ma fa finta di niente - la porta del campanile coperta da un armadio a vetri dove si affiggono manifesti e avvisi. - approfondite anche questa.
RispondiEliminaSe non ricordo male, nei documenti conciliari compare sempre una parte positiva costituita da prescrizioni ortodosse, cui segue però una parte negativa che da adito alle eccezioni che sono diventate la regola. Quindi la magagna è nei documenti conciliari.
RispondiEliminaMeno male che qualcuno comincia a capirlo !
EliminaQuanto ci aveva visto Lungo Guareschi....
RispondiEliminaIl CVII 'non ha richiesto l'eliminazione della balaustra' come poi confermato nel 2000. Ci troviamo di fronte a uno dei tanti equivoci dei riformatori e della SC, visto che la demolizione di altari e balaustre iniziò, ritenuta naturale, ancor prima della pubblicazione della riforma nel 1969, senza che nessun vescovo la proibisse. La riforma vuole l'assemblea con un suo presidente (!?!) con il popolo che entra nello spazio del fu presbiterio per la preghiera dei fedeli e le lagne del salmo responsoriale etc., visto che in una assemblea ognuno, nessuno escluso, sarebbe pari agli altri, anche al sacerdote, alla protestante. E allora ? Ci si convinca che i cosiddetti abusi sono connaturati, palesemente o, subdolamente, con la riforma. I complessi rock organizzati da Bugnini, strimpellavano entro il presbiterio.
RispondiEliminaDon Camillo e Don Chichi'....."Non è un muro di Berlino..è un segno di rispetto!"
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=rlCh8U6MHCE
Ma del libro esiste solo la versione elettronica? Mi piacerebbe leggerlo, ma per certi argomenti preferisco la vecchia carta.
RispondiEliminaIl libro esiste anche in versione cartacea.
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