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mercoledì 12 luglio 2017

Un libro per imparare a costruire le chiese cattoliche.

Le cose belle: un antidoto allo squallore
I Puntata - Sull’architettura sacra
di Enrico Salvi

 Di solito, i tradizionalisti cattolici, cioè i “nostalgici” della Dottrina e della Liturgia antiche (antiche qui valendo perenni!) si trovano a dover far opera di denuncia degli abusi e degli attentati che i modernisti perpetrano ormai senza ritegno e ad ogni livello nei confronti di Santa Madre Chiesa, in perfetta linea con l’intenzione vaticanosecondista di far cambiare rotta alla Barca di Pietro per mandarla alla deriva, con buona pace dei sostenitori dell’“ermeneutica della continuità”, una balla grossa come una montagna smentita giorno per giorno dallo scempio ormai pressoché totale che viene fatto del Depositum Fidei. 
Ora, se la denuncia puntuale di tale scempio è doverosa, occorre anche continuare a proporre quelle che qui chiamiamo le cose belle, le quali hanno il potere, anche culturale, di ristorare ed elevare l’anima, quotidianamente immersa nell’omogeneo squallore pseudo religioso e laicista che la circonda: squallore nel senso etimologico della parola, dalla radice latina SQUALÈRE essere sordido, figuratamente torrido, deserto.
Uno degli scempi modernisti concerne l’architettura cui è demandata l’edificazione delle chiese, cioè dei templi, e che, dai risultati che si vedono, il Sacro se lo è lasciato alle spalle da un pezzo. Soltanto la vista di certe costruzioni, che dovrebbero rispondere ad esigenze di adorazione, contemplazione e preghiera per una mistica unione fra Cielo e Terra, ha l’effetto di un pugno in un occhio. Per non dire dell’acuto senso di ecumenistica sterilità, spesso dal forte olezzo protestante, che aggredisce chi si azzarda ad entrare in tali scatole del nulla.
Chi scrive, per esempio, ha avuto un’esperienza a dir poco deprimente dapprima guardando e poi entrando nel nuovo accrocco architettonico (definirlo santuario è del tutto fuori luogo) del Divino Amore, un’ampia struttura lugubre e algida, sia esternamente che internamente, destinata alla massificazione dei visitatori nelle grandi occasioni, dalla quale ha sentito di dover subito allontanarsi per rifugiarsi nel piccolo e vetusto ma cattolico santuario in cui l’atmosfera di santità è ancora percepibile, almeno da chi non sia stato irrimediabilmente corrotto dalla demagogia umanitaria che esalta la “dignità della persona” per poi nutrirla con lo squallore (non solo architettonico).
Ecco pertanto che il brano seguente, che è una cosa bella, potrà ristorare ed elevare l’anima. Si tratta di un estratto dal Capitolo "Tempio e cosmo" in Jean Hani, IL SIMBOLISMO DEL TEMPIO CRISTIANO, un testo che, a parere di chi scrive, dovrebbe essere profondamente studiato e perfettamente assimilato, pregando e digiunando a lungo, da chiunque intenda cimentarsi nell’edificazione di un edificio sacro, ovvero di un templum, di un tèmenos: recinto, luogo separato dedicato alla Divinità.
«Ogni edificio sacro è cosmico, ovvero fatto ad imitazione del mondo. “La chiesa è l’immagine del mondo” dice san Pier Damiani. Questo perché il nostro corpo è legato al mondo e perché dobbiamo pregare Dio nella nostra condizione corporea (precisiamo: il tempio è un’immagine sì del mondo, ma perché il mondo è sacro in quanto opera di Dio. Quindi, il tempio esplicita l’immagine del mondo trascendente in Dio che è l’essenza costitutiva del cosmo). Quest’immagine è innanzitutto un’immagine “realista” nel senso che sui muri e sulle colonne della chiesa sono rappresentati la terra e il cielo, gli animali e le piante, il lavoro dell’uomo e le differenti condizioni sociali, la storia naturale e la storia santa, al punto che si è potuto dire delle cattedrali che esse furono delle enciclopedie visuali. Ma questo non è che un aspetto esteriore – proprio soprattutto dei grandi edifici – di quanto vuol dire san Pier Damiani. Il tempio non è solo un’immagine “realista” del mondo, è ancora di più un’immagine
“strutturale”, che riproduce la struttura intima e matematica dell’universo. Qui si trova la fonte della sua bellezza sublime. Poiché la bellezza della forma, dice Platone nel Filebo (51 C) “non è ciò che comunemente s’intende con questo nome, come ad esempio quella degli oggetti animati o della loro riproduzione, ma qualcosa di rettilineo e di circolare per mezzo del compasso, della squadra e della fune. Perché queste forme non sono come le altre belle a certe condizioni, ma sono sempre belle in se stesse”. La forma quadrata della Gerusalemme celeste (Ap. 21, 12 ss.) è direttamente in relazione con il principio stesso dell’architettura dei templi. Qualsiasi architettura sacra, in effetti, si riduce all’operazione della “quadratura del cerchio”, o trasformazione del cerchio in quadrato. La fondazione dell’edificio comincia con l’orientamento che è già in qualche modo un rito perché stabilisce un rapporto fra l’ordine cosmico e l’ordine terrestre o, ancora, fra l’ordine divino e l’ordine umano. Il procedimento tradizionale e, possiamo dire, universale, perché lo si ritrova ovunque esista un’architettura sacra, è stato scritto da Vitruvio e praticato in Occidente sino alla fine del Medio Evo: le fondamenta dell’edificio sono orientate grazie ad un gnomone che consente di individuare i due assi (cardo, Nord-Sud), e decumano, Est-Ovest). Al centro dell’area scelta si erige un albero maestro intorno al quale si traccia un grande cerchio; si osserva l’ombra che cade sul cerchio; lo scarto massimo fra l’ombra del mattino e quella della sera indica l’asse Est-Ovest; due cerchi centrati su tali punti cardinali del primo indicano, attraverso la loro intersezione, gli angoli del quadrato. Quest’ultimo è la quadratura del cerchio solare. È importante ricordare con precisione le tre operazioni della fondazione, ovvero: il tracciato del cerchio, il tracciato degli assi cardinali e l’orientamento, il tracciato del quadrato di base, perché sono queste tre che determinano il simbolismo fondamentale del tempio con i suoi tre elementi corrispondenti alle tre operazioni: il cerchio, il quadrato e la croce per mezzo della quale si passa dal primo al secondo. Il cerchio e il quadrato sono simboli primordiali. Al livello più elevato, nell’ordine metafisico, rappresentano la Perfezione divina sotto i suoi due aspetti; il cerchio o la sfera, di cui tutti i punti sono equidistanti dal centro, che è senza inizio e senza fine, rappresenta l’Unità illimitata di Dio, la Sua Infinità, la Sua perfezione, e il quadrato o il cubo, forma di tutte le basi stabili, è l’immagine della Sua Immutabilità, della Sua Eternità (il cerchio è anche il simbolo dell’Amore divino. Cfr. Dionigi l’Aeropagita, Nomi divini 4, 14; Gerarchie celesti 1, e Dante, Paradiso 33)».
 Ce n’è abbastanza per far risaltare l’obbrobrio delle “chiese” moderne, i cui costruttori hanno la testa da tutt’altra parte.

6 commenti:

  1. Ormai non costruiamo più chiese ma altre cose (chiamate impropriamente chiese)

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  2. Per non parlare di Romano Guardini.

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  3. Caro Liturgia, è capace di una risposta un po' più articolata invece di questi interventi telegrafici che non dicono niente?

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