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giovedì 7 giugno 2012

Intervista a Monsignor Bernard Fellay

Lo stato attuale delle relazioni della Fraternità San Pio X con Roma


Mons. Fellay



DICI: È preoccupato per il ritardo della risposta di Roma, che potrebbe permettere a coloro che sono contro un riconoscimento canonico, di allontanare dei sacerdoti e dei fedeli dalla Fraternità San Pio X?
Mons. Fellay: Tutto è nelle mani del Buon Dio. Io ho fiducia nel Buon Dio e nella sua Divina Provvidenza, Egli sa come condurre ogni cosa, anche i ritardi, per il bene di quelli che Lo amano.

DICI: La decisione del Papa è rimandata come dicono certi giornali? La Santa Sede le ha fatto sapere di prevedere del ritardo?
Mons. Fellay: No, non ho saputo di un qualche calendario. Vi è anche chi dice che il Papa si occuperà di questo dossier a Castel Gandolfo, nel mese di luglio.

Una soluzione canonica prima di una soluzione dottrinale?

DICI: La maggior parte di coloro che sono contrari all’accettazione da parte della Fraternità di un eventuale riconoscimento canonico, avanzano la considerazione che i colloqui dottrinali avrebbero potuto portare a tale accettazione solo se avessero condotto prima ad una soluzione dottrinale, cioè ad una «conversione» di Roma. La sua posizione è cambiata su questo punto?
Mons. Fellay: Bisogna riconoscere che questi colloqui hanno permesso di esporre chiaramente i diversi problemi che noi riscontriamo a proposito del Vaticano II. Ciò che è cambiato è che Roma non fa più dell’accettazione totale del Vaticano II una condizione per la soluzione canonica. Oggi, a Roma, certuni ritengono che una diversa comprensione del Concilio non è determinante per l’avvenire della Chiesa, poiché la Chiesa è più del Concilio. Infatti la Chiesa non si riduce al Concilio, essa è molto più grande. Occorre dunque dedicarsi a risolvere i problemi più vasti. Questa presa di coscienza può aiutarci a comprendere ciò che accade realmente: noi siamo chiamati ad aiutare a portare agli altri il tesoro della Tradizione che abbiamo potuto conservare.
S
ta di fatto che è l’atteggiamento della Chiesa ufficiale che è cambiato, non noi. Non siamo noi ad aver chiesto un accordo, è il Papa che ci vuole riconoscere. Ci si può chiedere il perché di questo cambiamento. Noi continuiamo a non essere d’accordo dottrinalmente, eppure il Papa ci vuole riconoscere! Perché? La risposta è: oggi vi sono dei problemi terribilmente importanti nella Chiesa. Occorre trattare questi problemi. Bisogna lasciare da parte i problemi secondari e occuparsi dei problemi più grandi. Ecco la risposta dell’uno o dell’altro prelato romano che non verrà mai espressa apertamente; occorre leggere tra le righe per comprendere.
Le autorità ufficiali non vogliono riconoscere gli errori del Concilio. Esse non lo diranno mai esplicitamente. Tuttavia, se si legge tra le righe si può vedere che desiderano rimediare ad alcuni di questi errori. Ecco un esempio interessante a proposito del sacerdozio. Si sa che a partire dal Concilio si è avuta una nuova concezione del sacerdozio, che ha demolito la figura del sacerdote. Oggi si vede molto chiaramente che le autorità romane cercano di ristabilire la vera concezione del sacerdote. Lo si è già constatato nell’Anno sacerdotale del 2010-2011.
Adesso, la festa del Sacro Cuore diventa il giorno dedicato alla santificazione dei sacerdoti. In questa occasione è stata pubblicata una lettera ed è stato redatto un esame di coscienza per i sacerdoti. Si direbbe che si sia andati a cercare a Ecône tale esame di coscienza, talmente esso si colloca nella linea della spiritualità pre-conciliare. Questo esame offre l’immagine tradizionale del sacerdote ed anche del suo ruolo nella Chiesa. È questo ruolo che Mons. Lefebvre afferma quando descrive la missione della Fraternità: restaurare la Chiesa per mezzo della restaurazione del sacerdote.
Nella lettera si dice: «La Chiesa e il mondo possono essere santificati solo dalla santificazione del sacerdote». Si mette veramente il sacerdote al centro. L’esame di coscienza comincia con questa domanda: «Mi propongo seriamente la santità nel mio Sacerdozio?».
Seconda domanda: «Il Santo Sacrificio della Messa - è questa l’espressione utilizzata, non l’eucarestia, la sinassi o che so io - è il centro della vita mia [del sacerdote] vita interiore?».
In seguito si ricordano i fini della Messa: la lode di Dio, la preghiera, la riparazione per i peccati… tutto è detto. Il sacerdote deve immolarsi – non è usato il termine “immolare”, ma “darsi”, sacrificarsi per salvare le anime. Lo si dice.
Poi viene il richiamo ai fini ultimi: «Sono sollecito nell’assistere ed amministrare i sacramenti ai moribondi? Considero nella mia meditazione personale, nella catechesi e nella ordinaria predicazione la dottrina della Chiesa sui Novissimi? Chiedo la grazia della perseveranza finale ed invito i fedeli a fare altrettanto?». Si può vedere come, abilmente, questo documento romano richiami chiaramente l’idea tradizionale del sacerdote.
Certo, questo non annulla tutti i problemi, vi sono ancora della gravi difficoltà nella Chiesa: l’ecumenismo, Assisi, la libertà religiosa… ma il contesto sta cambiando e non solo il contesto, la situazione stessa… Io distinguerei tra le relazioni esterne e la situazione interna. Le relazioni con l’esterno non sono ancora cambiate, ma per ciò che accade nella Chiesa le autorità romane cercano di cambiarlo un po’ la volta. Evidentemente, oggi permane ancora un gran disastro, bisogna esserne coscienti, e noi non diciamo il contrario, ma bisogna anche vedere ciò che si sta facendo. Questo esame di coscienza per i sacerdoti ne è un esempio significativo.

