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giovedì 29 agosto 2013

La liturgia è la Tradizione stessa nel suo più alto grado di potenza e di solennità

Da Romualdica

 Sapete di quali tesori siete depositari? Alla fine del secolo VI, nel momento in cui l’Impero romano in piena decadenza passa il testimone della cultura al mondo cristiano, la Chiesa è in possesso dei più bei gioielli del suo tesoro liturgico, tra i quali bisogna contare le preghiere del Messale e specialmente le ammirevoli collette che precedono la lettura dell’Epistola. Charles Péguy scopriva con stupore che c’è un santo per ogni giorno; dovete inoltre sapere che ogni giorno c’è una preghiera destinata a guidare i vostri passi sulla via stretta. Queste preghiere, cesellate da anni di fede da mani fini e sapienti, dovete saperle a memoria, studiarle e meditarle, perché vi si trova lo spirito incorrotto del cristianesimo contenuto sotto forma di massime scolpite nel bronzo, e non c’è niente di più adatto da mettere in pratica come le alte certezza dell’anima: queste preghiere sono regole di vita. Il nome di colletta è stato dato alla preghiera che introduce le letture della Messa e che ritroviamo a conclusione di tutte le ore canoniche, poiché era recitata davanti ai fedeli, riuniti all’inizio della Messa. La secreta (preghiera sulle offerte) e il postcommunio devono il loro nome al posto che occupano nel dramma del sacrificio eucaristico. La colletta, come il prefazio, era un tempo improvvisata dal celebrante, quando sant’Ambrogio e sant’Agostino — in un’estasi comune — alternavano per la prima volta ut fertur, i versetti del mirabile Te Deum. Poi lo Spirito santo fissò divinamente la giovane preghiera della Chiesa come l’età matura fissa i tratti dell’infanzia. In alcune raccolte di orazioni erano conservati i brani meglio riusciti, e vi si possono riconoscere le preghiere dovute a san Leone Magno grazie alla perfezione del ritmo e al rigore del pensiero: la regola salvò l’ispirazione fissandone l’eccellenza. Ai nostalgici della Chiesa delle origini, in preda al creativismo, messa da parte la loro incredibile pretesa, rispondiamo che si può essere bambini solo una volta nella vita. Per fortuna, oggi, grazie alla pietà delle generazioni passate che ci hanno trasmesso questi gioielli della nostra liturgia, se un giovane barbaro entrasse in una chiesa per ascoltare una Messa, sarebbe messo direttamente in comunicazione con il pensiero di un Padre della Chiesa del secolo IV. Secondo un’usanza molto antica, il celebrante invita la comunità al raccoglimento con l’avvertimento solenne del Dominus vobiscum. «Il Signore sia con voi!», dopo di che i fedeli rispondono: «E con il tuo spirito». Il Signore dev’essere con il sacerdote per renderlo degno di esprimere i voti della comunità. Dev’essere con i fedeli per renderli attenti alla preghiera. Il sacerdote prega allora ad alta voce, o canta, la colletta con un tono recitante nel quale solo due note sposano la forma letteraria propria delle orazioni del Messale che si chiama cursus. Parleremo più avanti di questa forma letteraria destinata a sottolineare lo svilupparsi del pensiero. Molto presto, senza dubbio sin dal secolo IV, si fecero delle raccolte di preghiere che costituiscono la ricchezza del nostro patrimonio liturgico. Alla fine del Messale troverete delle collette che si possono aggiungere, secondo i bisogni, alla preghiera del giorno. Sono le orazioni per casi particolari: per domandare la pioggia, per allontanare la tempesta, per difendersi dal demonio, per domandare la pazienza, la castità, nonché quella meravigliosa orazione per domandare la grazia del dono delle lacrime: pro petitione lacrymarum. «O Dio onnipotente e mitissimo, che hai fatto scaturire dalla roccia una fonte d’acqua viva per il popolo assetato, strappa dalla durezza del nostro cuore lacrime di compunzione: affinché possiamo piangere i nostri peccati e meritare, per la tua misericordia, la loro remissione». Verrà un giorno nel quale alla Sorbona saranno difese tesi di laurea sulla bellezza letteraria delle preghiere della Chiesa? Il Breviario, il Messale, il Processionale contengono una quantità di orazioni straordinarie per eleganza di stile, penetranti e profonde per pensiero. Le nostre collette sono tra le testimonianze più antiche della pietà della Chiesa primitiva; esse sono sopravvissute a lente trasformazioni della liturgia e risultano di considerevole interesse. Due caratteristiche meritano di essere sottolineate: la ricchezza dottrinale e il valore