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domenica 18 febbraio 2018

Enzo Bianchi si Vita Pastorale “deridere i tradizionalisti e rifiutarsi di celebrare in rito antico non aiuta la pace ecclesiale"

A distanza di sette anni torniamo ad occuparci del mensile Vita Pastorale delle Edizioni Paoline. 
Non occorre ricordare ai Lettori che quel mensile "per operatori pastorali" durante il Pontificato di Benedetto XVI si era "distinto" per contrastare ogni  tentativo  di "ermeneutica della continuità".
Vita Pastorale si era "specializzata" nella lotta continua  contro le celebrazioni  disciplinate dal Motu Proprio Summorum Pontificum giungendo persino a schernire senza pietà quei Consacrati e quei fedeli che perfezionano la loro spiritualità abbeverandosi alla fresca sorgente della liturgia antica.
Nel numero del mese di Dicembre 2017 Vita Pastorale ha invece ospitato un articolo di Enzo Bianchi, priore del Monastero di Bose, che sembra essere una risposta polemica ad Andrea Grillo &C, che anche in alcuni interventi recenti ha reclamato (con la solita prepotenza verbale) l'abolizione del Motu Proprio Summorum Pontificum.
Nell'articolo, ripreso poi da Famiglia Cristiana (il link sotto), si notano alcune imprecisioni storiche  fra le quali la "leggenda" che la nuova Messa ( Messale del '69) sarebbe stata voluta anche da Papa San Giovanni XXIII. 
Non ci risulta quel Papa abbia mai pensato di cambiare radicalmente la struttura del Messale e tanto meno di abolire l'amata lingua latina: si legga la Costituzione Apostolica Veterum Sapientia
San Giovanni XXIII   è stato devoto nei confronti della liturgia romana ed ha apportato solo alcuni aggiornamenti e lievi modifiche al Messale rivisto nel  1962.
Lo scritto di Enzo Bianchi  farebbe comunque presagire il consolidarsi di un comunitario  "sentire cum Ecclesia" capace di   fermentare la spiritualità e l'azione pastorale della Chiesa.
«Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti»"(Matteo 13,33)
AC

Enzo Bianchi: perché tanta opposizione a papa Francesco? 
Vita Pastorale dic. 2017
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Infine, nella conflittualità della Chiesa, purtroppo sottovalutata da molti, va annoverata anche la posizione di quei tradizionalisti che fanno dell’antica liturgia il loro motivo di battaglia.
Benedetto XVI, con grande misericordia e avendo a cuore la concordia ecclesiae, aveva concesso già dieci anni or sono la possibilità di celebrare nel rito preconciliare. 
Ma, in realtà, il conflitto si è acceso ancor di più. 
Da un lato, ci sono presbiteri che si rifiutano di celebrare secondo l’antico rito – che, in base alle norme vigenti, è “rito straordinario” pienamente lecito – e giungono a deridere i cattolici che a esso sono affezionati. 
Questo atteggiamento non aiuta la pace ecclesiale: il rito ora “straordinario” è stato per secoli il rito della Chiesa cattolica latina, che ha fecondato la fede di generazioni di fedeli,
inclusa la mia stessa.
Non va, quindi,deriso né giudicato privo di ogni capacità di costituire la celebrazione eucaristica di alcuni fedeli cattolici ancora oggi. 
Dall’altro lato, invece di accogliere il dono di Benedetto XVI e viverlo nella gratitudine verso la Chiesa, si continua ad affermarlo “contro” il nuovo rito di Paolo VI ritenuto “protestantizzato”, depauperato, fuorviante. 
No, non è salutare proseguire in questo modo. 
Sarebbe auspicabile un intervento autoritativo: non serve la richiesta di adesione ad alcune affermazioni conciliari (di quanti decreti di concili del passato oggi non teniamo più conto...), si lasci piuttosto che l’uso del rito di Pio V sia praticato da quei fedeli che a esso sono affezionati e lo vivono seriamente, per ragioni di fede e non di folclore o di cultura identitaria. 
Ma, al contempo, si chieda a quanti lo praticano di confessare che c’è un’unica eucaristia nella Chiesa cattolica. 
E che se le forme di celebrazione sono due, queste non devono farsi concorrenza, come se fossero prodotti sulle bancarelle di un mercato. 
Che senso ha, per esempio, l’andare di monsignori ed eminenze qua e là a celebrare secondo l’antico rito, come se si dovesse promuovere un prodotto, dichiarando che il “rito straordinario” deve prevalere ed estinguere quello ordinario voluto e deciso da un concilio e da due papi, Giovanni XXIII e Paolo VI? 
Si chieda, dunque, rispetto e riconoscimento reciproco: solo così ci sarà pace nella Chiesa. Altrimenti, continueremo a farci tanto male da soli! 
La Chiesa deve conoscere la libertà accompagnata dalla fiducia nei fratelli e nelle sorelle che vivono la comunità. 
Solo questa comunione, e non altri segni, fossero pure miracolosi, può destare la fede in quanti riconosceranno i cristiani come discepoli di Gesù (Gv 13,35): solo l’amore fraterno e la concordia ecclesiale narrano e testimoniano il Vangelo di Gesù Cristo. 

Fonte: Famiglia Cristiana QUI

Immagine: Aforisticamente QUI