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lunedì 18 giugno 2012

Riflessioni sul nuovo "codice etico" dell'Università Cattolica

Riportiamo le seguenti riflessioni, tratte dal sito "Tempi.it" del 17.06.2012, segnalatoci dal nostro amico Gianfranco Amato.

Ma il nuovo codice etico dell’università Cattolica è cattolico?
di Benedetta Frigerio.



Il testo approvato dall’amministrazione dell’università milanese contiene affermazioni difficilmente conciliabili col magistero cattolico

E' stato approvato dal consiglio di amministrazione dell’Università Cattolica ed è entrato in vigore nel novembre del 2011. Ma solo ora il contenuto del Codice Etico dell’ateneo, di cui ogni istituzione universitaria si deve avvalere per legge sta facendo discutere. A darne notizia è il sito culturacattolica.it, di seguito alla denuncia del centro studi Jeanne D’Arc. Il Codice, infatti, è stato visionato solo ora dalle future matricole che d’ora in poi dovranno sottoscriverlo per avere accesso all’area web personale del sito dell’Università.
L’atto era dovuto, vista la richiesta del ministero dell’Istruzione che, tramite la riforma Gelmini del 2010, ha obbligato ogni ateneo ad avvalersi di un codice simile. Per garantire, si legge nel decreto, la trasparenza nelle assunzioni e nell’amministrazione e per evitare incompatibilità e conflitti di interesse legati a parentele. Peccato che il testo approvato dall’amministrazione universitaria si spinge molto più in là di quanto richiesto dalla legge. Si evince infatti dal sito della Cattolica il codice viene addirittura «collocato nel solco dei valori che intessono lo Statuto dell’Università». E che «raccoglie le regole di condotta che sempre più dovranno costituire un punto di riferimento per indirizzare i comportamenti di ciascuno». Proseguendo nella lettura del documento ci si aspetta dunque di trovare regole di condotta ispirate appunto allo statuto, che ha come finalità la formazione della persona sulla scia dell’insegnamento e del Magistero della Chiesa cattolica.
Ma proseguendo si scopre tutt’altro. Solo nel preambolo si fa riferimento al cristianesimo, ma poi si dichiara esplicitamente che il codice è formulato in modo da rispettare il Trattato di Lisbona del 2007. Un trattato più volte criticato dalla Chiesa per i contrasti con le radici cristiane dell’Europa e con i principi non negoziabili a cui invece Benedetto XVI richiama costantemente il Continente. E che monsignor Dominique Rey definì come «una rottura intellettuale e morale con le altre grandi formulazioni giuridiche internazionali, presentando una visione relativistica ed evolutiva dei diritti dell’uomo che mette in causa i principi del diritto naturale».
Ancora più incomprensibile è però il contenuto dell’articolo primo del codice, in cui si legge tutto il contrario di quanto il Magistero dice. Anzi, si ritrovano termini in palese conflitto con esso. Tutti gli studenti, recita l’art. 1, hanno diritto «a non essere ingiustamente discriminati , direttamente o indirettamente, in ragione di uno o più fattori inerenti alla religione», ma anche «al genere, all’orientamento sessuale (…) alle scelte famigliari». L’articolo così formulato è identico a quelli approvati nelle legislazioni di diversi Stati europei per giustificare ogni diritto reclamato dagli omosessuali, spesso discriminando coloro che, in primis la Chiesa, non credono che esita un “genere” bensì un’identità sessuale ben definita.
E per negare diritti a chi invece pensa che l’omosessualità non sia un valore a cui educare. Che potrebbe succedere ora se, per esempio, durante una lezione di teologia, si parlasse dell’omosessualità come ne parla il catechismo della Chiesa cattolica, che definisce gli atti omosessuali «intrinsecamente disordinati»? Un alunno potrebbe denunciare il professore all’organismo di vigilanza dall’università istituito per sorvegliare sul rispetto del codice?
Proseguendo nella lettura ci si imbatte poi nel secondo paragrafo titolato: “Abusi sessuali o morali”, in cui si parla di «richieste di favori sessuali, e/o proposte indesiderate di prestazioni a contenuto sessuale, e/o atteggiamenti o espressioni verbali degradanti». Come se ci fosse l’urgenza di vigilare su un problema noto.
Infine, non si capisce come mai non sia stato presa a modello la Costituzione Apostolica, emanata nel 1990 dal beato Giovanni Paolo II proprio per disciplinare la materia. La Costituzione, basata sul codice di diritto canonico recita così: «2. Una Università cattolica in quanto cattolica, ispira e svolge la sua ricerca, l’insegnamento e tutte le altre attività secondo gli ideali, i principi e gli atteggiamenti cattolici. Essa è collegata alla Chiesa o per il tramite di un formale legame costitutivo e statutario, o in forza di un impegno istituzionale assunto dai suoi responsabili; 3. Ogni Università cattolica deve manifestare la propria identità cattolica o con una dichiarazione della sua missione, o con altro appropriato documento pubblico, a meno che non sia autorizzata altrimenti dalla competente autorità ecclesiastica. Essa deve provvedersi particolarmente mediante la sua struttura e i suoi regolamenti, dei mezzi per garantire l’espressione e il mantenimento di tale identità in modo conforme al 2 (…) 4. L’insegnamento cattolico e la disciplina cattolica devono influire su tutte le attività dell’Università, mentre deve essere pienamente rispettata la libertà della coscienza di ciascuna persona. Ogni atto ufficiale dell’Università deve essere in accordo con la sua identità cattolica». Come si può ritenere ufficiale un codice etico che si pone al di sopra “di tutti i regolamenti interni all’università”, ma che confligge con la sua Costituzione Apostolica?

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