pedagogico. Ricchezza dottrinale Il campo della liturgia costituisce in sé un «luogo teologico» di una ricchezza inesauribile, una specie di rete di verità dottrinali sparse, non ordinate sistematicamente. Péguy diceva bene quando affermava che la liturgia è una «teologia distesa». Quando il canto dell’Exsultet, sgorgante di poesia, si eleva nella notte pasquale, il dogma della Redenzione illumina le menti di un bagliore proprio che non è altro se non lo splendore del vero: l’Exsultet, il Lauda Sion, il Dies Irae sono dogmi cantati che infondono direttamente nell’anima luce e amore. Dom Guéranger diceva che «la liturgia è la Tradizione stessa nel suo più alto grado di potenza e di solennità»; un’affermazione che all’epoca suscitò qualche stupore. I materiali che servono agli artigiani della teologia speculativa sono contenuti nella Preghiera della Chiesa, come quelli nelle cave di pietra che servono per la costruzione del Tempio: è in questo tesoro che attingono i teologi di tutti i tempi per illustrare e affermare il dogma. Padre Emmanuel André, abate di Notre-Dame de la Sainte-Espérance, trovava la dottrina della grazia nelle orazioni del Messale. Queste preghiere risentono delle lotte dottrinali del secolo IV, minacciato dall’eresia pelagiana; Pelagio minimizzava le conseguenze del peccato originale e ignorava la necessità della gratia sanans, ossia la grazia che guarisce. L’eresia pelagiana è una delle forme correnti di naturalismo che si ripresenta in ogni epoca. Padre Emmanuel non voleva contrapporre tesi a tesi; costruiva la sua teologia della grazia nel solco della preghiera della Chiesa. Le orazioni lo aiutavano a mettere in luce l’assoluta necessità della grazia divina nell’ordine della salvezza. È una perfetta spiegazione della lex orandi che stabilisce e fissa la lex credendi. Ricorderete che recentemente abbiamo ricevuto un esponente dei pentecostali: non abbiamo avuto difficoltà a provargli la novità inquietante di una preghiera che s’indirizza esclusivamente alla terza Persona, sottolineando il carattere trinitario delle nostre collette, che si elevano al Padre, mediante il Figlio, nello Spirito. La stessa orazione della festa di Pentecoste espone questo modo di preghiera: la sequenza della Messa — una specie di effusione libera che s’indirizza al solo Spirito santo — dev’essere considerata come una glossa del versetto alleluiatico; la colletta resta trinitaria. «Nihil inovetur nisi quod traditum est». Ecco ciò che insegnano le preghiere liturgiche. Ci istruiscono sulla Maestà di Dio, sull’abisso della nostra miseria, sul modo di comportarci davanti a Dio e di come indirizzare a Lui le nostre richieste per essere esauditi. Valore pedagogico La liturgia è anche — e soprattutto, come ideale — una norma di preghiera. Possiamo affermare che essa ci offre il più antico e il più onorato dei metodi di preghiera. A partire dal secolo XVI si è molto parlato di orazione e di metodi di orazione. Santa Teresa d’Avila dichiarava che avrebbe voluto stare sulla cima di una montagna per convincere, se fosse stato possibile, tutto l’universo dell’importanza dell’orazione. Ma la preghiera, a partire dal secolo XVI, è stata fortemente segnata dall’umanesimo del Rinascimento e l’orazione si è trovata sottomessa a investigazioni e vaneggiamenti umani. Era fatale che lo sviluppo della psicologia inclinasse gli spiriti a forgiare metodi d’orazione nei quali dominava l’aspetto analitico e discorsivo. Durante i primi secoli della Chiesa la preghiera non aveva cessato d’irrigare i terreni dove si coltivava la vita spirituale. Dunque, come pregavano gli antichi? Usavano dei metodi? Sembra evidente di no. L’orazione scaturiva spontaneamente dall’intimo grazie all’ufficio divino. Il fiume dei misteri liturgici alimentava le prime generazioni di cristiani, come i quattro fiumi del Paradiso, senza che dovessero inventare altri metodi di accesso al santuario della vita interiore. La liturgia è stata, nelle età della fede, la grande educatrice dei figli di Dio. Gli inni, i salmi, il canto gregoriano, l’ordine sacramentale versavano nelle anime la luce delle verità della fede e spingevano l’uomo a guardare verso Dio piuttosto che a sé stesso; a cantare le «mirabilia Dei», in dissolvenza, come gli scultori dei capitelli di Chartres si eclissavano davanti al loro soggetto. Grazie alla liturgia, il primato era dato alla vita teologale e contemplativa. Le collette acquisiscono a tale proposito un considerevole valore pedagogico. Considerate l’importanza delle parole