Pagine

venerdì 19 gennaio 2018

Islam, un gigantesco regresso per l’umanità

Dai cari amici di "Cultura&Identità. Rivista di studi conservatori" una interessantissima e densa traduzione  di un articolo di Crisis Magazine, ringraziandoli per la gentile concessione.
L

William Kilpatrick
Capire come così tanti cattolici presumibilmente illuminati si siano potuti sbagliare sull’islam — e per così tanto tempo — costituisce uno dei grandi misteri dei nostri giorni. È comprensibile che negli anni 1960, quando il mondo islamico era relativamente quiescente, i cattolici potessero avere le rosee aspettative espresse nel documento Nostra aetate[1]. Ma ora siamo nel 2017 e, in mezzo secolo, di acqua sotto i ponti ne è passata proprio tanta.
Considerato tutto quello che è accaduto nel frattempo — 11 Settembre, attacchi terroristici quotidiani, la veloce islamizzazione dell’Europa e lo sviluppo di armi nucleari di Pakistan e Iran — sembra che i cattolici meritino di sapere di più sull’islam rispetto al fugace riferimento presente in Nostra aetate o nell’ancor più breve esposizione che ne fa il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Le quarantaquattro parole sul tema terminano con la rassicurazione che «i musulmani [...] adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale» (CCC, n. 841)[2]. Sfortunatamente, buona parte del clero e dei laici hanno interpretato tale passo così: “Torna a dormire e non preoccuparti!”. Per avere una idea della nonchalance dimostrata dai vertici della Chiesa nel fornire indicazioni sull’islam, si consideri che il catechismo dedica uno spazio cinque volte maggiore per descrivere il rapporto fra l’uomo e gli animali.

