Quello che segue è un estratto di una nota scritta da Mons. Brunero Gherardini (pubblicata da Chiesa e Post Concilio blog) in cui il professore esprime alcune considerazioni scettiche sulla Costituzione Apostolica che, permettendo l'istitutione di Ordinariati per sacerdoti, vescovi e fedeli di religione anglicana, consente la loro riunione con la Chiesa di Roma.
Mons. Gherardini parla di mancanza di chiarezza ed esprime un pensiero critico sull'assenza di esplicita richiesta di conversione degli interessati a seguito di un (mancante) formale e pubblico atto di abiura dalle eresie anglicane.
La poca chiarezza, il fatto che non si parli di conversione e il permanere di tradizioni, riti e usi anglicani farebbero correre il rischio di creare confusione, anomalie e scandalo nei cattolici inglesi.
Lungi da noi di "rimproverare" Mons. Gherardini di eccesiva severità analitica (ubi maior!), ma ci permettiamo di scrivere alcune osservazioni che ci sono nate in cuore leggendo la sua nota.
Avendo riletto la Costituzione anche alla luce della ratio che vi sottende, possiamo dire che molti dei dubbi del reverendo professore potranno essere sciolti favorevolmente. O almeno, è la nostra speranza e fiducia.
In moltissime parti della Costuzione si pone come condizione necessaria che i candidati tornino "in piena comunione con Roma". Questo va a nostro avviso letto come "conversione", implicita ed automatica nel solo fatto di chiedere di "rientrare";
i candidati dovranno essere formati in appositi seminari e con ideonei corsi per raggiungere la piena armonia con la tradizione cattolica, art. 10,(che comprende Teologia e Liturgia); i preti anglicani, divenuti cattolici, pur rimanendo anglicani di rito, dovranno essere consacrati con il Rito Romano e non potranno certamente sposarsi (mentre a rimaner sposati potranno essere solo quelli che lo erano già, al momento del "rientro", art. 6, §1; art. 11 sui Vescovi); i preti già cattolici ma che in seguito abbiano aderito all'eresia anglicana non potranno esercitare il ministero sacro (art. 6, § 2). Queste prescrizioni sono di sicuro delle garanzie sulla formazione e sulla dottrina dei sacerdoti.
Questi sono solo pochi dei punti che in qualche modo ci sembrano costituire baluardo della Chiesa Cattolica nel Regno Unito e garanzia per un'Ordinariato Cattolico (se pur di "rito" anglicano, ma in piena unione e comunione con Roma).
Sicuramente Mons. Gherardini ha maggior scienza e conoscenza di noi per essere prudentemente scettico in merito all'Anglicanorum Coetibus, ma noi siamo, e sicuramente anche lui, fiduciosi nel Papa. Possa la Divina Provvidenza porre rimedio là dove l'uomo potrebbe essere colto in tentazione.
Mons. Gherardini parla di mancanza di chiarezza ed esprime un pensiero critico sull'assenza di esplicita richiesta di conversione degli interessati a seguito di un (mancante) formale e pubblico atto di abiura dalle eresie anglicane.
La poca chiarezza, il fatto che non si parli di conversione e il permanere di tradizioni, riti e usi anglicani farebbero correre il rischio di creare confusione, anomalie e scandalo nei cattolici inglesi.
Lungi da noi di "rimproverare" Mons. Gherardini di eccesiva severità analitica (ubi maior!), ma ci permettiamo di scrivere alcune osservazioni che ci sono nate in cuore leggendo la sua nota.
Avendo riletto la Costituzione anche alla luce della ratio che vi sottende, possiamo dire che molti dei dubbi del reverendo professore potranno essere sciolti favorevolmente. O almeno, è la nostra speranza e fiducia.
