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venerdì 6 gennaio 2017

Il Codice di Diritto Canonico del 1983 e la Messa tridentina


Un piccolo approfondimento liturgico.
L

Zenit 12-12-16

Quando nel 1983 venne promulgato il nuovo Codice di Diritto Canonico, si pensò che la Messa tridentina di Pio V fosse stata abrogata. Guardacaso, proprio a quel tempo studiavo diritto canonico e mi venne detto, infatti, che la Messa in latino era stata abrogata da Paolo VI. A Roma ho consultato un esperto, che mi ha ravvisato che se Paolo VI avesse davvero voluto abrogare la Messa, avrebbe usato un verbo latino diverso. Ma ciò non toglie il fatto che la gente abbia creduto che ciò fosse avvenuto. Quando è stato promulgato il nuovo codice, di conseguenza, sono rimasto dell’idea che qualsiasi riferimento fatto in esso alla liturgia, si riferisca solo alla forma ordinaria. Le rubriche per la Messa in latino vennero istituite da Pio V. La validità di un’azione dipende dall’intenzione del legislatore o di colui che effettua l’atto. Potrebbe, per favore, commentare?
– M.F., Ottawa, Ontario (Canada)
In verità le domande qui sono varie.
La prima è se la forma straordinaria sia stata mai formalmente abrogata. Papa Benedetto XVI ha dichiarato nella sua lettera apostolica del 2007, Summorum Pontificum:
“È quindi permesso celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano, la quale è stata promulgata dal Beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogata, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa”.
Pertanto, se il Papa ha dichiarato che non è mai stata abrogata, tale è da considerare la situazione.
Mentre Paolo VI non ha mai fatto una dichiarazione formale che abrogasse il messale precedente, e in alcuni casi specifici ha consentito per la continuazione della sua celebrazione, alcune persone hanno invece ritenuto che fosse stata abrogata in virtù di un principio canonico articolato nei Canoni 20 e 21 del Codice di Diritto Canonico:
“Can. 20. La legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima, se lo indica espressamente, o è direttamente contraria a quella, oppure riordina integralmente tutta quanta la materia della legge precedente; la legge universale però non deroga affatto al diritto particolare o speciale, a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto.
“Can. 21. Nel dubbio la revoca della legge preesistente non si presume, ma le leggi posteriori devono essere ricondotte alle precedenti e con queste conciliate, per quanto è possibile”.
Dal momento che i riti della forma ordinaria hanno completamente riveduto la materia del culto liturgico, alcune persone potrebbero aver pensato che i nuovi riti avessero abrogato i precedenti. Come sottolinea il Can. 21, tuttavia, ciò non può supporsi in caso di dubbio.
Va inoltre evidenziato che la maggior parte del diritto liturgico non si trova nel Codice di Diritto Canonico, ed è espressamente esclusa dalla sua giurisdizione, di conseguenza il Canone 2:
“Il Codice il più delle volte non definisce i riti, che sono da osservarsi nel celebrare le azioni liturgiche; di conseguenza le leggi liturgiche finora vigenti mantengono il loro vigore, a meno
che qualcuna di esse non sia contraria ai canoni del Codice”.
Una disposizione analoga era presente anche nel codice precedente, quindi la maggior parte delle questioni liturgiche non sono comprese nel codice.
Questo principio, però, ci potrebbe aiutare a rispondere a un’altra delle domande del nostro lettore: il codice si riferisce esclusivamente alla forma ordinaria?
La risposta viene data nell’istruzione Universae Ecclesiae, sull’Applicazione della Lettera Apostolica Summorum Pontificum di Sua Santità Benedetto XVI del 2011, rilasciata dalla Commissione Pontificia Ecclesia Dei. Al riguardo:
“27. Per quanto riguarda le norme disciplinari connesse alla celebrazione, si applica la disciplina ecclesiastica, contenuta nel vigente Codice di Diritto Canonico.
“28. Inoltre, in forza del suo carattere di legge speciale, nell’ambito suo proprio, il Motu Proprio Summorum Pontificum, deroga a quei provvedimenti legislativi, inerenti ai sacri Riti, emanati dal 1962 in poi ed incompatibili con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962”.
La risposta alla domanda è quindi sia sì che no. La disciplina canonica del 1983, e tutte le altre leggi liturgiche sin dal 1962, si applicano tranne quando incompatibili con le rubriche del 1962.
Per questo, ad esempio, le norme riguardanti l’uso di Ministri Straordinari della Santa Comunione, autorizzate in documenti precedenti ma incorporate nel Codice del 1983, sarebbero incompatibili con le rubriche del 1962 e quindi non applicabili alla forma straordinaria.
D’altro canto, le norme disciplinari, contenute nel codice, che trattano i sacramenti sarebbero generalmente applicabili indipendentemente dalla forma di Rito romano utilizzata. Alcuni esempi: i requisiti necessari per essere un padrino; l’innalzamento dell’età minima per l’ordinazione al sacerdozio; le norme per gli impedimenti al matrimonio; l’ampliamento delle possibilità di esporre il Santissimo Sacramento; e l’estensione delle facoltà di ascolto della confessione al di fuori della diocesi. Queste non sono norme cerimoniali, e perciò generalmente non influenzano le rubriche, in un modo o nell’altro.
Un simile criterio è applicabile alle norme emanate dopo la promulgazione del Codice. Per esempio, le decisioni prese dalla Santa Sede riguardo la validità dell’uso del mosto, per la celebrazione della Messa da parte di sacerdoti afflitti da alcolismo, o l’uso di pane a basso contenuto di glutine per coloro che soffrono di celiachia, sarebbero anche applicabili a coloro che abitualmente celebrano o partecipano alla forma straordinaria.
Vi possono essere dei casi che non sono ben chiari. Per esempio, alcuni chiedono se nella forma straordinaria non vada utilizzato un secondo, piccolo calice a beneficio di quei celiaci che sono incapaci di assumere anche il pane a basso contenuto di glutine. Sicuramente si tratta di una ristretta minoranza, ma probabilmente non contraddirebbe del tutto le rubriche della forma straordinaria, nonostante queste non contemplino tale possibilità.
Per i casi di dubbio, l’organo competente alla risoluzione sarebbe normalmente la Commissione Pontificia Ecclesia Dei. Come recita l’istruzione:
“9. Il Sommo Pontefice ha conferito alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei potestà ordinaria vicaria per la materia di sua competenza, in modo particolare vigilando sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni del Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 12).
“10. § 1. La Pontificia Commissione esercita tale potestà, oltre che attraverso le facoltà precedentemente concesse dal Papa Giovanni Paolo II e confermate da Papa Benedetto XVI (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, artt. 11-12), anche attraverso il potere di decidere dei ricorsi ad essa legittimamente inoltrati, quale Superiore gerarchico, avverso un eventuale provvedimento amministrativo singolare dell’Ordinario che sembri contrario al Motu Proprio.
Ҥ 2. I decreti con i quali la Pontificia Commissione decide i ricorsi, potranno essere impugnati ad normam iuris presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
“11. Spetta alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, previa approvazione da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il compito di curare l’eventuale edizione dei testi liturgici relativi alla forma extraordinaria del Rito Romano.”
[Traduzione dall’inglese a cura di Maria Irene De Maeyer]