Quale atteggiamento di fronte ai problemi dottrinali?

DICI: Lei riconosce che permangono delle serie difficoltà con l’ecumenismo, la libertà religiosa… Se sopraggiungesse un riconoscimento canonico, quale sarebbe il suo atteggiamento di fronte a queste difficoltà? Non si sentirebbe tenuto ad una certa riserva?
Mons. Fellay: Permettetemi di rispondere a questa domanda con tre interrogativi: Le novità che sono state introdotte col Concilio sono state all’origine di un accresciuto sviluppo della Chiesa, delle vocazioni e della pratica religiosa? Non constatiamo invece una forma di «apostasia silenziosa» in tutti i paesi cristiani? Possiamo tacere di fronte a questi problemi?
Se vogliamo far fruttare il tesoro della Tradizione per il bene delle anime, dobbiamo parlare e agire. Noi abbiamo bisogno di questa doppia libertà di parola e di azione. Ma io diffiderei di una denuncia puramente verbale degli errori dottrinali – denuncia tanto più polemica in quanto solo verbale.
Con il realismo che lo caratterizzava, Mons. Lefebvre riconosceva che le autorità romane e diocesane saranno più sensibili alle cifre e ai fatti presentati dalla Fraternità San Pio X, che agli argomenti teologici. Così io non esito a dire che, se intervenisse un riconoscimento canonico, le difficoltà dottrinali verrebbero sempre sottolineate da noi, ma col concorso di una lezione data con i fatti stessi, segni tangibili della vitalità della Tradizione. E per questo, come già dicevo nel 2006 a proposito delle tappe del nostro dialogo con Roma, dobbiamo avere «fede nella Messa tradizionale, questa Messa che reclama da se stessa l’integrità della dottrina e dei sacramenti, pegno di ogni fecondità spirituale per le anime».

