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venerdì 27 gennaio 2012

L'elezione di Moraglia: ricordiamo il suo maestro, il cardinal Siri

S.E. Mons. Francesco Moraglia, attuale Vescovo di La Spezia, ordinato sacerdote dal Card. Giuseppe Siri, è stato scelto come nuovo Patriarca di Venezia da Papa Benedetto XVI. Riportiamo di seguito ampi stralci del capitolo dedicato al Card. Siri nel libro “Sentinelle nel post-concilio” (Edizioni Cantagalli, 2011).
Da un po’ di tempo nella vita della Chiesa italiana sembra tornato il nome del cardinal Giuseppe Siri. Di lui si parla in convegni, lo ricordano importanti prelati e studiosi, mentre sacerdoti da lui formati e ordinati vengono chiamati a ricoprire posizioni di rilievo. C’è insomma un vero e proprio revival, come se, con qualche tempo di ritardo, si ricoprissero la grandezza e le intuizioni di un uomo che fu universalmente stimato, anche dai molti avversari, per santità di vita e per profondità di dottrina, che ricoprì l’importante carica di presidente della Conferenza Episcopale italiana dal 1959 al 1965, e che fu in due occasioni sul punto di divenire papa. (…)
Siri nasce a Genova, il 20 maggio 1906. Abbracciata la vita sacerdotale, studia a Roma e diviene poi insegnante di teologia dogmatica nel seminario della sua città, nel 1929. Sono anni di forti frizioni tra la Chiesa e il fascismo, tra il suo vescovo, Minoretti, e l’ideologia al potere.
Da giovane sacerdote Siri è già ben cosciente di quanto il fascismo sia incompatibile con la fede, per la sua concezione hegeliana della storia, per il suo nazionalismo e per il suo “panstatismo”. A 38 anni diviene il più giovane vescovo italiano e durante l’occupazione tedesca è costretto a vivere clandestinamente, sull’appennino ligure, ricercato dai tedeschi. Nell’aprile del 1945, dopo aver collaborato con la sua diocesi a soccorrere degli ebrei, procurando loro assistenza e rifugio, è tra coloro che convincono i tedeschi ad abbandonare Genova senza distruggerla, rinunciando a inutili rappresaglie e spargimenti di sangue. Proprio questo suo ruolo, la sua fama di antifascista, le sue grandi opere di carità, anche a favore di reduci e internati, gli ottengono una notevole stima e influenza, presso gli ambienti più diversi.
Ma la caduta del fascismo non pone certo fine alla storia della lotta tra bene e male, come l’ ideologia vorrebbe far credere. C’è, in agguato, il fascino del comunismo, e Siri si trova a vivere in una città particolarmente influenzabile: reagisce mantenendo ferma la barra dell’anticomunismo, cercando la collaborazione degli imprenditori, attentissimo ad essere, nel contempo, il difensore del suo popolo. (…)
Amatissimo da Pio XII, che lo vorrebbe a Roma, come Segretario di Stato, fa di tutto per rimanere nella sua Genova. Nel 1953 viene nominato dal papa cardinale: Siri ha 47 anni ed è il membro più giovane del collegio cardinalizio. (…)
La formazione di Siri è quella solida, romana, tomista: razionalità, prudenza, consapevolezza dei limiti umani e tanta preghiera, per divenire uomini di Dio.
Siri è anche grande amico del cardinal Alfredo Ottaviani, di cui condivide le posizioni, ed è ben lontano dal sentire di alcuni uomini che saranno protagonisti del Concilio, come i cardinali Suenens e Dőpfner, che smaniano per rinnovare la Chiesa, ma che nel contempo pensano di poterlo fare senza l’aiuto di Dio, tanto che chiedono sin dal principio al papa di annullare la Messa prima delle sedute conciliari, per allungare il tempo delle discussioni.
Siri sarà spesso chiamato a consulto dai papi, cui non di rado, con umiltà, esprime il proprio parere, trovandosi anche in disaccordo, come Paolo con Pietro, con Giovanni XXIII, ad esempio sulle persecuzioni a padre Pio, che non comprende, o con Paolo VI, sulle sue aperture politiche (al centro sinistra), e dottrinali.
Il periodo sicuramente più travagliato della sua vita è però quello del Concilio e del post Concilio. Siri è uno dei tanti principi della Chiesa che accolgono con forte contrarietà l’indizione del Concilio: il momento non gli appare opportuno, ed anche l’ottimismo di Giovanni XXIII sui segni dei tempi lo lascia perplesso. “Ho capito poco del discorso del papa- scriverà alludendo all’apertura del concilio e alla celebre frase sui “profeti di sventura”-, in quel poco ho subito avuto modo di fare un grande atto di obbedienza mentale”.