In moltissime parti della Costuzione si pone come condizione necessaria che i candidati tornino "in piena comunione con Roma". Questo va a nostro avviso letto come "conversione", implicita ed automatica nel solo fatto di chiedere di "rientrare";
i candidati dovranno essere formati in appositi seminari e con ideonei corsi per raggiungere la piena armonia con la tradizione cattolica, art. 10,(che comprende Teologia e Liturgia); i preti anglicani, divenuti cattolici, pur rimanendo anglicani di rito, dovranno essere consacrati con il Rito Romano e non potranno certamente sposarsi (mentre a rimaner sposati potranno essere solo quelli che lo erano già, al momento del "rientro", art. 6, §1; art. 11 sui Vescovi); i preti già cattolici ma che in seguito abbiano aderito all'eresia anglicana non potranno esercitare il ministero sacro (art. 6, § 2). Queste prescrizioni sono di sicuro delle garanzie sulla formazione e sulla dottrina dei sacerdoti.
Questi sono solo pochi dei punti che in qualche modo ci sembrano costituire baluardo della Chiesa Cattolica nel Regno Unito e garanzia per un'Ordinariato Cattolico (se pur di "rito" anglicano, ma in piena unione e comunione con Roma).
Sicuramente Mons. Gherardini ha maggior scienza e conoscenza di noi per essere prudentemente scettico in merito all'Anglicanorum Coetibus, ma noi siamo, e sicuramente anche lui, fiduciosi nel Papa. Possa la Divina Provvidenza porre rimedio là dove l'uomo potrebbe essere colto in tentazione.
Roberto
Con un po’ di ritardo, consigliato dall’opportunità di non dar corpo alle prime impressioni, decido di metter a fuoco alcune zone d’ombra, e relativi problemi, della Costituzione Apostolica “Anglicanorum cœtibus”.(1)
Oggi le zone d’ombra si sono sfumate, ma i problemi son rimasti: segno che non si trattava soltanto di prime impressioni. [...]
Purtroppo, nella Costituzione in oggetto e nel caso che intende risolvere e regolamentare, gli elementi dottrinali e pratici della conversione son quasi del tutto assenti.
Com’è ormai risaputo, la Costituzione tutela e disciplina il passaggio –la cui notizia scosse alcuni anni or sono l’opinione pubblica ed i mezzi della comunicazione sociale, ma alla quale oggi più nessuno sembra interessato– d’intere comunità dall’anglicanesimo al cattolicesimo.
Tale passaggio ha le sue premesse, anche se non esclusivamente, nell’aperta ribellione d’oltre 200 vescovi della comunione anglicana, i quali disertarono la “Conferenza di Lambeth” riunitasi a Canterbury dal 16 luglio al 3 agosto 2006, a motivo dell’avvenuta ordinazione d’un vescovo dichiaratamente gay (Gene Robinson) e della predisposizione di riti speciali per la benedizione di coppie omosessuali. [...]
Nell’incontro del 23 novembre 2006, una “Dichiarazione comune” sottolineò, fra l’altro, “l’emergere di fattori ecclesiologici ed etici, che rendono più difficile ed arduo il cammino” comune. [...]. Due anni dopo, sia pur non ricorrendo ad una nuova “Dichiarazione comune”, i cattolici da una parte e non pochi anglicani dall’altra vennero ancora scossi da un avvenimento inaudito: l’approvazione da parte del Sinodo Anglicano Inglese, in data 7 luglio 2008, di possibili candidature femminili all’episcopato. La reazione anglicana si concretò nell’aperta decisione di oltre 1300 pastori di passar al cattolicesimo; quella cattolica fu espressa dal Santo Padre, il 12 luglio 2008, in termini di prudenza e di rispetto, con l’auspicio che s’evitassero nuove scissioni e s’escogitasse una soluzione, attenta alle esigenze emergenti e fedele all’Evangelo. [...]
Non tutte le sue affermazioni posson esser, qui, prese in esame: una breve nota, qual è quella che sto scrivendo, non è un’analisi critica. Ma anche questa breve nota intende esprimere valutazioni che discendono necessariamente da un’analisi pensata, se pur non ancora redatta. La Costituzione s’apre con affermazioni relative alla Chiesa, al suo mistero e alla sua struttura. Affermazioni sintetiche ma valide e quindi lodevoli. Non manca, peraltro, qualche motivo di perplessità, p. es. il non specificato concetto di “comunione visibile e piena”; l’unità allargata, introdotta dal discusso “subsistit in” di LG 8; l’allusione assolutamente acritica alla tradizione anglicana, ch’è quella d’una chiesa eterodossa e scismatica, la quale non può affatto “incorporarsi”, in quanto tale, nella Chiesa cattolica e magari con l’intento d’arricchirla.
