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mercoledì 1 giugno 2016

Osservazioni su alcuni punti controversi dell'Esortazione apostolica Amoris laetitia - 2.4 - vittoria sulle tentazioni

di don Alfredo Morselli

A partire dal 30 maggio 2016, MiL ha presentato studio approfondito su alcuni punti controversi dell'esortazione Amoris laetitia: data l'ampiezza, lo scritto è stato diviso in più post: è possibile scaricare il testo completo in formato PDF.

Beato Angelico, Matrimonio della Vergine

Osservazioni su alcuni punti controversi
dell'Esortazione apostolica

Amoris laetitia


II.         Verità irrinunciabili (4)

2. L'uomo non può essere né tentato sopra le proprie forze, né essere lasciato in una situazione dove non abbia altra scelta che peccare.

È necessario ribadire questa verità, di fronte a quanto affermato al § 301 di Amoris Laetitia.
"Un soggetto… si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa".
Ancora una volta è il magistero che può aiutarci a interpretare rettamente la questione e indicarci come questa espressione potrebbe essere salvata.
Pio XI, Lettera enciclica Casti Connubii, 31-12-1930 (grassetto redazionale): "Con tutto ciò bisogna attentamente vigilare, perché le deplorevoli condizioni delle cose materiali non siano occasione a un errore ben più deplorevole. Infatti non possono mai darsi difficoltà di tanta gravità che valgano a dispensare dai comandamenti di Dio, che proibiscono ogni atto che sia cattivo di sua natura; e, in qualsivoglia condizione di cose, possano sempre i coniugi, sostenuti dalla grazia di Dio, fedelmente compiere l'ufficio loro e conservare nel matrimonio, pura da macchia tanto abominevole, la castità, perché resta inconcussa la verità della fede cristiana, proposta dal magistero del Concilio di Trento: «Nessuno ardisca pronunciare quel detto temerario, condannato dai Padri sotto la minaccia di anatema, che per l'uomo giustificato i comandamenti di Dio siano impossibili ad osservarsi. Dio non comanda cose impossibili, ma nel comandare ammonisce di fare ciò che puoi e di chiedere ciò che non puoi, e aiuta perché tu possa» [Concil. Trident., sess. VI, cap. 11.]. E la dottrina medesima fu dalla Chiesa solennemente ripetuta e confermata nella condanna della eresia giansenistica, che aveva osato bestemmiare contro la bontà di Dio affermando che «alcuni precetti di Dio agli uomini giusti, che pur vogliono e procurano di osservarli, sono impossibili secondo le forze che hanno al presente: e loro manca la grazia, che li renda possibili» [Const. Apost. Cum occasione, 31 Maii 1653, prop. 1].
Riporto uno stralcio un po' più ampio del testo tridentino citato da Pio XI nella Casti connubii.

Il Concilio di Trento (Decreto sulla giustificazione, 13-1-1547, Sessio VI, cap. 11) definisce: 
"Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall'osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell'espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica, esser cioè impossibile per l'uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio"; di seguito vien citato S. Agostino (De natura et gratia, 43): "Dio infatti non comanda cose impossibili [ordinando di resistere a qualunque tentazione], ma ordinando ammonisce di fare ciò che puoi, e di chiedere ciò che non puoi e aiuta perché tu possa"; infine la Scrittura: "I suoi comandamenti non sono gravosi (1 Gv 5,3), il suo giogo è soave e il suo peso è leggero (cfr. Mt 11,30)" (DS/36 1536) [(4).
La proposizione giansenista citata da Pio XI, che suona: "Alcuni precetti di Dio sono impossibili agli uomini giusti, nonostante il volere e gli sforzi, secondo le presenti forze; pure manca loro quella grazia, che li rende possibili"[1] è stata condannata da Innocenzo X come "temeraria, empia, blasfema, condannata con anatema, eretica"[2].

L'insegnamento dei più recenti pontefici illustra le conseguenze dell'oblio del suddetto principio e dischiude la bellezza della regale via della croce rispetto all'inganno del peccato:

S. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis Splendor, 6-8-1993, §§ 91-92 (grassetto redazionale): "91. "Già nell'Antica Alleanza incontriamo ammirevoli testimonianze di una fedeltà alla legge santa di Dio spinta fino alla volontaria accettazione della morte. Emblematica è la storia di Susanna: ai due giudici ingiusti, che minacciavano di farla morire se si fosse rifiutata di cedere alla loro passione impura, così rispose: «Sono alle strette da ogni parte. Se cedo, è la morte per me, se rifiuto, non potrò scampare dalle vostre mani. Meglio però per me cadere innocente nelle vostre mani che peccare davanti al Signore!» (Dn13,22-23). Susanna, preferendo «cadere innocente» nelle mani dei giudici, testimonia non solo la sua fede e fiducia in Dio, ma anche la sua obbedienza alla verità e all'assolutezza dell'ordine morale: con la sua disponibilità al martirio, proclama che non è giusto fare ciò che la legge di Dio qualifica come male per trarre da esso un qualche bene. Essa sceglie per sé la «parte migliore»: una limpidissima testimonianza, senza nessun compromesso, alla verità circa il bene e al Dio di Israele; manifesta così, nei suoi atti, la santità di Dio.Alle soglie del Nuovo Testamento Giovanni Battista, rifiutandosi di tacere la legge del Signore e di venire a compromesso col male, «immolò la sua vita per la verità e la giustizia» e fu così precursore del Messia anche nel martirio (cfr. Mc 6,17-29). Per questo, «fu rinchiuso nell'oscurità del carcere colui che venne a rendere testimonianza alla luce e che dalla stessa luce, che è Cristo, meritò di essere chiamato lampada che arde e illumina... E fu battezzato nel proprio sangue colui al quale era stato concesso di battezzare il Redentore del mondo».Nella Nuova Alleanza si incontrano numerose testimonianze di seguaci di Cristo — a cominciare dal diacono Stefano (cfr. At 6,8–7,60) e dall'apostolo Giacomo (cfr. At 12,1-2) — che sono morti martiri per confessare la loro fede e il loro amore al Maestro e per non rinnegarlo. In ciò essi hanno seguito il Signore Gesù, che davanti a Caifa e a Pilato «ha dato la sua bella testimonianza» (1 Tm6,13), confermando la verità del suo messaggio con il dono della vita. Innumerevoli altri martiri accettarono le persecuzioni e la morte piuttosto che porre il gesto idolatrico di bruciare l'incenso davanti alla statua dell'Imperatore (cfr. Ap 13, 7-10). Rifiutarono persino di simulare un simile culto, dando così l'esempio del dovere di astenersi anche da un solo comportamento concreto contrario all'amore di Dio e alla testimonianza della fede. Nell'obbedienza, essi affidarono e consegnarono, come Cristo stesso, la loro vita al Padre, a colui che poteva liberarli dalla morte (cfr. Eb 5,7).La Chiesa propone l'esempio di numerosi santi e sante, che hanno testimoniato e difeso la verità morale fino al martirio o hanno preferito la morte ad un solo peccato mortale. Elevandoli all'onore degli altari, la Chiesa ha canonizzato la loro testimonianza e dichiarato vero il loro giudizio, secondo cui l'amore di Dio implica obbligatoriamente il rispetto dei suoi comandamenti, anche nelle circostanze più gravi, e il rifiuto di tradirli, anche con l'intenzione di salvare la propria vita.92. Nel martirio come affermazione dell'inviolabilità dell'ordine morale risplendono la santità della legge di Dio e insieme l'intangibilità della dignità personale dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio: è una dignità che non è mai permesso di svilire o di contrastare, sia pure con buone intenzioni, qualunque siano le difficoltà. Gesù ci ammonisce con la massima severità: «Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?» (Mc 8,36).Il martirio sconfessa come illusorio e falso ogni «significato umano» che si pretendesse di attribuire, pur in condizioni «eccezionali», all'atto in se stesso moralmente cattivo; ancor più ne rivela apertamente il vero volto: quello di una violazione dell'«umanità» dell'uomo, prima ancora in chi lo compie che non in chi lo subisce. Il martirio è quindi anche esaltazione della perfetta «umanità» e della vera «vita» della persona, come testimonia sant'Ignazio di Antiochia rivolgendosi ai cristiani di Roma, luogo del suo martirio: «Abbiate compassione di me, fratelli: non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia... Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente uomo. Lasciate che io imiti la passione del mio Dio»"[3]. Paolo VI, Udienza generale, mercoledì, 7 ottobre 1970 (grassetto e corsivo redazionali): "E dobbiamo riflettere perché in questo campo della morale, sia teorico che pratico, vige una tendenza generale: semplificare. Si potrebbero studiare i vari aspetti di questa semplificazione, i quali spesso si risolvono in mutilazioni dell'ordine morale, contrariamente all'antico e saggio adagio: bonum ex integra causa, il bene risulta dall'integrità delle sue componenti. Una semplificazione assai di moda, ad esempio, è quella che riguarda la legge morale, quella positiva dapprima e poi quella naturale. Vi è chi contesta perfino l'esistenza d'una legge naturale, stabile e obiettiva. La liceità progressiva trionfa. Dovremo esaminare se sia giustificata da ragionevoli aperture all'indole moderna questa liceità; se non contraddica a norme intangibili; se produca effetti buoni: «dai frutti conoscerete», insegna Gesù (Matth. 7, 20); se cioè non cancelli la nozione del bene e del male; e se non tolga alla personalità umana il vigore del dominio di sé, del rispetto agli altri, della misura dovuta alla convivenza sociale […]
Altra semplificazione è quella che sostiene doversi trarre la regola dell'agire solo dalla situazione. Ne avrete sentito parlare. Le circostanze, cioè la situazione, sono certamente un elemento che pone condizioni all'atto umano; ma questo non può prescindere da norme morali superiori e obiettive che la situazione dice se e come siano applicabili nel caso concreto. Limitare il giudizio direttivo dell'agire alla situazione può significare la giustificazione dell'opportunismo, dell'incoerenza, della viltà; addio carattere, addio eroismo, addio, alla fine, vera legge morale. L'esistenza dell'uomo non può dimenticare la sua essenza (Cfr. l'istruzione del S. Offizio del 2 febbraio 1956, A.A.S., XLVIII (1956), pp. 144-145; Allocuzione di Pio XII, 18 aprile 1952, Discorsi, XIV, p. 69 ss.). Senza dire che la coscienza, a cui la morale della situazione si rifà, la coscienza, da sola, non illuminata da princípi trascendenti e guidata da un magistero competente, non può essere arbitra infallibile della moralità dell'azione; è un occhio che ha bisogno di luce"[4]. Pio XII, Aux participants au congrès de la Fédération catholique mondiale de la jeunesse féminine, 18-4-1952 (grassetto redazionale): "D'altronde Noi opponiamo all'«etica di situazione» tre considerazioni o massime. La prima: Noi concediamo che Dio vuol principalmente e sempre la retta intenzione: ma questa da sola non è sufficiente. Un'altra: non è permesso fare il male perché ne risulti un bene; tuttavia quest'etica agisce — forse senza rendersene conto — secondo il principio che il fine santifica i mezzi. La terza: vi possono essere situazioni in cui l'uomo, e specialmente il cristiano, non può ignorare che egli deve sacrificare tutto, persino la sua vita, per salvare la propria anima, tutti i martiri ce lo rammentano, e sono numerosissimi anche ai nostri tempi. Ma allora la madre dei Maccabei ed i suoi figli, le sante Perpetua e Felicita nonostante i loro neonati, Maria Goretti e migliaia d'altri, uomini e donne, che la Chiesa venera avrebbero allora subito la loro morte sanguinosa, di fronte alla «situazione», inutilmente o addirittura a torto? No certo; ed essi sono, col loro sangue, testimoni più espressivi della verità contro la «nuova morale»"[5]. 
Scholion III: 1 Cor 10,13[6].

