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venerdì 9 ottobre 2009

Vera e falsa partecipazione attiva, e liturgia gregoriana.

Uno dei mali peggiori che affliggono oggi la prassi liturgica cattolica in occidente è lo stravolgimento del concetto di partecipazione attiva.

È in nome di questo fraintendimento che vengono commessi tanti abusi al limite del sopportabile [1] in molte celebrazioni, quali danze, invenzioni momentanee del celebrante, monizioni ex abundantia cordis ad ogni piè sospinto, gestualità scatenata, cambiamenti di testi blindati dalle rubriche, e chi più ne ha più ne metta...

Se quanto ho descritto si può chiamare la fenomenologia del suddetto errato concetto di partecipazione attiva, il Card. Ratzinger - molto più formaliter - lo dipingeva nel seguente modo:
“... il Concilio ci ha richiamato molto energicamente alla memoria che la liturgia, nel linguaggio della Chiesa, significa «actio», un'azione, e perciò si ha la «partecipatio actuosa», l'attiva partecipazione di tutti i fedeli. Ma è sorta qui spesso l'impressione, in misura più o meno rilevante, che la liturgia debba essere fatta dalla comunità, perché sia opera veramente sua; e ciò ha portato, per dirla in parole povere, alla conseguenza che si cominciò a misurarne il successo dal suo valore di intrattenimento. Essa dovrebbe avere una forma molto avvincente per strappare dal ghetto anche i profani e portarli nella comunità; ma in questo ci è capitato qualche cosa di strano: proprio così ne andò perduto il fascino interiore che le è caratteristico. Questo non deriva infatti da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade qualche cosa che noi tutti assieme non possiamo proprio fare. Questo ha creato lungo i secoli alla liturgia una sua posizione, per cui qui opera un potere che nessuno può conferire a se stesso, per cui accade in realtà l'assolutamente Altro, e l'assolutamente Altro giunge fino a noi.” [2].
Il fedele che è legato all’antico rito, oltre al danno, deve subire anche la beffa: infatti uno dei principali argomenti sulla bocca e nella penna di chi critica la liturgia gregoriana è proprio l’evocazione della partecipazione attiva, che - stando a costoro – prima del Concilio - non c’era e ora finalmente c’è, anche se, naturalmente, c’è ancora tanta strada da fare.

Provate a spiegare - a simili interlocutori - che chi ama la liturgia gregoriana ritiene fondamentale la partecipazione attiva, e che colui che è affezionato alla forma antica del rito romano non è uno che dice “finalmente non ho capito”!.

Niente da fare: gli avversari della nuova ed autentica primavera liturgica auspicata da Benedetto XVI, si considerano dialetticamente vincitori una volta che abbiano proferito quella che per loro è ormai quasi una parola magica: "partecipazione attiva"!; più soddisfatti – ogni volta che la pronunciano – di uno che in un colpo solo abbia fatto scopa, settebello e primiera.

Eppure la preoccupazione che ci fosse una partecipazione attiva al culto liturgico da parte dei fedeli viene esternata almeno a partire dal magistero di San Pio X, al quale non si possono certo imputare i moderni abusi liturgici. Così si esprimeva l’ultimo Pontefice canonizzato:

“Essendo infatti Nostro vivissimo desiderio che il vero spirito cristiano rifiorisca per ogni modo e si mantenga nei fedeli tutti, è necessario provvedere prima di ogni altra cosa alla santità e dignità del tempio, dove appunto i fedeli si radunano per attingere tale spirito dalla sua prima e indispensabile fonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa [3].
Quello che qui chi chiediamo è: come si è passati dalle sollecitudini del santo parroco divenuto Papa agli abusi al limite del sopportabile?

Per rispondere adeguatamente a questa domanda, si ha necessità di sdoppiarla: in primo luogo bisogna chiedersi qual è la differenza tra partecipazione attiva nel senso in cui la intendeva San Pio X, e quindi anche i Papi successivi, nonché i testi del Vaticano II (ermeneutica della continuità!), e nel senso moderno distorto.