Non si tratta solo del fatto che molte autorità — laiche o ecclesiastiche che siano — non riescano a percepire le profonde differenze teologiche fra islam e cristianesimo: allo stesso modo a esse sfuggono anche le profonde differenze culturali e umane che scaturiscono da quelle teologiche. Per dirla brutalmente, il cristianesimo è una religione “umanizzante”, l’islam no. Naturalmente, il senso di una tale affermazione va chiarito, tuttavia, da sole, le differenze fra la visione cristiana e quella islamica della persona umana dovrebbero indurre le autorità cattoliche a essere estremamente caute prima di fare causa comune con l’islam. Le molte dichiarazioni di comunanza d’intenti e di solidarietà con l’islam, divenute di routine sulle labbra di molti autorevoli esponenti del clero, servono solo a confondere e a fuorviare i cattolici. Teologicamente, il fatto più rilevante riguardo all’islam è che si tratta di un movimento anti-cristiano. Ecco uno dei principali temi del libro Wholly different scritto da Nonie Darwish[3]. L’autrice, cresciuta in una società islamica e convertitasi da adulta al cristianesimo, asserisce che l’islam è una fede “contro-rivoluzionaria”: un rigetto delle credenze fondanti della Bibbia: «Muhammad [570 ca.-632] — ella sostiene — non ha solo tacitamente rigettato la Bibbia. Egli le ha scatenato contro una ribellione feroce [...]. L’islam è una religione negativa, intrisa di sovversione. È una ribellione e una contro-rivoluzione rispetto alla rivoluzione biblica»[4].
La “rivoluzione della Bibbia” non consiste solo in un cambiamento radicale del nostro modo di concepire Dio, ma anche del nostro modo di concepire l’uomo. Il momento più rivoluzionario è giunto quando Dio ha assunto la nostra umanità diventando uno di noi. Come ha osservato san Giovanni Paolo II [1978-2005], l’Incarnazione non solo rivela Dio all’uomo, ma rivela l’uomo a sé stesso[5].
Nel rigettare l’Incarnazione, Muhammad rigetta anche lo stato più elevato di umanità che scaturisce da essa. Ciò non vuol dire che questa fosse la sua intenzione iniziale. L’islam non esordì come teologia anti-cristiana, ma era quasi inevitabile che si sviluppasse in quella direzione. Muhammad considerava sé stesso un profeta e voleva ardentemente essere riconosciuto tale. Il guaio è che un profeta deve avere un messaggio profetico. Dopo che Gesù ha rivelato sé stesso come figlio di Dio compiendo tutte le profezie, non c’era più molto da aggiungere in quella direzione. Avendolo compreso, Muhammad si accinse a riscrivere la storia di Gesù, interpretandolo non più come il figlio di Dio ma come un altro profeta, peraltro minore. Questa “retrocessione” di Gesù apriva a Muhammad la strada alla pretesa di essere accettato come profeta. Di fronte a una situazione analoga, il reverendo Sun Myung Moon (1920-2002), il fondatore della Chiesa dell’Unificazione, ha adottato una soluzione simile. Secondo la sua versione, Gesù ha fallito il suo obiettivo di sposarsi e creare una famiglia perfetta, lasciando così a Moon il compito di portare a termine la missione incompiuta.
Nel Corano Gesù c’è, ma, di fatto, viene neutralizzato: non è divino, non è stato crocifisso, né è risorto e non svolge alcun ruolo nella redenzione dell’umanità. Del resto, non vi sono parti del Corano dalle quali si possa evincere che l’umanità necessiti di essere in qualche modo redenta. Bisogna credere in Allah e al suo messaggero — cioè Muhammad —, obbedire ad Allah e al suo messaggero e, probabilmente — ma non è certo —, si verrà ammessi da Allah in paradiso. Ma non è necessario passare attraverso una nuova nascita.
Noi parliamo di islam “radicale” ma, in un certo senso, non c’è niente di radicale nell’islam. Esso non pretende una trasformazione radicale dell’essere umano come invece fa il cristianesimo. Nell’islam l’uomo non è fatto a immagine di Dio. Di conseguenza non vi è una chiamata alla santità, nessuna necessità che «voi [siate] perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48). La radicale trasformazione in Cristo che prepara una persona alla comunione con Dio non è necessaria, in quanto il destino dell’uomo non è l’unione con Dio ma l’unione con le vergini in paradiso. Non c’è alcun bisogno di trasformazione spirituale perché il paradiso è semplicemente una versione migliore della terra.
Si tratta di una possibile visione del destino umano. Quella cristiana, però, è del tutto differente. San Paolo (5/10-64/67) ha scritto: «E noi tutti [...] veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria» (2Cor 3, 18), e «se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno [e] ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria» (2Cor 4,1 6-17). Qualunque cosa si possa pensare sulla veridicità del messaggio cristiano, questo riguarda la vocazione degli esseri umani a qualcosa di molto elevato. La differenza fra questa visione dell’uomo e la stima piuttosto bassa del potenziale umano contenuta nel Corano è profonda. Fa meraviglia il fatto che così tanti cattolici siano disposti ad annacquare quella visione allo scopo di fabbricarsi un’illusoria parità morale con l’islam.
La mancanza di interesse in una eventuale trasformazione dell’uomo si percepisce già nel Corano. Sebbene questo sia stato composto circa seicento anni dopo il Vangelo, non vi ritroviamo alcuna delle sue narrazioni drammatiche — nessun dramma, né divino né umano. Il Corano si compone di una collezione di affermazioni abbastanza slegate l’una dall’altra, ammonimenti e maledizioni intervallati dalla versione personale di Muhammad di storie prese in prestito dalla Bibbia.