Il testo della S. Scrittura che cancella dal nostro cuore la paura di soccombere necessariamente alla tentazione e al peccato è 1 Cor 10,13:
"Nessuna tentazione, superiore alle forze umane , vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo per poterla sostenere"[7]. 
Il nostro versetto viene dopo una pericope (1 Cor 9,24-10,12) in cui l'Apostolo racconta la sua vita tutta mortificata, perché l'impeccabilità non è garantita neppure a nessuno; inoltre egli esorta, con un tono convenientemente un po' severo, a non cadere in peccato;
"9,24 Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? (…) faccio pugilato, ma non come chi batte l'aria; 27 anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato. 10:1  Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube (…) 5 Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto 6 Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive (…) 7 Non diventate idolatri (…) 8 Non abbandoniamoci all'impurità (…) 9 Non mettiamo alla prova il Signore (…) 10 Non mormorate,(…) 11 Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. 12 Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere".
Dopo questi moniti e prima di trattare nuovi argomenti (effetti dell'Eucarestia, non entrare in comunione con i demoni, evitare lo scandalo - 1 Cor 10, 14-33), San Paolo compone un versetto che da un punto di vista retorico serve da transizione, e, quanto al contenuto, rassicura i Corinti che il combattimento spirituale non è condannato alla sconfitta, a motivo della fedeltà di Di; diamo ora la nostra parafrasi del versetto in questione:
"Nessuna tentazione, se non umana, vi ha colto (oppure "ha avuto la meglio", oppure, con la Vulgata, "vi catturi" = "vi tenga in scacco") ; Dio infatti è degno di fede, cosicché Egli non lascerà che siate tentati più di ciò che potete, ma costituirà - insieme con la tentazione - anche la via di uscita per poter[la] sopportare"[8].
Commentiamo ora più in dettaglio il nostro testo:

Nessuna tentazione, se non umana… = se non quelle in cui necessariamente l'uomo si trova.

