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sabato 4 febbraio 2012

Mentre i cubani attendono Sua Santità Benedetto XVI



Pubblichiamo questo interessante articolo di Armando Valladares, eroe del dissenso cattolico al regime cubano, eroe fatto conoscere in Italia da Alleanza Cattolica, quando era ancora ignoto (C.S.).

Cuba: Wilman Villar
Inferno cubano e silenzio vaticano

Lo scorso 19 gennaio, a due mesi dal viaggio di S. S. Benedetto XVI nell’isola-carcere di Cuba, e 24 ore prima dell’arrivo di una delegazione vaticana di alto livello per la definizione dei dettagli della visita papale, quasi come con una macabra sghignazzata, il regime lasciava morire il giovane prigioniero politico cubano Wilman Villar Mendoza, padre di due bambine, Geormaris e Wilmari, rispettivamente di 7 e 5 anni. Una morte crudele, che la moglie, Maritza Pelegrino, non ha esitato a definire “assassinio”.

Wilman era stato condannato alla prigione il 24 novembre del 2011 e in preda alla disperazione decise di protestare davanti al mondo con l’unico mezzo che riteneva di avere a disposizione contro la sua ingiusta condanna e soprattutto contro lo stato di schiavitù in cui si trova il suo amato popolo cubano. Diede così inizio ad uno sciopero della fame, non per attentare alla propria vita, ma per usarla, con grave rischio, come l’unico mezzo di protesta che riuscì a concepire nel suo estremo abbandono e nell’afflizione sperimentate nelle segrete castriste. Con tutti i mezzi, e con false promesse di liberazione, cercarono di fargli rinnegare le sue idee per una Cuba libera, dignitosa e prospera.

Nudo, lo misero in isolamento in una cella di punizione umida e fredda, dove contrasse la polmonite. Gli negarono adeguate cure mediche e gli impedirono di bere, come già avevano fatto, nel 1972, con un altro prigioniero politico, il dirigente studentesco Pedro Luis Boitel,  e come già avevano fatto recentemente, nel 2010, con Orlando Zapata Tamayo, sempre per ordine di Fidel Castro. Resosi conto che con i carnefici non poteva spezzare la resistenza di Wilman, il regime castrista, non solo lo lasciò morire, ma ne affrettò la morte privandolo delle cure mediche necessarie, esattamente come aveva fatto con Boitel e con Orlando e, lo scorso anno, con Laura Pollán, fondatrice delle Donne in Bianco, lasciata morire in un ospedale.

A Cuba, le Donne in Bianco, delle quali fa parte la vedova di Wilman insieme ad altre oppositrici della statura di Martha Beatriz Roque Cabello, furono le prime a denunciare al mondo l’arbitraria prigionia di Wilman, il 24 novembre. E furono anche le prime a condannare il comportamento criminale del 19 gennaio del regime comunista. In questo furono appoggiate dai governi di Spagna, Stati Uniti e Cile e sostenute dalla commovente solidarietà dei cubani dell’isola, degli esuli e di coloro che nel mondo intero hanno a cuore la dignità umana, la libertà e il diritto.
Di contro vi è stato, a quanto ne so io, il clamoroso silenzio della Segreteria di Stato della Santa Sede, del cardinale de L’Avana, Jaime Lucas Ortega y Alamino e della Conferenza Episcopale Cubana.

Il caso disperato del giovane Wilman era di dominio pubblico da quasi due mesi. Due mesi sono un tempo lungo per i pastori che avrebbero dovuto esprimersi: intercedere per la sua libertà, fornirgli assistenza spirituale in carcere, far comprendere con carità che la Chiesa si oppone agli scioperi della fame, presentare i motivi di questa opposizione, esigere un’assistenza medica adeguata, dire apertamente alle guardie che non potevano più agire impunemente. Eppure fino ad oggi, per quanto mi consta, i pastori sono rimasti inspiegabilmente in silenzio.

È perché non conoscono o sono indifferenti alla vergogna e all’ingiustizia di cui sono vittime i prigionieri politici a Cuba? O perché non conoscono o sono indifferenti alla violazione istituzionalizzata di tutti e di ciascuno dei Comandamenti della legge di Dio? Non sentono queste grida di disperazione e di angoscia che si alzano dalle carceri cubane? Non dice loro nulla questa tragedia inimmaginabile e non suggerisce loro altra attitudine che non questo opprimente silenzio?

Attraverso i noti motori di ricerca su internet, ho cercato di individuare, da parte di qualche autorità vaticana o cubana, anche solo una espressione di conforto cristiano per la famiglia del prigioniero politico; o la notizia di eventuali trattative con i carcerieri; o una preghiera alla misericordia divina per Wilman e di incoraggiamento per lo schiavizzato popolo cubano. Ma fino ad oggi non ho trovato alcunché. Del pari, ho anche cercato, invano, ne L’Osservatore Romano, nella Radio Vaticana, nelle maggiori agenzie cattoliche, Zenit e ACI, nel sito della Conferenza Episcopale Cubana,  nei siti dell’Arcidiocesi de L’Avana, Espacio Laical e Palabra Nueva, almeno un riferimento alla notizia della morte di Wilman. Niente. E sarei felice di poter essere smentito dai fatti.

Questo silenzio dei Pastori chiamati a dar la vita per le loro pecore, produce tanta maggiore sofferenza che la stessa uccisione del giovane membro del gregge.
Silenzio aggravato dal fatto che è stata clamorosa l’insistenza pubblica di S. S. Benedetto XVI e della Santa Sede in difesa dei diritti della persona umana.
Silenzio enigmatico e sconcertante della diplomazia vaticana, che secondo stimati analisti affonderebbe una delle radici nel pari silenzio del Concilio Vaticano II riguardo al comunismo, silenzio che ha fatto sì che i Lupi si sentissero totalmente liberi di decimare il Gregge a Cuba, nei paesi dell’Est europeo, in Russia, in Cina, in Vietnam, ecc.

Il regime di Castro sembra così sicuro della sua impunità che non si è preso neanche la briga di fucilare Wilman, Boitel e Orlando, ma li ha lasciati morire in un modo che non si riserva neanche alle bestie feroci.

L’abbandono in cui sono state lasciate la giovane vedova con le sue due bambine malate, una epilettica e l’altra con gravi problemi respiratori, è un riflesso straziante dell’attuale dramma del popolo cubano. Secondo quanto mi è stato riferito dal mio compagno di prigionia, oggi brillante giornalista, Carlos Alberto Montaner, le due bambine non capiscono cosa sia successo al loro amato papà. Siccome la famiglia ha una formazione cristiana, la madre ha loro spiegato che il papà è andato in Cielo. “Mamma, dov’è il Cielo?”, hanno chiesto le bambine. “Molto lontano da Cuba. Molto lontano”, ha risposto la giovane vedova.
E gli artefici, i gestori e i manutentori dell’inferno cubano, sono così lontani dal Cielo al punto da favorire per prima cosa il silenzio del Vaticano.

Sul viaggio papale nell’isola-carcere, il 1 gennaio del 2011, ho pubblicato l’articolo “
El viaje de Benedicto XVI a Cuba: esperanzas y preocupaciones”, apparso il 3 gennaio nel Diario Las Americas di Miami, diffuso poi da centinaia di blog, siti, e reti sociali di esuli cubani sparsi nel mondo e difensori della libertà.

Miami 30 gennaio 2012
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