Riprendiamo da La nuova bussola quotidiana la traduzione di un importante intervento del Card. Raymond Leo Burke, apparso ieri sul National Catholic Register. Lo scritto del Card. Burke è stato commentato anche da Sandro Magister nel suo blog. Va segnalato, infine, anche il commento (che abbiamo potuto leggere nella versione inglese) del Card. Brandmüller.
I media laici ed anche alcuni media cattolici stanno dipingendo la recente Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris Laetitia “Sull’amore nella famiglia” come una rivoluzione nella Chiesa, come un radicale allontanamento dall’insegnamento e dalla prassi della Chiesa, sul matrimonio e la famiglia, così come trasmesso fino ad ora. Una lettura del documento di questo tipo è sorgente di preoccupazione e di confusione per i fedeli, ed anche potenzialmente di possibile scandalo non solo per i fedeli, ma anche per tutte le persone di buona volontà che guardano a Cristo e alla Chiesa per insegnare e rispecchiare nella vita la verità sul matrimonio ed i suoi frutti, la vita della famiglia, cellula primaria della vita della Chiesa e di ogni società.
E’ anche un cattivo servizio alla natura del documento, quale frutto del Sinodo dei Vescovi, un incontro di Vescovi che rappresenta la Chiesa universale “per prestare aiuto con i loro consigli al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi, nell'osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo” (can. 342). In altre parole, sarebbe in contraddizione con il lavoro del Sinodo generare confusione su ciò che la Chiesa insegna, tutela e promuove con la sua disciplina. L’unica chiave per la corretta interpretazione di Amoris Laetitia è l’insegnamento costante della Chiesa e della sua disciplina che protegge e promuove questo insegnamento. Papa Francesco ha chiarito fin dall’inizio che l’Esortazione Apostolica Post-sinodale non è un atto di Magistero (cf. n. 3).
La tipologia stessa del documento conferma la stessa cosa. È scritto come una riflessione del Santo Padre sul lavoro delle ultime due sessioni del Sinodo dei vescovi. Per esempio, nel capitolo ottavo, che ad alcuni piace interpretare come il progetto di una nuova disciplina con implicazioni ovvie per la dottrina della Chiesa, Papa Francesco, citando l’Esortazione Apostolica post-sinodale, Evangelii Gaudium, afferma:
«Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, “non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”» (n. 308).
In altre parole, il Santo Padre sta proponendo ciò che lui personalmente ritiene essere la volontà di Cristo per la sua Chiesa, ma egli non intende imporre il suo punto di vista né condannare coloro che insistono su quella che lui chiama “una pastorale più rigida”. La natura personale cioè non magisteriale del documento emerge anche dal fatto che le citazioni riportate provengono principalmente dal documento finale della sessione 2015 del Sinodo dei Vescovi, nonché dai discorsi e dalle omelie di Papa Francesco stesso. Non si ha un impegno costante di collegare il testo in generale o tali citazioni al Magistero, ai Padri della Chiesa e agli altri autori provati.
Oltretutto, come evidenziato sopra, un documento che è il frutto del Sinodo dei Vescovi deve essere sempre letto alla luce dello scopo del Sinodo stesso, ossia la tutela e la promozione di ciò che la Chiesa ha sempre pensato e praticato conformemente al suo insegnamento. In altre parole, un’Esortazione Apostolica post-sinodale, per la sua propria natura, non propone una nuova dottrina e una nuova disciplina, ma applica la dottrina e la disciplina costanti alle situazioni del mondo contemporaneo.
Allora come deve essere recepito questo documento? Prima di tutto, deve essere accolto con quel profondo rispetto dovuto al Romano Pontefice in quanto Vicario di Cristo, che è, secondo le parole del Concilio Ecumenico Vaticano II, “perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli” (Lumen Gentium, n. 23).
Alcuni commentatori confondono questo rispetto con un presunto obbligo di credere “per fede divina e cattolica” (can. 750, § 1) tutto ciò che è contenuto nel documento. Ma la Chiesa cattolica, mentre insiste sul rispetto dovuto all’Ufficio petrino, in quanto istituito da Nostro Signore stesso, non ha mai sostenuto che ogni affermazione del Successore di San Pietro debba essere ricevuta come parte del suo Magistero infallibile.
La Chiesa storicamente è stata sensibile a quelle tendenze erronee che interpretavano ogni parola del Papa come vincolante per la coscienza, il che è certamente assurdo. Secondo l’insegnamento tradizionale, il Papa ha due “corpi”, uno in quanto membro individuale dei fedeli e perciò soggetto a mortalità e l’altro in qualità di Vicario di Cristo sulla Terra, e questo, secondo la promessa di Nostro Signore, perdurerà fino al suo ritorno nella gloria. Il primo corpo è il suo corpo mortale; il secondo è l’istituzione divina dell’Ufficio di San Pietro e dei suoi successori. I riti liturgici e gli abiti che rivestono il Papa sottolineano tale distinzione, cosicché una riflessione personale del Papa, mentre è ricevuta con il rispetto dovuto alla sua persona, non viene confusa con la fede vincolante dovuta all’esercizio del Magistero. Nell’esercizio del Magistero, il Romano Pontefice quale Vicario di Cristo agisce in una ininterrotta comunione con i suoi predecessori a partire da San Pietro.