Ho seguito, nel proporre questa parafrasi, San Gregorio Magno: "È certamente umano che il cuore sopporti con fermezza una tentazione, ma è demoniaco, nella lotta con la tentazione, lasciarsi vincere da essa mettendola anche in opera"[9].

…vi ha colto oppure vi intrappoli: nel primo senso ("vi ha colto"), S. Cipriano riporta: "Tentatio vos non occupavit nisi humana"[10].
La seconda possibilità ("vi intrappoli") suppone una importante variante (gr. καταλάβῃ) - da cui dipendono la Vulgata e le precedenti versioni latine ("adprehendat") - potrebbe essere tradotta: "non vi catturi", "non vi intrappoli"; cfr. Gv 12,35: "perché le tenebre non vi intrappolino" (CEI 2008: "non vi sorprendano"), gr. "ἵνα μὴ σκοτία ὑμᾶς καταλάβῃ".

Dio infatti è degno di fede…

La parola greca tradotta con "degno di fede", pistós (πιστὸς δὲ ὁ θεός) presuppone la radice ebraica 'mn (da cui deriva, ad esempio e per intenderci, la parola "amen")[11], che indica per eccellenza il permanere di Dio nella sua essenza, e quindi nel non venir meno alle sue promesse.
Noi possiamo stare in piedi (cfr. il v. precedente, "chi vuol stare in piedi, cerchi di non cadere"), perché - secondo l'etimologia ebraica - Dio è appoggio sicuro. Ma pistós indica anche la fedeltà di Dio nell'operare conformemente alla sua natura e alle sue promesse…

…cosicché Egli non lascerà che siate tentati più di ciò che potete…

Ecco la promessa che dissolve ogni "etica della situazione": quest'ultima, da un lato nega la natura (in sé e come principio di operazione) immutabile dell'uomo, il quale non è più in condizione di ricreare continuamente se stesso, agendo conforme alla sua essenza (perduta), ma è schiavo degli eventi e della concupiscenza; di fatto egli è persino irredimibile (essendo svanito il terminus ad quem univoco della ricreazione per grazia); dall'altro lato, il misconoscimento dell'azione di Dio a fianco dell'uomo in ogni situazione, porta a una assolutizzazione del caso concreto - in pratica a una divinizzazione della storia - che è cosa ben diversa dall'intervento gratuito di Dio nella storia stessa.
Dio è il Signore di ogni situazione concreta, non solo con la sua legge eterna partecipata in ogni situazione, ma con la sua presenza preveniente e coadiuvante in ciascun caso concreto, "caso per caso". Quindi, il giudizio morale di un atto "caso per caso" non può non tener conto della vicinanza del Dio fedele "in ogni caso", vicinanza finalizzata alla vittoria morale dell'uomo.

Ma adesso vediamo come, concretamente, il Dio fedele non permette che siamo tentati sopra le nostre forze. 

La tentazione, a cui tutti sono sottoposti in questa vita, è una sorta di stato di fronte a due porte che si aprono verso due mondi esistenziali opposti; si può "entrare" nella tentazione e allora si pecca, oppure, se ne può uscire verso la grazia e la libertà, "rimanendo" così nell'amore di Gesù.
In questo senso si comprende la VI petizione del Padre nostro, "e non ci indurre in tentazione".
Non ci indurre (lat. "…ne nos inducas", gr. μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς) presuppone l'ebraico 'al tebî'ênu (o forme aramaiche analoghe) e può essere parafrasato con "fa' sì che non entriamo nella tentazione".
Non si chiede di non essere tentati (cosa impossibile in questa vita, "al modo umano"), ma si invoca l'azione di Dio che "non ci faccia entrare" nella trappola e nell'atmosfera diabolica.
Le parole di San Paolo descrivono esattamente ciò che Dio compie per far sì che non entriamo nella tentazione:

… ma costituirà - insieme con la tentazione - anche la via di uscita per poter[la] sopportare.

Dio fedele creerà (costituirà gr. poiései, ποιήσει, Vg. faciet) egli stesso, insieme alla tentazione, anche la via di uscita (gr. kaì tèn ékbasin, καὶ τὴν ἔκβασιν, Vg. etiam proventum).

Conclusione.

Eravamo partiti dal § 301 di Amoris Laetitia.

"Un soggetto… si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa".

