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martedì 11 giugno 2013

Mons. Gherardini commemora Mons.Antonio Piolanti

Disputationes Theologicae ha chiesto a Mons. Brunero Gherardini un articolo commemorativo su Mons. Antonio Piolanti un teologo di valore mondiale al quale sarebbe stata negata la Porpora Cardinalizia”. A tal proposito in alcuni circoli curali romani  si raccontava di “ un’ incredibile udienza in cui alcuni illustri porporati chiesero a Giovanni Paolo II di promuovere per meriti Mons. Piolanti alla porpora. Il Papa rispose che aveva fortissime pressioni contrarie dai vescovi progressisti e da illustri personaggi della Germania”. 
Anche noi con Mons. Gherardini auspichiamo che “l’ “opera omnia” di Mons. Piolanti trovi un editore, ché tanta manna non vada perduta”.  A.C.

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                                                      ANTONIO PIOLANTI

In memoria
di Mons. Brunero Gherardini

"Audiamus dominum pratensem" e, con la mano, indicava proprio me, che m'ero appena iscritto ad un suo corso straordinario sull'efficacia dei sacramenti e che ora m'individuava sulla base della mia città di provenienza, Prato. 
Fu questo l'inizio d'un rapporto che, in breve volger di tempo, si sarebbe trasformato in una vera e profonda amicizia. 
Sulle prime, a dir il vero, mi sentivo un po' a disagio: io, uno studente qualunque, lui uno dei più celebrati maestri della benemerita "Scuola Romana". 
Poi, a distanza di poche settimane, il disagio si dileguò, lasciando il posto ad una correlazione che, con il passare degli anni, diventò "forte come la morte" (Cant. 8, 6). 
S'iniziò così, in effetti, quella reciprocità d'intenti, di stima e di vera amicizia che ci accompagnò nel comune impegno per la "sana theologia".
Comune, non perché potessimo dialogare e cooperare da pari a pari: Lui era il colosso, io un pigmeo qualunque; Lui, il grande e celebrato Maestro, io il giovane "apprendista" che entrava in punta di piedi nel santuario della teologia, da Lui più che da altri aperto al mio interesse e alla mia voglia di sapere. 
Di vera reciprocità, tuttavia, si trattò. 
Appena si rese conto che l'accostavo non per fargli perder del tempo, ma per sottoporgli problemi esclusivamente teologici e d'autentico orientamento teologico, soprattutto in quella parte della "sacramentaria" - la causalità dei sacramenti - di cui Egli era senz'il minimo dubbio un impareggiabile Maestro, fu con me d'una disponibilità più unica che rara. 
Non solo si fermava a parlare con me nei corridoi dell'Università Lateranense, ma prolungava ed intensificava il dialogo ricevendomi nella sua abitazione o partecipandomi per posta le sue sempre illuminanti risposte. 
Più tardi, già sacerdote e ordinario di teologia fondamentale, potei avvalermi tanto della sua disponibilità - che in qualche caso si tramutava in una vera ed evidente gioia di comunicare all'unisono con gli altri - quanto della sua indiscussa competenza, per metter a fuoco i problemi da me incontrati nel mio studio e nella mia docenza. 
L'avevo altamente apprezzato quand'ebbi l'onore e la gioia di sedermi di fronte alla sua cattedra; non tanto, però, quanto più tardi potei apprezzarlo nel trattare con lui faccia a faccia, interpellandolo sui più scottanti problemi del momento o sull'origine storica dei medesimi. 
Se grande fu, infatti, la sua statura di teologo, non inferiore fu quella di storico. 
Aveva una memoria di ferro; io lo chiamavo il redivivo Pico della Mirandola - guarda caso, a Roma per vario tempo abitò proprio in via Pico della Mirandola - e lo qualificavo con lo stesso soprannome: "la fenice degli ingegni" . 
Conosceva come non pochi, e forse pochissimi, i più oscuri anfratti storici dov'eran nati ed avevan attecchito i problemi teologici. 
Aveva la gioia di parlarne. 
Ne indagava cause ed occasioni per giungere ad un fondato giudizio di merito.
Che non era mai scontato.
Nessuno - nemmeno io, che gli fui più di altri vicino - era in grado d'intravederne una risposta o una presa di posizione. 
Lui, il tradizionalista per antonomasia, si rinnovava ininterrottamente e quasi portentosamente; basta, a dimostrarlo, la sua posizione dinanzi a Odo Casel -. 
Ogni suo giudizio esprimeva sempre la duplice fonte dalla quale dipendeva: la tradizione, soprattutto tomista, e il momento storico in cui la calava. 
La sua lezione - così come, del resto, la sua conversazione - era l'esatto opposto di ciò che gli alunni intendono quando dichiarano: che barba! 
Sia che parlasse, come quasi sempre, con uno sciolto e brillante latino, sia che si permettesse alcune digressioni in italiano, si trattava sempre d'una lezione limpida fin alla trasparenza. 
Pochi altri docenti ho conosciuto così facondi come Lui e nello stesso tempo così dotati di proprietà linguistiche e di rigore metodologico al servizio della verità teologica. 
I suoi scritti, che pur risentono della sua "lezione" a viva voce, non sempre trasmettono le stesse sensazioni del parlar in libertà, com'Egli faceva anche dalla cattedra. 
Era un uomo colmo di sapere nel senso più ampio del termine; la sua lezione lo trasmetteva a piene mani. 
Quelle che potrebbero esser giudicate digressioni eran in Lui parti integranti, se non addirittura essenziali, del suo insegnamento. 
Tutto, anzi, era in Lui insegnamento: la sua preparazione specifica, il modo d'atteggiarsi rispettosissimo degli alunni, il tono stesso della sua voce facevan da sponda allo svolgimento delle sue tesi: ci si sentiva tutti coinvolti, profondamente e gioiosamente. 

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