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giovedì 22 febbraio 2018

Quando le armi entravano a scuola. E non c'erano stragi

Non è un usuale argomento di Mil, ma il buon senso di questo articolo e le polemiche su un certo pacifismo (vedi p.e. QUI le polemiche in Veneto sul tiro a segno a scuola) di marca - purtroppo - anche cattolica, ci inducono a pubblicare questa bella e approfondita analisi di un autore  americano che collega il disastro valoriale degli ultimi trent'anni della scuola americana (ma anche italiana) e l'uso sconsiderato delle armi.
Per chi conosce l'inglese vedere QUI la divertente intervista del compianto Antonin Scalia, giudice della Corte Suprema USA e QUI alcune bugie sull'argomento contro la presidenza Trump.
Da leggere con attenzione.
L

La Nuova Bussola Quotidiana, 21-2-18, J. Christian Adams,
Studente Usa in esercitazione con il suo fucile, negli anni '80I millenial potrebbero stupirsi nell’apprendere che la loro è la prima generazione senza armi da fuoco a scuola. Solo trent’anni fa, i ragazzi delle superiori prendevano l’autobus con i fucili e sparavano nei poligoni delle scuole.
Dopo l’ennesima sparatoria in una scuola è ora di chiedersi: cosa è cambiato? Dalla lista delle cose che sono cambiate in questo trentennio cancellate le armi. Nel 1985 i fucili semiautomatici esistevano e quello usato in Florida era un fucile semiautomatico. Non è che le armi da fuoco abbiano improvvisamente deciso di scatenare il caos nelle scuole. Le armi non possono decidere. Dalla lista si può cancellare anche il Secondo Emendamento alla Costituzione federale degli Stati Uniti (1). È esistito per oltre duecento anni prima che si manifestasse tutta questa malvagità. Nella Costituzione non è cambiato nulla.
A questo punto restano solo questioni scomode. Quel che è cambiato trent’anni fa, quando i ragazzi potevano portare responsabilmente le armi da fuoco a scuola, oggi potrebbe riguardare certe verità dure da sentire. Proviamo a elencarle. Il nichilismo è diventato costume generale. Il pensiero si è sgretolato. Si sono diffuse le droghe sintetiche. I fondamenti morali della nostra cultura sono stati deliberatamente distrutti. E abbiamo perso quel senso di
  comunità che ci permette di distinguere il bene dal male in riferimento ad autorità sociali condivise. Ma sopra a tutto c’è il male puro e semplice. Prima che mi rispondiate piccati che i malati di mente non li si può spiegare razionalmente, dico subito che i malati di mente sono sempre esistiti. Gli schizofrenici paranoici sono esistiti nel 1888 ed esistono nel 2018. Ma trent’anni fa gli studenti malati di mente non si presentavano a scuola armati di fucili. Dunque dev’esserci qualcos’altro ancora.
Quelli che si danno tanto da fare per distruggere i fondamenti morali della nostra cultura non vorrebbero che se ne parlasse.
 Preferiscono continuare a fare quel che già normalmente fanno: prendere in giro la verità. Il punto però è che negli Stati Uniti è esistito un tempo, prima dei cocchini di mamma, in cui un adulto qualsiasi dell’isolato poteva sgridare senza timore il figlio del vicino che si fosse comportato male. Ancora solo trent’anni fa la nostra cultura conservava quei freni invisibili che nei secoli era stata capace di sviluppare. Quei freni, quella comunanza di modi capace di moderare e di temperare è stata per mezzo secolo il bersaglio degli attacchi di una controcultura dissennata che oggi è diventata la cultura dominante di rimpiazzo.
Hollywood ha deriso quei freni moderatori in un numero di film troppo grande per essere snocciolato. Il mantra degli anni 1960, “non fidarti di nessuno con più di 30 anni”, si è trasformato in quell’industria miliardaria che dà sempre ragione ai ragazzetti, i quali a volte sono soltanto dei monelli che, imbottiti di farmaci, sfasciano le aule o si sottraggono a quel che una volta veniva risolto con una bella sculacciata. Invece di dire a un bambino di smetterla di prendere a calci gli schienali dei sedili degli aeroplani, comperiamo protezioni che riparino i sedili. Se pensate che le cose vadano male oggi, aspettate che arrivi alla scuola superiore la generazione che per babysitter ha avuto un iPhone. Oggi è praticamente impossibile camminare per un centro commerciale senza inciampare in un bimbetto che fissa uno schermo in trance.
Ai ragazzi delle superiori che nel 1985 sparavano con i loro fucili a scuola veniva insegnato cosa è il bene e cosa è il male. S’insegnava loro cosa fare con il fucile a scuola e cosa non fare. E se quei ragazzi uscivano dai ranghi, gli altri studenti e l’istruttore li punivano con severità. Non c’erano “zone sicure” (2), ed era una buona cosa. La forza che la cultura ha nel promuovere il bene è enorme. Quando i comportamenti positivi sono la norma, e quelli devianti e distruttivi vengono ostacolati, svergognati ed emarginati, i primi aumentano.
Parlare del male in questo contesto disturberà qualcuno, ma in tutte queste sparatorie il male sguazza. Mi torna alla mente quell’intervista straordinariamente divertente e profonda che il giudice Antonin Scalia rilasciò nel 2013 canzonando una giornalista del New Yorker a proposito del male. «Lei frequenta ambienti così, così lontani dagli Stati Uniti mainstream», ridacchiò Scalia, «da rimanere di sale se una persona qualsiasi crede nel Diavolo!». Trent’anni fa i ragazzi che portavano i fucili ai poligoni di tiro delle scuole non s’interrogavano sul diavolo e sul decadimento del pensiero. Vivevano semplicemente in un Paese e in un'epoca in cui ciò che è giusto e ciò che è sbagliato erano definiti più nettamente, in cui era chiaro ciò che ci si aspettava dal loro comportamento e in cui la malvagità non era stata resa la regola.
L’idea che la causa dei massacri cui assistiamo siano le armi da fuoco è così intellettualmente marcia che non vale nemmeno la pena di discuterne. Ricordare il Paese che eravamo solo trent’anni fa rincara la dose. È ora di chiedersi cosa sia cambiato.
Traduzione di Marco Respinti
NOTE del traduttore
(1) «Essendo una milizia ben disciplinata necessaria alla sicurezza di uno Stato libero, il diritto dei cittadini di detenere e di portare armi non potrà essere infranto».
(2) La retorica liberal chiama safe space le istituzioni scolastiche relativiste che “non discriminano”.



* Nato nel 1968, J. Christian Adams, avvocato, opinionista e commentatore televisivo, ha lavorato per il ministero della Giustizia degli Stati Uniti dal 2005 al 2010. Nel 2011 ha pubblicato Injustice: Exposing the Racial Agenda of the Obama Justice Department (Regnery, Washington). La versione originale dell’articolo, intitolato Flashback 30 Years: Guns Were in Schools ... and Nothing Happened [link: https://pjmedia.com/jchristianadams/flashback-30-years-guns-schools-nothing-happened/], è stata pubblicato sul periodico conservatore online PJ Media il 15 febbraio 2018.

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