dell’orazione. Talvolta un’invocazione maestosa ci mette di fronte all’onnipotenza divina — «Omnipotens sempiterne Deus…» —, altrove la Chiesa è nominata per prima: «Ecclesiam tuam, Deus…», oppure «Familiam tuam». L’orazione si colora allora di affettuosa tenerezza. In altre occasioni l’uso di un verbo forte mette in rilievo l’azione divina: «Fac, Domine…», «Presta, quaesumus Domine…». In seguito il corpo dell’orazione esprime l’oggetto della richiesta, la quale è indicata con poche parole che indicano gioia, cosicché l’oggetto principale di una festa si trova perfettamente riassunto nella sua colletta. Ecco per esempio l’orazione della Messa di mezzanotte: «O Dio, che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo, concedi a noi, che sulla terra lo contempliamo nei suoi misteri, di partecipare alla sua gloria nel cielo». Con arte, la liturgia ci fa passare da una realtà creata alla sua analoga di livello superiore: dalla luce del Natale alla luce celeste, dal visibile all’invisibile. L’orazione della Messa dell’aurora invita a passare dal piano dell’essere al piano dell’agire; in poche parole ecco stabilito il fondamento della morale: «La luce che, per la fede, brilla nelle nostre anime, rifulga nelle nostre azioni» («In nostro resplendeat opere quod per fidem fulget in mente»). Così ogni festa ci fa domandare una grazia speciale con una dolcezza e una precisione che conduce l’anima direttamente al centro del mistero celebrato. Siamo illuminati su cosa domandare, sul come dobbiamo chiedere, sul perché è necessario interpellare. L’orazione dell’Immacolata Concezione sviluppa armoniosamente l’ordine delle quattro cause; quella della quarta domenica dopo Pasqua attira verso l’alto i nostri cuori con una soavità che solo il latino può rendere: «ut inter mundanas varietates ibi nostra fixa sint corda ubi vera sunt gaudia», «affinché nei cambiamenti di questo mondo i nostri cuori restino fissi là dove si trovano le vere gioie». Il latino delle orazioni ci fa pregare con tanto gusto ed esattezza, che la traduzione talvolta è impossibile. Come tradurre parole come: «ostia», «pietas» o «devotio»? A venti secoli di distanza, la parola calcata sul latino appare vuota della sua sostanza o ha cambiato significato. In latino hostia significava vittima di un sacrificio con spargimento di sangue e devotio consacrazione irrevocabile. La parola pietas, così sbiadita dall’uso continuo, avrebbe bisogno — onde non tradirne il vero significato — di una lunga perifrasi che le possa ridare la sua linfa antica e sacra. La pietas romana, virtù nazionale, carica di un senso carnale e religioso, significava sia l’attaccamento alla terra, la fedeltà, la gratitudine, sia il culto reso agli dèi, ai parenti, alla patria, e ancora alla famiglia, alla casa, ai penati. Si percepisce cosa la parola pietà, bagnata dall’acqua del battesimo, potesse significare per i primi cristiani. Alla tenerezza paterna di Dio l’anima illuminata dal Verbo rispondeva sicut naturaliter rifluendo verso il focolare beatificante della vita trinitaria. Alcuni tra voi si domanderanno come pregare con le orazioni del Messale. La prima condizione è di sapere leggere; scienza poco comune, contrariamente a quello che si crede, e che comporta due operazioni: scrutare e soppesare. Consiglio a chi tra voi vuole ispirarsi alla santa liturgia per alimentare la propria vita di preghiera, d’imitare il metodo dei cercatori d’oro. Il ciclo dell’anno liturgico è simile a un grande fiume carico di riti, canti e poemi. Vi si trovano anche brevi formule brillanti di un vivo splendore che si possono paragonare a pagliette d’oro. Leggere lentamente il proprio del Messale è un eccellente metodo di preghiera, setacciare per così dire giorno dopo giorno l’acqua di questo fiume e cogliere con cura ciò che risponde alle attese e al desiderio dell’anima. La colletta della domenica diventerà, sotto la guida della Chiesa, una gustosa meditazione e un’esortazione pratica per tutta la settimana. Potremo così portare, incise nella nostra mente, le formule delle preghiere preferite, arricchite da brillanti massime che illuminano la nostra strada. 
Ecco qualche esempio preso a caso: 
 «Sic transeamus per bona temporalia, ut non amittamus aeterna» [1]. «Sacramentum vivendo teneant quod fide perceperunt» [2]. 
«Sine te nihil potest mortalis infirmitas» [3]. 
«Ad promissiones tuas, sine offensione curramus» [4]. 
«Da nobis fidei, spei et caritatis augmentum» [5]. 
«Discamus terrena despicere et amare caelestia» [6]. 
«Auctor ipse pietatis!...» [7]. 