Siri è inoltre indignato per lo spirito di non pochi padri conciliari, per la verbosità dei documenti, in cui gli sembra che alcune proposizioni possano risultare “incerte”, ambigue; per le “pillole democratiche” ingerite dai padri che vogliono limitare l’autorità papale a vantaggio dell’assemblea; per l’avversione incauta di alcuni alla Tradizione; per tante idee sull’ecumenismo che gli sembrano sconfinare nell’indifferentismo e nel sincretismo; per la nuova concezione della “libertà religiosa”, sostituita alla più tradizionale “tolleranza religiosa”. (…)”. Il 19 novembre 1964 Siri arriva addirittura ad affermare che “se la Chiesa non fosse divina questo Concilio l’avrebbe seppellita”. (…)
Abbandonata la presidenza della Cei, rinunciato ai mandati di presidente delle Settimane Sociali dei Cattolici italiani e della Commissione arcivescovile di vigilanza per le Federazioni del Clero, Siri, che disapprova anche la scelta di Paolo VI, nell’aprile 1965, di appoggiare il governo di centro sinistra (che porterà a divorzio ed aborto, di lì a pochi anni), decide di “ritirarsi” nella sua Genova, o meglio nella sua Liguria, dove cerca di fare della propria diocesi un argine, un luogo di resistenza a quelle innovazioni da lui ritenute ingiuste, affrettate o inopportune. Come scrive nel suo Diario, il 20 ottobre 1964, incomincia ad occuparsi di “organizzare la ripresa cattolica dopo il Concilio, cercando di creare un fronte, il quale sia molto netto contro i difetti rivelatisi in Concilio e dal Concilio”.
In verità è sempre più emarginato e il suo tentativo di “veicolare una lettura dei documenti finali del concilio nel segno della massima continuità possibile” e di attingere alla Tradizione laddove il Concilio abbia lasciato ambiguità, confusione o nodi irrisolti, vede l’avversione di buona parte del mondo cattolico, dei teologi e della gerarchia stessa, che marciano agguerriti verso l’aggiornamento permanente, senza accorgersi della crescente anemia del cattolicesimo italiano e mondiale. (…)
…pur emarginato all’interno della gerarchia, insegna ai suoi sacerdoti la bellezza del gregoriano, l’importanza del latino nella liturgia, la necessità di dare all’Eucaristia la giusta centralità; si oppone alla comunione sulle mani, all’ecumenismo come indifferentismo e come dialogo teologico, all’apertura a sinistra, alla crisi della famiglia… E porta avanti una battaglia teologica attraverso la rivista Renovatio, agendo sempre, come ricorda un vecchio collaboratore della rivista suddetta, Piero Vassallo, cercando di coniugare “l’intransigentissima verità con la tollerantissima carità”. (…)
Nel conclave del 1978, quello che segue alla morte di Paolo VI, Siri è protagonista: sembra che abbia sfiorato l’elezione, contendendola da principio al cardinale di Venezia Albino Luciani. Ma la morte prematura di Giovanni Paolo I riporta al voto i cardinali, nello stesso 1978. Siri è dato ancora una volta come papabile, ma stavolta è forse la stampa a bruciare la sua candidatura. (…)
Gli ultimi anni dell’esistenza di Siri sono all’insegna della Tradizione, soprattutto nell’ambito della liturgia, che egli considera “il grande respiro vitale della Chiesa in cui tutti rimangono singoli, ma tutti i singoli diventano uno e hanno il respiro del Cristo…”.
Infatti ordina che nella sua diocesi anche le nuove chiese siano provviste di balaustre; vieta gli altari a forma di semplice tavola; chiede di ricevere la comunione in ginocchio; si oppone alla comunione nelle mani; bandisce le cerimonie interconfessionali e sincretiste…anticipando quindi quel ritorno alla sacralità della liturgia favorito da Benedetto XVI.
Siri lascia la guida della diocesi di Genova nel luglio del 1987: è ormai un emarginato, nella Chiesa, ma è molto amato dal suo popolo e da buona parte del suo clero. Si spegne il 2 maggio 1989.

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