Assenza di senso critico è anche nelle parole relative alla questione di fondo. Si parla, infatti, della “petizione ripetuta ed insistente” di non pochi anglicani “d’esser ricevuti (to be received) nella piena comunione cattolica individualmente ed in gruppo (corporately)”; poco dopo s’accenna sia al loro “desiderio d’entrare (to enter)” nella detta comunione, sia a coloro che vi “entrano (entering)”. In casi del genere c’è una parola sola da usare ed alla quale riferirsi: conversione. Non “si entra” né “si è ricevuti” se non sulla base d’un radicale cambiamento di rotta (metànoia), testimoniato da una pubblica abiura degli errori fin a quel momento condivisi con eretici e scismatici(2), o contenuto almeno implicitamente nell’atteggiamento del soggetto qualora, per gravi ed impellenti motivi, cioè in condizioni d’estrema necessità, si trovi impedito di star alla prassi di norma. Solo sulla base della metànoia, cioè del “peccatore convertito, si farà” un’immensa “festa (gioia) in cielo” (Lc 15,7) e ci sarà per lui l’abbraccio del padre commosso, la veste più bella, l’anello al dito, i sandali ai piedi ed il tripudio dell’intera famiglia (cf Lc 15,22-24). La Costituzione, però, non solo è reticente, come ho sopra osservato, sulla conversione, ma consente agli anglicani “ricevuti” dalla Chiesa cattolica il mantenimento della loro tradizione (“…the liturgical books proper to the Anglican tradition…so as to maintain the liturgical, spiritual and pastoral traditions of the Anglican Communion”), come se si trattasse di puri e semplici ospiti in casa cattolica e non di convertiti. [...]
Perché il mantenimento della “tradizione anglicana” non sembri una promessa di marinaio o una frase di circostanza, generica, priva riferimenti oggettivi, la Costituzione s’affretta a segnalar in concreto gli strumenti che dovranno salvaguardarla.
Il primo e di gran lunga il più importante è l’istituzione d’ “Ordinariati Personali(4) per gli Anglicani che entreranno nella piena comunione con la Chiesa cattolica”; “ipso iure” vien assicurata a tali Ordinariati, da considerare giuridicamente come vere diocesi, la personalità pubblica e giuridica. Ad essi è demandata la facoltà di:
◦ seguire, volendo, la propria liturgia;
◦ aprire propri seminari e stabilirne i programmi; mantenere nello stato matrimoniale preti e vescovi ammogliati;
◦ chieder al Papa, dopo un attento esame dei singoli casi, l’ammissione al presbiterato di candidati uxorati;
◦ erigere parrocchie personali d’accordo con la Santa Sede ed il vescovo del luogo;
◦ accoglier Istituti di vita consacrata di provenienza anglicana, o istituirne di nuovi;
◦ nominar un Consiglio direttivo d’almeno sei membri, con funzioni paragonabili a quelle dei consigli presbiterali cattolici;
◦ presentar al Papa una terna di candidati, scelti dal detto Consiglio direttivo, per la nomina d’un Ordinario.