Persino quando rielabora queste storie, Muhammad sembra pressoché incapace di infondere spessore e personalità nei profeti e gli eroi biblici evocati. Difatti, il solo personaggio del Corano cui Muhammad sembra essere veramente interessato è sé stesso. Allo scopo di porre l’accento sulla sua umiltà, gli apologeti islamici amano dire che Muhammad è menzionato solo quattro volte nel Corano. Io non le ho contate ma potrebbe essere vero. Muhammad, tuttavia, menziona sé stesso quasi in ogni pagina, talvolta come “messaggero” altre come “apostolo”, altre ancora come “profeta” e quasi sempre come l’indispensabile intermediario fra Allah e gli uomini. Questa enfasi ripetuta sul suo ruolo di profeta si ritrova anche nelle raccolte dei suoi hadith, detti. Per esempio «Io sono stato mandato per tutta l’umanità, e la linea dei profeti si è chiusa con me» (Sahih Muslim, IV: 1.062).
Ben più di Allah, Muhammad è il vero protagonista del Corano. Questo ci riporta al ruolo — in verità decisamente minore — che vi occupa Gesù nel Corano. In diverse occasioni Egli viene menzionato come uno dei profeti minori, ma solo raramente gli si concede la parola. In uno di tali casi Gesù assicura ad Allah di non aver mai avuto intenzione di farsi Dio: «Io non posso aver desiderato quello a cui non ho diritto» (5: 116).
Gesù ha un posto nel Corano nella misura in cui sta al suo posto. Il suo ruolo è quello di rimuovere il principale ostacolo alle ambizioni profetiche di Muhammad. Chi meglio di Gesù stesso può rinunciare alla pretesa di filiazione divina e spianare a Muhammad la strada per diventare il sigillo di tutti i profeti? Ma, nello spogliare Gesù della sua divinità, Muhammad si adopera anche per svestirlo della sua umanità. Il Gesù del Corano è semplicemente una persona di scarso interesse. Del resto, a stento egli si qualifica come persona. Sembra più una voce incorporea. Quando i cristiani sentono dire che Gesù si trova anche nel Corano, danno per scontato che debba essere simile al Gesù dei Vangeli. Così facendo si sentono rassicurati: sebbene i musulmani non accettino la divinità di Cristo, quantomeno la sua vita sarà loro familiare. Chiunque si prenda la briga di leggere il Corano avrà modo di disilludersi. Non c’è alcuna vita di Gesù nel Corano. Non c’è alcuna versione, sia pure alterata, della storia raccontata nel Vangelo. Di fatto, non c’è assolutamente alcuna storia — solo poche brevi apparizioni allo scopo di chiarire che Gesù è solo un uomo e non il figlio di Dio.
A questo trattamento di ridimensionamento di Gesù nel Corano si abbina una visione altrettanto ridimensionata della persona umana. Nell’islam l’uomo è poco più di uno schiavo di Allah. Può ottenere il paradiso, che però è essenzialmente un harem collocato in cielo. Secondo la visione cristiana il destino dell’uomo è l’unione con Dio. Secondo quella islamica il destino dell’uomo è copulare.
Nel rigettare la dottrina cristiana dell’Incarnazione, Muhammad rigetta anche la visione cristiana di una umanità redenta. L’evento dell’Incarnazione accresce la condizione dell’uomo in modo incommensurabile: «Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio» (Gal 4, 7). Ecco perché i canti natalizi sono così pieni di gioia. Come ci ricorda un inno, la notte della nascita di nostro Signore diviene il momento in cui «[...]l’anima ha colto la propria dignità»[6]. Grazie alla triste visione di Muhammad, tuttavia, tutto questo nell’islam è scomparso — nessuna «gioia al mondo», nessun «[...] odi l’annuncio che gli angeli cantano», nessun «ding dong che si libra felicemente alto»[7].
Alla luce della relativa cupezza della visione islamica, è difficile comprendere perché così tanti prelati e teologi cattolici insistano nell’identificare l’islam con una fede compagna di strada con cui avremmo molto in comune. Né è facile comprendere perché così tanti di loro vogliano dichiararsi solidali con l’islam.
Teologicamente e umanamente, l’islam rappresenta un gigantesco passo all’indietro. Ci riporta indietro, a un tempo in cui l’idea di dignità umana era considerata risibile, un tempo in cui la schiavitù non veniva stigmatizzata e le donne erano considerate inferiori agli uomini, se non addirittura come le bestie.
In un certo senso, il rifiuto dell’Incarnazione da parte di Muhammad è una replica della storia delle origini. Nel Paradiso perduto di John Milton (1608-1674), la ribellione di Lucifero è causata dall’annuncio da parte di Dio di aver generato un Figlio. Lucifero, che occupava un ruolo di rango assai alto fra gli angeli, era semplicemente un orgoglioso. Con parole attuali, potremmo dire che egli non riusciva a reggere il confronto. Né tantomeno, sembra che possa riuscirci Muhammad — un uomo così ossessionato dalla vanità, al punto di identificarsi come il diretto confidente di Allah in quasi ogni pagina del Corano.
Come Lucifero, Muhammad si è ribellato alla filiazione divina di Cristo. Pertanto, se Cristo è il figlio di Dio, Muhammad è fuori dai giochi. Non a caso, ci sono numerosi passaggi nel Corano che negano la Trinità e la filiazione divina di Cristo, maledicendo coloro che ci credono.
Il prezzo da pagare in cui i seguaci di Muhammad sono incorsi è la perdita del più alto senso di umanità che l’Incarnazione porta con sé. L’evento drammatico centrale nella storia dell’umanità è la nascita di un bambino che è peraltro l’Autore della vita. Egli è venuto così affinché noi potessimo avere la vita, ed averla in maniera più abbondante e perfetta.
Perché, invece, è venuto Muhammad? Egli non rivela nulla che non sia già stato rivelato nel Vecchio Testamento. In quasi tutti gli aspetti il Corano riporta notizie già vecchie. Il solo elemento nuovo è la “rivelazione” che Muhammad è l’ultimo profeta di Dio. La buona notizia del Vangelo è che Dio è diventato uno di noi; la notizia trasmessa dal Corano è che Muhammad è diventato un profeta.
Comparata alle tremende, meravigliose rivelazioni del Nuovo Testamento, queste sono bazzecole. Di nuovo: c’è proprio da meravigliarsi dinanzi ai tanti esponenti del clero che, al giorno d’oggi, sono intenti a delineare una equivalenza morale tra la fede del cristianesimo — una fede che dona la vita — e l’islam, un sistema di regole che nega la vita. Forse dovrebbero leggere il Corano, o meglio ancora, dovrebbero rileggere i Vangeli.