DICI: Il 2012 non è il 1988, l’anno della sua consacrazione episcopale. Nel 2009 sono state ritirate le scomuniche, nel 2007 è stato riconosciuto ufficialmente che la Messa tridentina non era «mai stata abrogata», ma adesso certuni nella Fraternità deplorano che la Chiesa non si sia ancora convertita. Il loro rifiuto a priori di un riconoscimento canonico è dovuto a 40 anni di situazione eccezionale che hanno comportato una certa incomprensione della sottomissione all’autorità?
Mons. Fellay: Ciò che accade adesso mostra chiaramente alcune delle nostre debolezze di fronte ai pericoli creati dalla situazione in cui ci troviamo.
Uno dei pericoli maggiori è di finire con l’inventarsi un’idea di Chiesa che parrebbe ideale, ma che in effetti non trova riscontro nella storia reale della Chiesa. Certuni pretendono che per lavorare «in sicurezza» nella Chiesa occorra che essa sia preliminarmente ripulita da ogni errore. È questo che si dice quando si afferma che prima di ogni accordo Roma deve convertirsi, o che perché si possa lavorare gli errori devono prima essere stati eliminati. Ma questa non è la realtà. Basta guardare al passato della Chiesa, spesso e perfino quasi sempre, si vede che nella Chiesa sono disseminati degli errori. Ora, i santi riformatori, per combattere questi errori, non l’hanno lasciata. Nostro Signore ci ha insegnato che ci sarà sempre della mala erba fino alla fine di tempi. Non solo la buona erba, non solo del grano.
A
l tempo degli Ariani, i Vescovi hanno operato in mezzo agli errori per convincere della verità coloro che si sbagliavano. Non dicevano di voler rimanere fuori, come dicono oggi certuni. Certo, bisogna sempre fare molta attenzione a queste parole ‘fuori’, dentro’, perché noi siamo della Chiesa, noi siamo cattolici. Ma possiamo per questo rifiutarci di convincere quelli che sono nella Chiesa, col pretesto che sono pieni di errori? Guardiamo ciò che hanno fatto i santi! Se il Buon Dio ci permette di trovarci in una situazione nuova, in una battaglia ravvicinata al servizio della veritàEcco la realtà che ci presenta la storia della Chiesa. Il Vangelo paragona il cristiano al lievito, e noi vorremmo che la pasta lievitasse senza trovarci all’interno della pasta?
In questa situazione, attualmente presentata da certuni come una situazione impossibile, ci si chiede di venire a lavorare come hanno fatto tutti i santi riformatori di tutti i tempi. Certamente, questo non elimina il pericolo. Ma se noi abbiamo sufficiente libertà per agire, per vivere e per svilupparci, questo si deve fare. Penso davvero che questo si debba fare, a condizione che noi si abbia la protezione sufficiente.

DICI: Crede che vi siano dei membri della Fraternità che, coscienti o no, sposino le tesi sedevacantiste? Ha paura della loro influenza?
Mons. Fellay: Alcuni possono certo essere influenzati da tali idee, non è una novità. Io non penso che siano tanto numerosi, ma essi possono fare del male, specialmente diffondendo delle false dicerie. Ma penso realmente che la preoccupazione principale tra noi sia piuttosto quella della fiducia nelle autorità romane, col timore che quello che potrebbe succedere sia una trappola. Personalmente sono convinto che non sia così.
Da noi non ci si fida di Roma, perché si sono subiti troppi rovesci, è per questo che si pensa che si possa trattare di una trappola. Vero è che i nostri nemici possono pensare di utilizzare questa offerta come una trappola, ma il Papa, che vuole veramente questo riconoscimento canonico, non ce lo propone come una trappola.

Valutare cosa permetterà la proposta romana in linea di diritto e di fatto

DICI: Lei ha ripetuto più volte che il Papa vuole personalmente il riconoscimento canonico della Fraternità. Ha avuto l’assicurazione personale e recente dal Papa stesso, che si tratta veramente della sua volontà?
Mons. Fellay: Si, è il Papa che lo vuole e l’ho detto a più riprese. Sono in possesso di sufficienti elementi precisi per affermare che ciò che dico è vero, benché io non abbia avuto delle relazioni dirette col Papa, ma con i suoi stretti collaboratori.

DICI: La lettera del 14 aprile, firmata dagli altri tre Vescovi della Fraternità, è stata sfortunatamente diffusa su internet, l’analisi che essa presenta corrisponde alla situazione della Chiesa?
Mons. Fellay: Circa la loro posizione, io non escludo la possibilità di un’evoluzione. La prima questione, per noi che siamo stati consacrati da Mons. Lefebvre, era quella della sopravvivenza della Tradizione. Io penso che se i miei confratelli vedono e comprendono che in linea di diritto e di fatto nella proposta romana vi è una vera possibilità per la Fraternità di «restaurare tutto in Cristo», malgrado tutti i problemi che sussistono oggi nella Chiesa, allora potranno correggere il loro giudizio, - allora, significa con lo statuto canonico in mano e i fatti sotto gli occhi. Sì, io lo penso. Lo spero. E noi dobbiamo pregare con questa intenzione.