Ricordo la disputa che accompagnò la pubblicazione delle conversazioni tra il beato Paolo VI e Jean Guitton nel 1967. La preoccupazione risiedeva nel pericolo che i fedeli avrebbero confuso le riflessioni personali del Papa con l’insegnamento ufficiale della Chiesa. Se da un lato il Romano Pontefice ha delle riflessioni personali che possono essere interessanti e stimolanti, la Chiesa deve essere sempre vigile nel segnalare che la pubblicazione di tali riflessioni è un atto personale e non un esercizio del Magistero papale. Diversamente, quanti non comprendono la distinzione o non la vogliono comprendere, presenteranno tali riflessioni ed anche aneddoti del Papa come dichiarazioni di un cambiamento nell’insegnamento della Chiesa, causando grande confusione nei fedeli. Una tale confusione è dannosa per i fedeli e indebolisce la testimonianza della Chiesa quale Corpo di Cristo nel mondo.
Con la pubblicazione di Amoris Laetitia, l’obiettivo dei pastori e di coloro che insegnano la fede è di presentarla nel contesto dell’insegnamento della disciplina della Chiesa, così che sia a servizio dell’edificazione del Corpo di Cristo nella sua prima cellula vitale, cioè il matrimonio e la famiglia. In altre parole, l’Esortazione Apostolica post-sinodale può essere correttamente interpretata, in quanto documento non magisteriale, solamente usando la chiave del Magistero, come spiegato nel Catechismo della Chiesa cattolica (nn. 85-87).
La dottrina ufficiale della Chiesa infatti fornisce l’insostituibile chiave interpretativa dell’Esortazione Apostolica, di modo che possa veramente servire al bene di tutti fedeli, unendoli ancor più strettamente a Cristo, che è l’unica nostra salvezza. Non ci può essere opposizione o contraddizione tra la dottrina della Chiesa e la sua prassi pastorale, dal momento che come ci ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica, la dottrina è naturalmente pastorale:
«La missione del Magistero è legata al carattere definitivo dell'Alleanza che Dio in Cristo ha stretto con il suo Popolo; deve salvaguardarlo dalle deviazioni e dai cedimenti, e garantirgli la possibilità oggettiva di professare senza errore l'autentica fede. Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a vigilare affinché il Popolo di Dio rimanga nella verità che libera. Per compiere questo servizio, Cristo ha dotato i pastori del carisma d'infallibilità in materia di fede e di costumi. L'esercizio di questo carisma può avere parecchie modalità» (n. 890).
Si può vedere la natura pastorale della dottrina, in maniera eloquente, nell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e la famiglia. Cristo stesso mostra la profonda natura pastorale della verità della fede nel suo insegnamento sul santo Matrimonio nel Vangelo (cf. Mt 19, 3-12), nel quale insegna nuovamente il piano di Dio sul matrimonio “fin dal principio”. Durante gli ultimi due anni, nei quali la Chiesa è stata coinvolta in una intensa discussione sul matrimonio la famiglia, ho richiamato spesso un episodio della mia infanzia. Sono cresciuto in una fattoria familiare nelle campagne del Wisconsin; ero il più giovane di sei figli di buoni genitori cattolici. La Messa domenicale delle 10 presso la nostra parrocchia nelle vicinanze del paese era chiaramente il cuore della nostra vita di fede; a un certo punto, mi sono accorto di una coppia, amici dei miei genitori provenienti dalla fattoria vicina, che era sempre presente alla Santa Messa, ma non riceveva mai la Santa Comunione. Quando chiesi a mio padre perché non ricevessero mai la Santa Comunione, egli mi spiegò che l’uomo era sposato con un’altra donna e perciò non poteva ricevere i Sacramenti.
Ricordo chiaramente che mio padre mi spiegò la prassi della Chiesa, nella fedeltà al suo insegnamento, in un modo sereno. La disciplina ovviamente aveva un significato per lui e aveva un significato per me; infatti la sua spiegazione fu per me la prima occasione di riflettere sulla natura del matrimonio come legame indissolubile tra il marito la moglie. Nello stesso tempo devo dire che il parroco trattava la coppia coinvolta con il più grande rispetto, anche se loro prendevano parte alla vita parrocchiale nella modalità appropriata allo stato irregolare della loro unione. Da parte mia, ho sempre avuto l’impressione che, sebbene debba essere stato veramente difficile non poter ricevere i Sacramenti, loro erano tranquilli nel vivere secondo la verità della loro situazione matrimoniale.