In queste ultime parole — «Voi che siete l’autore stesso di ogni pietà» —, che arte di commuovere il cuore di Dio! C’è una grande dolcezza nel pregare con le stesse parole e accenti dei primi cristiani rinati dall’acqua battesimale, ascoltando le medesime letture, intonando uguali canti, attenti come loro alla misteriosa voce dello Spirito e della Sposa che dice: «Vieni, Signore Gesù!». 

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 Note: [1] «Affinché passiamo tra i beni temporali senza perdere quelli eterni» (colletta della terza domenica dopo Pentecoste).
[2] «Concedi di conservare nella vita quel sacramento che ricevettero per la fede» (colletta del martedì di Pasqua).
[3] «Senza di voi la debolezza della nostra natura mortale non può nulla» (colletta della I domenica dopo Pentecoste).
[4] «Fai che corriamo senza ostacoli verso i beni da te promessi» (colletta della XII domenica dopo Pentecoste).
[5] «Accresci in noi la fede, la speranza e la carità» (colletta della XIII domenica dopo Pentecoste).
[6] «Impariamo a disprezzare le cose terrene e ad amare quelle del cielo» (postcommunio della Messa del Sacro Cuore).
[7] «Voi che siete l’autore stesso di ogni pietà» (colletta della XXII domenica dopo Pentecoste).

 [Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), La santa liturgia, trad. it., Nova Millennium Romae, Roma 2011, pp. 59-70]

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