Non ci vuol una grand’intelligenza per capire l’enorme confusione che verrà inevitabilmente determinata da tali facoltà, il cui compito sembra quello di legittimar un assurdo cattolicesimo anglicano o un non meno assurdo anglicanesimo cattolico: assurdo, perché la presenza e la salvaguardia della tradizione anglicana in casa cattolica, lungi da giustificazioni canoniche e teologiche, è il trionfo della logica (?) ecumenica e l’affossamento non solo della vera ininterrotta Tradizione cattolica, ma anche della retta ragione: le realtà contraddittorie né convivono né s’amalgamano, si rifiutan a vicenda. Si pensi allo scandalo che provocherà tra i fedeli cattolici la “relaxatio” del celibato ecclesiastico. Ma anche al possibile insorgere d’una loro diretta domanda di “relaxatio” per impedir il ricorso a “due pesi e due misure”. E ciò, senza contare le divergenze sul piano dottrinale. E’ vero che oggi non c’è più un anglicano pronto a sottoscrivere le invettive antiromane d’un Blakeney o d’un Palmer; anche sotto questi ponti dell’acqua n’è passata parecchia. Eppure è tuttora abissale la divergenza fra la comunione anglicana e quella cattolica:
◦ sul Primato di Pietro e dei suoi successori;
◦ sull’infallibilità del Romano Pontefice;
◦ sulle indulgenze;
◦ su alcuni aspetti della mariologia e su alcuni privilegi della Vergine Santa.
A quanto sopra occorre aggiungere “la ri-definizione dell’ufficio sacerdotale” in base al quale “il prete anglicano è un presbitero, ma non un prete sacrificante... La Chiesa anglicana, dal 1550, non intese più ordinare dei preti in senso romano e ciò dovrebb’esser candidamente ammesso da tutti”.
Ma c’è di più: gli attuali sviluppi sembran riproporre quella Via media nella quale il grande Newman vedeva l’Anglicanesimo come qualche cosa a metà strada tra il cattolicesimo e la riforma luterana, una strada però da percorrere interamente per tornar in seno alla vera Chiesa, sostenendo contro il protestantesimo l’irrinunciabilità alla Tradizione e contro Roma la necessità di rinunciare a tutte le innovazioni e corruzioni medievali. Nessun dubbio sulla sincerità della proposta relativa alla Via media, nonché a quella riguardante la Branch Theory come passaggi obbligati per il ritorno degli anglicani a Roma, rimanendo nel pieno possesso delle loro peculiarità anglicane. Un bel sogno, ben presto cancellato da Leone XIII con la Bolla “Apostolicæ curæ et caritatis”, del 13 sett. 1896. Oggi quel sogno, almeno in alcuni dei suoi contenuti, ricompare nei rapporti tra anglicani e cattolici. È lecito chiedersi se, sul piano sostanziale, sia cambiato qualcosa e che cosa dal 1896 ad oggi. [...]
di B. Gherardini
________________________
NOTE
1) 4nov.2009–
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/apost_constitutions/documents/hf_ben-xvi_apc_20091104_anglicanorum-coetibus_it.html
Oggi le zone d’ombra si sono sfumate, ma i problemi son rimasti: segno che non si trattava soltanto di prime impressioni. [...]
Purtroppo, nella Costituzione in oggetto e nel caso che intende risolvere e regolamentare, gli elementi dottrinali e pratici della conversione son quasi del tutto assenti.
Com’è ormai risaputo, la Costituzione tutela e disciplina il passaggio –la cui notizia scosse alcuni anni or sono l’opinione pubblica ed i mezzi della comunicazione sociale, ma alla quale oggi più nessuno sembra interessato– d’intere comunità dall’anglicanesimo al cattolicesimo.
Tale passaggio ha le sue premesse, anche se non esclusivamente, nell’aperta ribellione d’oltre 200 vescovi della comunione anglicana, i quali disertarono la “Conferenza di Lambeth” riunitasi a Canterbury dal 16 luglio al 3 agosto 2006, a motivo dell’avvenuta ordinazione d’un vescovo dichiaratamente gay (Gene Robinson) e della predisposizione di riti speciali per la benedizione di coppie omosessuali. [...]
Nell’incontro del 23 novembre 2006, una “Dichiarazione comune” sottolineò, fra l’altro, “l’emergere di fattori ecclesiologici ed etici, che rendono più difficile ed arduo il cammino” comune. [...]. Due anni dopo, sia pur non ricorrendo ad una nuova “Dichiarazione comune”, i cattolici da una parte e non pochi anglicani dall’altra vennero ancora scossi da un avvenimento inaudito: l’approvazione da parte del Sinodo Anglicano Inglese, in data 7 luglio 2008, di possibili candidature femminili all’episcopato. La reazione anglicana si concretò nell’aperta decisione di oltre 1300 pastori di passar al cattolicesimo; quella cattolica fu espressa dal Santo Padre, il 12 luglio 2008, in termini di prudenza e di rispetto, con l’auspicio che s’evitassero nuove scissioni e s’escogitasse una soluzione, attenta alle esigenze emergenti e fedele all’Evangelo. [...]