Dopo le nostre osservazioni, possiamo affermare che un soggettonon potrà mai trovarsi in condizioni concrete che lo obblighino a prendere decisioni senza una nuova colpa; la via di uscita c'è: è una via divina però, non una soluzione umana che, ammettendo ai sacramenti dei vivi chi è in stato di peccato, distrugge contemporaneamente la dottrina cattolica del matrimonio, dell'Eucarestia, della confessione e i fondamenti della morale naturale e cristiana.
Può darsi che questa divina via di uscita talvolta sia inclusa nella magna charta del cristianesimo: "Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mc 1,34). 
In questa sequela, realizzata da tanti cristiani e da tanti martiri, la presenza del Dio fedele è vicinissima in Gesù Cristo, e con lui, vincitori della morte e di ogni tentazione, giungeremo alla gloria della Resurrezione. Che cos'è più Evangelii gaudium di questo?


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[1] H. Denzinger, Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, edizione bilingue sulla 40ª edizione (2005) a cura di Peter Hünermann, Bologna: EDB, 2005/5, n. 2001.
[2] H. Denzinger, Enchiridion symbolorum…, n. 2006 - Costituzione apostolica Cum occasione, 1653 - condanna dell'Augustinus di Giansenio.
[3] http://tinyurl.com/h2smc7b.
[4] http://tinyurl.com/jpwer35.
[5] La traduzione in italiano, dall'originale in francese è ripresa dal sito WEB Progetto Barruel, http://tinyurl.com/zub7aad. Testo originale: "Du reste Nous opposons à l'«éthique de situation» trois considérations ou maximes. La première : Nous concédons que Dieu veut premièrement et toujours l'intention droite ; mais celle-ci ne suffit pas. Une autre : il n'est pas permis de faire le mal afin qu'il en résulte un bien (cf. Rom. 3, 8). Mais cette éthique agit — peut-être sans s'en rendre compte — d'après le principe que la fin sanctifie les moyens. La troisième: il peut y avoir des situations, dans lesquelles l'homme, et spécialement le chrétien, ne saurait ignorer qu'il doit sacrifier tout, même sa vie, pour sauver son âme. Tous les martyrs nous le rappellent. Et ceux-ci sont fort nombreux en notre temps même. Mais la mère des Macchabées et ses fils, les saintes Perpétue et Félicité malgré leurs nouveau-nés, Maria Goretti et des milliers d'autres, hommes et femmes, que l'Église vénère, auraient-ils donc, contre la «situation», inutilement ou même à tort encouru la mort sanglante ? Non certes, et ils sont, dans leur sang, les témoins les plus exprès de la vérité, contre la «nouvelle morale»"; http://tinyurl.com/jeja5su.
[6] Riprendo qui, in parte, quanto precedentemente pubblicato in «Noi crediamo nella vittoria della grazia: 1 Cor 10,13», MiL-Messainlatino.it, 8-11-2015, http://tinyurl.com/zkfzj9x.
[7] Trad. CEI 2008.
[8] Il testo greco è il seguente: "πειρασμὸς ὑμᾶς ⸂οὐκ εἴληφεν⸃ εἰ μὴ ἀνθρώπινος· πιστὸς δὲ ὁ θεός, ὃς οὐκ ⸀ἐάσει ⸉ὑμᾶς πειρασθῆναι⸊ ὑπὲρ ὃ δύνασθε ἀλλὰ ποιήσει σὺν τῷ πειρασμῷ καὶ τὴν ἔκβασιν τοῦ δύνασθαι ⸆ ὑπενεγκεῖν". (Nestle Aland, 28ª ed.; app. critico: ⸂ ου καταλαβη F G lat; Ambst | ⸀ αφησει D F G | ⸉ B 1175 | ⸆ υμας ℵ (D) K Ψ 104. 1241. 1505 𝔐 ╎ txt 𝔓 ℵ✱ A B C D✱ F G L P 6. 33. 81. 365. 630. 1175. 1739. 1881. 2464; Or →). La Vulgata traduce: "temptatio vos non adprehendat nisi humana; fidelis autem Deus qui non patietur vos temptari super id quod potestis sed faciet cum temptatione etiam proventum ut possitis sustinere".
[9] Regulae Pastoralis Liber, I, 11. ML 77, 26: "Humanum quidem est tentationem in corde perpeti, demoniuacum vero est in tentationis certamine et in operatione superari".
[10] Testimoniorum Libri Tres adversus Judaeos, l. III, c. XCI, ML 4, 774.
[11] F. Delitzsch retroverte con נֶאֱמָןne'eman. Ho consultato il testo offerto dal software Accordance.

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