* Articolo apparso con il titolo Islam: A Giant Step Backwards for Humanity su Crisis Magazine. A Voice for the Faithful Catholic Laity, il 31-10-2017, consultabile alla pagina . William Kilpatrick è stato docente presso il Boston College; è autore di parecchi libri di tema culturale e religioso. Collabora con il Catholic World Report, il National Catholic Register, Aleteia, la Saint Austin Review e First Things.

[1] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane “Nostra Aetate”, del 28-10-1865.
[2] Il testo del catechismo cita qui un passo contenuto nel paragrafo n. 16 della Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II Lumen gentium.
[3] Cfr. Nonie Darwish, Wholly Different. Why I Chose Biblical Values Over Islamic Values, Regnery Faith, Washington (DC) 2017.
[4] Ibid., p. 27.
[5] Cfr. per esempio la sua Lettera enciclica “Redemptor hominis”, del 4-3-1979.
[6] Il verso «the soul felt its worth» fa parte dell’inno Oh Holy night, versione inglese di Minuit, chrétiens composto da Adolphe Adam (1803-1856) nel 1847.
[7] Si tratta dei primi versi di tre celebri Christmas Carols: Joy to the world, Hark the herald angels sing e Ding-dong merrily on high.

2 commenti:

  1. Con il CVII, manifestazione di illusoria euforia ecumenica ed interreligiosa, la Chiesa sta dimenticando, auspice il modernismo, la sua storia di persecuzioni da tanti ed eterni nemici e falsi profeti, come profetizzato da Cristo, contro i quali non più difende e mette in guardia il popolo di Dio. Azione miseramente fallita perché, non solo nessuna delle confessioni cristiane è tornata all'unico ovile ma, ancor più gravemente, la Chiesa cattolica sta rinnegando se stessa abbracciando le eresie dei suoi nemici, oggi, in modo manifesto ed ufficiale.

    RispondiElimina