Non tutte le sue affermazioni posson esser, qui, prese in esame: una breve nota, qual è quella che sto scrivendo, non è un’analisi critica. Ma anche questa breve nota intende esprimere valutazioni che discendono necessariamente da un’analisi pensata, se pur non ancora redatta. La Costituzione s’apre con affermazioni relative alla Chiesa, al suo mistero e alla sua struttura. Affermazioni sintetiche ma valide e quindi lodevoli. Non manca, peraltro, qualche motivo di perplessità, p. es. il non specificato concetto di “comunione visibile e piena”; l’unità allargata, introdotta dal discusso “subsistit in” di LG 8; l’allusione assolutamente acritica alla tradizione anglicana, ch’è quella d’una chiesa eterodossa e scismatica, la quale non può affatto “incorporarsi”, in quanto tale, nella Chiesa cattolica e magari con l’intento d’arricchirla.
Assenza di senso critico è anche nelle parole relative alla questione di fondo. Si parla, infatti, della “petizione ripetuta ed insistente” di non pochi anglicani “d’esser ricevuti (to be received) nella piena comunione cattolica individualmente ed in gruppo (corporately)”; poco dopo s’accenna sia al loro “desiderio d’entrare (to enter)” nella detta comunione, sia a coloro che vi “entrano (entering)”. In casi del genere c’è una parola sola da usare ed alla quale riferirsi: conversione. Non “si entra” né “si è ricevuti” se non sulla base d’un radicale cambiamento di rotta (metànoia), testimoniato da una pubblica abiura degli errori fin a quel momento condivisi con eretici e scismatici(2), o contenuto almeno implicitamente nell’atteggiamento del soggetto qualora, per gravi ed impellenti motivi, cioè in condizioni d’estrema necessità, si trovi impedito di star alla prassi di norma. Solo sulla base della metànoia, cioè del “peccatore convertito, si farà” un’immensa “festa (gioia) in cielo” (Lc 15,7) e ci sarà per lui l’abbraccio del padre commosso, la veste più bella, l’anello al dito, i sandali ai piedi ed il tripudio dell’intera famiglia (cf Lc 15,22-24). La Costituzione, però, non solo è reticente, come ho sopra osservato, sulla conversione, ma consente agli anglicani “ricevuti” dalla Chiesa cattolica il mantenimento della loro tradizione (“…the liturgical books proper to the Anglican tradition…so as to maintain the liturgical, spiritual and pastoral traditions of the Anglican Communion”), come se si trattasse di puri e semplici ospiti in casa cattolica e non di convertiti. [...]
Perché il mantenimento della “tradizione anglicana” non sembri una promessa di marinaio o una frase di circostanza, generica, priva riferimenti oggettivi, la Costituzione s’affretta a segnalar in concreto gli strumenti che dovranno salvaguardarla.
Il primo e di gran lunga il più importante è l’istituzione d’ “Ordinariati Personali(4) per gli Anglicani che entreranno nella piena comunione con la Chiesa cattolica”; “ipso iure” vien assicurata a tali Ordinariati, da considerare giuridicamente come vere diocesi, la personalità pubblica e giuridica. Ad essi è demandata la facoltà di:
◦ seguire, volendo, la propria liturgia;
◦ aprire propri seminari e stabilirne i programmi; mantenere nello stato matrimoniale preti e vescovi ammogliati;
◦ chieder al Papa, dopo un attento esame dei singoli casi, l’ammissione al presbiterato di candidati uxorati;
◦ erigere parrocchie personali d’accordo con la Santa Sede ed il vescovo del luogo;
◦ accoglier Istituti di vita consacrata di provenienza anglicana, o istituirne di nuovi;
◦ nominar un Consiglio direttivo d’almeno sei membri, con funzioni paragonabili a quelle dei consigli presbiterali cattolici;
◦ presentar al Papa una terna di candidati, scelti dal detto Consiglio direttivo, per la nomina d’un Ordinario.