DICI: Alcuni nel mondo, compresi dei membri della Fraternità, hanno utilizzato dei passi di un’intervista che lei ha concessa a Catholic News Services; questi passi sembrano indicare che ai suoi occhi Dignitatis Humanae non fa più difficoltà. È il modo con cui è stata realizzata questa intervista che ha modificato il senso di ciò che voleva dire? Qual è la sua posizione su questo argomento rispetto a ciò che insegnava Mons. Lefebvre?
Mons. Fellay: La mia posizione è quella della Fraternità e di Mons. Lefebvre. Come sempre, in una materia così delicata dobbiamo stabilire delle distinzioni, e una parte di queste distinzioni è sparita nell’intervista televisiva che è stata ridotta a meno di 6 minuti. Ma la relazione scritta che CNS ha fatto delle mie dichiarazioni ristabilisce ciò che ho detto e che non è stato compreso nella versione diffusa: «Benché Mons. Fellay rifiuti di avallare l’interpretazione (della libertà religiosa) di Benedetto XVI, secondo la quale essa sarebbe in continuità con la Tradizione della Chiesa – una posizione che molti nella Chiesa hanno discusso con vigore – Mons. Fellay ha parlato dell’idea in termini sorprendentemente comprensivi». In effetti, io ho solo ricordato che vi è già una soluzione tradizionale del problema che pone la libertà religiosa, e si chiama tolleranza. A proposito del Concilio, quando mi è stata posta la domanda: «Il Vaticano II appartiene alla Tradizione?», io ho risposto: «Mi piacerebbe sperare che fosse così» (cosa che una scorretta traduzione francese ha trasformato in «Spero di sì»). Questo si colloca esattamente in linea con le distinzioni operate da Mons. Lefebvre per leggere il Concilio alla luce della Tradizione: ciò che è in accordo con la Tradizione, noi l’accettiamo; ciò che è dubbio, lo comprendiamo come l’ha sempre insegnato la Tradizione; ciò che è opposto noi lo rifiutiamo.

I rapporti della Fraternità San Pio X con i Vescovi diocesani

DICI: Una prelatura personale è la struttura canonica che lei ha indicato in recenti dichiarazioni. Ora, nel Codice, il Canone 297 chiede, non solo d’informare, ma di ottenere l’autorizzazione dei Vescovi diocesani per fondare un’opera sul loro territorio. Se è chiaro che ogni riconoscimento canonico preserverà il nostro apostolato nel suo stato attuale, è disposto ad accettare che le opere future siano possibili solo con il permesso del Vescovo nelle diocesi in cui la Fraternità non è attualmente presente?
Mons. Fellay: Vi è molta confusione su questa questione, ed è causata principalmente da una cattiva interpretazione della natura della prelatura personale, come dalla non conoscenza della normale relazione tra l’ordinario del luogo e la prelatura. A questo si aggiunga il fatto che l’unico riferimento oggi disponibile per una prelatura personale è quello dell’Opus Dei. Tuttavia, diciamolo chiaramente, se ci venisse accordata una prelatura personale, la nostra situazione non sarebbe la stessa. Per meglio comprendere ciò che accadrebbe, bisogna pensare che il nostro statuto sarebbe molto più simile a quello dell’ordinariato militare, perché avremmo una giurisdizione ordinaria sui fedeli. Saremmo così una sorta di diocesi la cui giurisdizione si estende a tutti i suoi fedeli indipendentemente dal loro collocamento territoriale.
Tutte le cappelle, chiese, priorati, scuole, opere della Fraternità e delle Congregazioni religiose amiche sarebbero riconosciute con una reale autonomia per il loro ministero.
Resta vero – secondo il diritto della Chiesa – che per aprire una nuova cappella o fondare un’opera, sarà necessario avere il permesso dell’ordinario del luogo. Evidentemente, noi abbiamo rappresentato a Roma quanto sia difficile la nostra attuale situazione nelle diocesi, e Roma ci sta ancora lavorando. Qui o là, questa difficoltà sarà reale, ma quando mai la vita è senza difficoltà? Molto probabilmente avremo anche il problema contrario, che cioè non saremo in grado di rispondere alle richieste che ci verranno dai Vescovi amici. Penso a quel tal Vescovo che ci potrebbe chiedere di farci carico della formazione dei futuri sacerdoti nella sua diocesi.
In nessun modo le nostre relazioni saranno quelle di una congregazione religiosa con un Vescovo, ma quelle di un Vescovo con un altro Vescovo, esattamente come avviene con gli Ucraini, gli Armeni nella diaspora. E quindi se una difficoltà non sarà risolta si andrà a Roma, e vi sarà allora un intervento romano per dirimere la questione.
Detto per inciso, ciò che è stato riportato su internet sulle mie dichiarazioni in Austria sull’argomento, il mese scorso, è interamente falso.