Dopo oltre quarant’anni di vita e ministero sacerdotale, per ventuno dei quali ho svolto il ministero episcopale, ho conosciuto molte altre coppie in situazioni irregolari, per le quali io o gli altri miei confratelli sacerdoti abbiamo avuto una cura pastorale. Sebbene la loro sofferenza fosse evidente ad ogni anima compassionevole, ho visto sempre più chiaramente negli anni che il primo segno di rispetto e amore nei loro confronti era dir loro la verità con amore. In quel modo, l’insegnamento della Chiesa non è qualcosa che li affligge ancora di più, ma in verità li libera per amare Dio e il loro prossimo.
Potrebbe essere di aiuto illustrare con un esempio la necessità di interpretare il testo di Amoris Laetitia alla luce del Magistero. Nel documento ci sono frequenti riferimenti all’ “ideale” del matrimonio. Una tale descrizione del matrimonio può essere fuorviante. Può condurre il lettore a pensare al matrimonio come ad un’idea eterna, alla quale gli uomini e le donne debbano più o meno conformarsi nelle circostanze mutevoli. Ma il matrimonio cristiano non è un’idea; è un sacramento che conferisce la grazia a un uomo e una donna per vivere in un fedele, permanente e fecondo amore reciproco. Ogni coppia cristiana validamente sposata, dal momento del consenso, riceve la grazia di vivere l’amore che si sono promesso reciprocamente. Siccome tutti soffriamo degli effetti del peccato originale e poiché il mondo in cui viviamo si fa fautore di una visione completamente differente del matrimonio, gli sposi sono tentati di tradire la realtà obiettiva del loro amore. Ma Cristo dà sempre loro la grazia di rimanere fedeli a quell’amore fino alla morte. La sola cosa che li può limitare nella loro risposta fedele è venir meno nel corrispondere alla grazia data loro nel sacramento del Santo Matrimonio. In altre parole, la loro difficoltà non è con una qualche idea che gli ha imposto la Chiesa. La loro lotta è con quelle forze che li conducono a tradire la realtà della vita di Cristo in loro. Negli anni e particolarmente durante gli ultimi due anni, ho incontrato molti uomini e donne che per svariate ragioni, si sono separate o hanno divorziato dai loro coniugi, ma che stanno vivendo nella fedeltà alla verità del loro matrimonio e stanno continuando a pregare ogni giorno per l’eterna salvezza dello sposo, anche se lui o lei li ha abbandonati. Nelle nostre conversazioni, essi riconoscono la sofferenza in cui sono coinvolti, ma soprattutto la profonda pace che provano nel rimanere fedeli al proprio matrimonio.
Alcuni ritengono che una tale reazione alla separazione o al divorzio sia un eroismo al quale la media dei fedeli non può giungere, ma in verità noi siamo tutti chiamati a vivere eroicamente, in qualunque stato di vita. Papa San Giovanni Paolo II, a conclusione del Grande Giubileo del 2000, riferendosi alle parole di Nostro Signore che concludono il Discorso della Montagna – “Siate perfetti come il Padre vostro” (Mt 5, 48) - ci ha insegnato la natura eroica della vita quotidiana in Cristo con queste parole:
«come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni « geni » della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. Ringrazio il Signore che mi ha concesso di beatificare e canonizzare, in questi anni, tanti cristiani, e tra loro molti laici che si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita. È ora di riproporre a tutti con convinzione questa « misura alta » della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione» (Novo Millennio Ineunte, no. 31).
Incontrando uomini e donne che, malgrado una rottura della vita matrimoniale, rimangono fedeli alla grazia del sacramento del Matrimonio, io sono stato testimone della vita eroica che la grazia rende a noi possibile ogni giorno.
Sant’Agostino di Ippona, in una predica per la festa di San Lorenzo, Diacono e Martire, nel 417, utilizza una bellissima immagine per incoraggiarci nella nostra cooperazione con la grazia che Nostro Signore ha ottenuto per noi con la sua Passione e Morte. Egli ci garantisce che nel giardino del Signore non ci sono solo le rose dei martiri, ma anche i gigli delle vergini, le edere degli sposi e le viole delle vedove. Egli perciò conclude che nessuno dovrebbe disperare riguardo alla propria vocazione perché “Cristo è morto per tutti” (Sermone 304). La ricezione di Amoris Laetitia, nella fedeltà al Magistero, possa confermare gli sposi nella grazia del sacramento del Santo Matrimonio, così che essi possano essere segno dell’amore fedele e duraturo di Dio per noi “fin dal principio”, un amore che ha raggiunto la sua piena manifestazione dell’Incarnazione redentiva del Figlio di Dio. Che il Magistero, quale chiave della sua comprensione, faccia sì che “il Popolo di Dio rimanga nella verità che libera” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 890).
Traduzione in italiano di Luisella Scrosati