Non ci vuol una grand’intelligenza per capire l’enorme confusione che verrà inevitabilmente determinata da tali facoltà, il cui compito sembra quello di legittimar un assurdo cattolicesimo anglicano o un non meno assurdo anglicanesimo cattolico: assurdo, perché la presenza e la salvaguardia della tradizione anglicana in casa cattolica, lungi da giustificazioni canoniche e teologiche, è il trionfo della logica (?) ecumenica e l’affossamento non solo della vera ininterrotta Tradizione cattolica, ma anche della retta ragione: le realtà contraddittorie né convivono né s’amalgamano, si rifiutan a vicenda. Si pensi allo scandalo che provocherà tra i fedeli cattolici la “relaxatio” del celibato ecclesiastico. Ma anche al possibile insorgere d’una loro diretta domanda di “relaxatio” per impedir il ricorso a “due pesi e due misure”. E ciò, senza contare le divergenze sul piano dottrinale. E’ vero che oggi non c’è più un anglicano pronto a sottoscrivere le invettive antiromane d’un Blakeney o d’un Palmer; anche sotto questi ponti dell’acqua n’è passata parecchia. Eppure è tuttora abissale la divergenza fra la comunione anglicana e quella cattolica:
◦ sul Primato di Pietro e dei suoi successori;
◦ sull’infallibilità del Romano Pontefice;
◦ sulle indulgenze;
◦ su alcuni aspetti della mariologia e su alcuni privilegi della Vergine Santa.
A quanto sopra occorre aggiungere “la ri-definizione dell’ufficio sacerdotale” in base al quale “il prete anglicano è un presbitero, ma non un prete sacrificante... La Chiesa anglicana, dal 1550, non intese più ordinare dei preti in senso romano e ciò dovrebb’esser candidamente ammesso da tutti”.
Ma c’è di più: gli attuali sviluppi sembran riproporre quella Via media nella quale il grande Newman vedeva l’Anglicanesimo come qualche cosa a metà strada tra il cattolicesimo e la riforma luterana, una strada però da percorrere interamente per tornar in seno alla vera Chiesa, sostenendo contro il protestantesimo l’irrinunciabilità alla Tradizione e contro Roma la necessità di rinunciare a tutte le innovazioni e corruzioni medievali. Nessun dubbio sulla sincerità della proposta relativa alla Via media, nonché a quella riguardante la Branch Theory come passaggi obbligati per il ritorno degli anglicani a Roma, rimanendo nel pieno possesso delle loro peculiarità anglicane. Un bel sogno, ben presto cancellato da Leone XIII con la Bolla “Apostolicæ curæ et caritatis”, del 13 sett. 1896. Oggi quel sogno, almeno in alcuni dei suoi contenuti, ricompare nei rapporti tra anglicani e cattolici. È lecito chiedersi se, sul piano sostanziale, sia cambiato qualcosa e che cosa dal 1896 ad oggi. [...]
di B. Gherardini
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NOTE
1) 4nov.2009–
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/apost_constitutions/documents/hf_ben-xvi_apc_20091104_anglicanorum-coetibus_it.html
2) Cf VERMEERSCH A. “Periodica de re morali et canonica” 1929, 143.
4) Si tratta d’una figura giuridica non espressamente prevista dal CJC (a meno che non sia equiparata a quanto dispongono i can. 132/3 e 134/1 e 42), d’istituzione papale, e costituzionalmente vicina alla “Prelatura personale” come quella dell’Opus Dei, nonché ai vicariati o ordinariati castrensi.
4) Si tratta d’una figura giuridica non espressamente prevista dal CJC (a meno che non sia equiparata a quanto dispongono i can. 132/3 e 134/1 e 42), d’istituzione papale, e costituzionalmente vicina alla “Prelatura personale” come quella dell’Opus Dei, nonché ai vicariati o ordinariati castrensi.
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