DICI: Se vi è riconoscimento canonico, cosa accadrà alle cappelle amiche della Fraternità e indipendenti dalla diocesi? I Vescovi della Fraternità continueranno ad amministrare la cresima, a fornire gli Olii Santi?
Mons. Fellay: Se esse operano con noi, non vi saranno problemi: sarà esattamente come adesso. Se no, tutto dipenderà da ciò che queste cappelle intendono per indipendenza.

DICI: Vi sarà una differenza nelle sue relazioni con le comunità Ecclesia Dei?
Mons. Fellay: La prima differenza sarà che saranno obbligate a smetterla di trattarci da scismatici. Per lo sviluppo futuro, è chiaro che alcune si avvicineranno a noi, poiché ci approvano già con discrezione; altre no. È il tempo che ci dirà come si svilupperà la Tradizione in questa nuova situazione. Noi abbiamo delle grandi attese per l’apostolato tradizionale, al pari di certe importanti personalità a Roma e allo stesso Santo Padre. Nutriamo grande speranza che col nostro arrivo la Tradizione si svilupperà.

DICI: Sempre se vi sarà un riconoscimento canonico, darà la possibilità a dei Cardinali di Curia o a dei Vescovi, di visitare le nostre cappelle, di celebrare la Messa, di amministrare le cresime, forse anche di conferire le ordinazioni nei nostri seminari?
Mons. Fellay: I Vescovi favorevoli alla Tradizione, i Cardinali conservatori si avvicineranno. È da prevedere tutto uno sviluppo, senza che se ne conoscano i dettagli. Certo vi saranno anche delle difficoltà, cosa che è del tutto normale. Non v’è dubbio che si verrà a visitarci, ma per una collaborazione più precisa, come la celebrazione della Messa o le ordinazioni, questo dipenderà dalle circostanze. Come ci auguriamo che la Tradizione si svilupperà, così speriamo di vedere la Tradizione svilupparsi nei Vescovi e nei Cardinali. Un giorno tutto sarà armoniosamente tradizionale, ma quanto tempo ci vorrà solo Dio lo sa.

DICI: Nell’attesa della decisione romana, quali sono le sue disposizioni interiori. Quali sono quelle che si augura per i sacerdoti e i fedeli legati alla Tradizione?
Mons. Fellay: Quando nel 1988 Mons. Lefebvre annunciò che avrebbe consacrato quattro Vescovi, alcuni lo incoraggiarono a farlo e altri tentarono di dissuaderlo. Ma il nostro Fondatore conservava la pace, poiché aveva in vista solo la volontà di Dio e il bene della Chiesa. Oggi, bisogna avere le stesse disposizioni interiori. Come il suo santo Patrono, la Fraternità San Pio X ha la volontà di «restaurare tutto in Cristo», certuni dicono che non è il momento, altri al contrario che è il momento opportuno. Da parte mia so solo una cosa: è sempre il momento di fare la volontà di Dio ed Egli ce la fa conoscere al tempo opportuno, a condizione che noi ci dimostriamo ricettivi alle sue ispirazioni. Per questo ho chiesto ai sacerdoti di rinnovare la consacrazione della Fraternità San Pio X al Sacro Cuore di Gesù, per la sua festa, il prossimo 15 giugno, e di prepararvisi con una novena nel corso della quale saranno recitate le litanie del Sacro Cuore in tutte le nostre case. Tutti vi si possono associare chiedendo la grazia di diventare docili strumenti della restaurazione di tutte le cose in Gesù Cristo.

DICI n°256 del 08/06/2012

Fonte:
http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=672:intervista-di-mons-bernard-fellay-sullo-stato-attuale-delle-relazioni-della-fraternita-san-pio-x-con-roma&catid=58:informazioni-casa-generalizia&Itemid=64

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