In secondo luogo dovremmo chiederci il perché di questa vera e propria equivocità di due concetti diametralmente opposti; che cosa cioè ha permesso che il termine che designa una cosa sacrosanta – appunto la nostra partecipazione attiva - servisse a veicolare un drammatico stravolgimento della lex orandi della Chiesa.

In questo articolo, mi limiterò a cercare di rispondere alla prima domanda, riservandomi, a Dio piacendo, di completare in seguito queste riflessioni.

In che cosa dunque differisce il nuovo errato concetto di partecipazione attiva dall’antico? La risposta è semplice: oggi si è persa l’idea di chi sia l’Attore principale della liturgia: l’Io penso sopra tutto di Kant, in religione diventa “Io mi faccio la mia religione, io mi faccio la mia morale, io mi faccio al mia liturgia, io agisco, io penso, io faccio, io canto, io mi dimeno, io, io, io…”. Il contrario esatto di “Lui deve crescere; io, invece, diminuire”[4], oppure il contrario di quanto la maestra delle novizie diceva a Santa Margherita Maria Alacoque: “Va' a metterti di fronte al Signore come una tela in attesa del pittore “[5].

Già Pio XII, nel 1956, considerando come attorno allo sviluppo del movimento liturgico, pur ritenuto globalmente ancora positivo, cominciavano a germogliare gravi errori - tutt’altro che sedati anche dopo l’Enciclica Mediator Dei (20-11-1947) - ripropose un adeguato concetto di partecipazione attiva.

Riporto ora, commentandoli, alcuni passi del discorso “Vous Nous avez demandé”[6]:
“Se si confronta lo stato presente del movimento liturgico con quello di trent'anni or sono, si deve riconoscere che esso ha compiuto un progresso innegabile sia in estensione che in profondità. L'interesse dimostrato per la liturgia, le attuazioni pratiche e la partecipazione attiva dei fedeli hanno raggiunto uno sviluppo, che ben difficilmente si sarebbe potuto prevedere a quel tempo. L'impulso principale, tanto in materia dottrinale quanto nelle applicazioni pratiche, provenne dalla Gerarchia e, in particolare, dal Nostro santo Predecessore Pio X, che, col suo Motu Proprio Abhinc duos annos del 23 ottobre 1913 impresse al movimento liturgico uno slancio decisivo. Il popolo credente accolse quelle direttive con riconoscenza e si mostrò pronto a corrispondervi; i liturgisti si posero all'opera con zelo, e ben presto fiorirono iniziative interessanti e feconde, anche se talvolta alcune deviazioni richiesero un raddrizzamento da parte dell'Autorità ecclesiastica”.
Pio XII dice ai liturgisti: il vero movimento liturgico è quello che è stato promosso dalla gerarchia, in particolare San Pio X, e tra i suoi frutti c’è stato lo sviluppo della partecipazione attiva; tuttavia non sono mancati errori.

Continuiamo la lettura:

“Il movimento liturgico è in tal modo apparso come un segno delle disposizioni provvidenziali di Dio riguardo al tempo presente, come un passaggio dello Spirito Santo nella sua Chiesa, per avvicinare sempre più gli uomini ai misteri della fede e alle ricchezze della grazia, che hanno la loro sorgente nella partecipazione attiva dei fedeli alla vita liturgica”.
Pio XII può quindi dire che il movimento liturgico, come promosso dalla gerarchia, e senza gli errori corretti dal Magistero, è positivo, in quanto promuove la partecipazione attiva dei fedeli alla vita liturgica.

Ma che cos’è questa partecipazione attiva?

La risposta a questa domanda viene offerta nella II parte dello stesso discorso, intitolata “La liturgia e il Signore”:
“La liturgia della Messa ha come scopo di esprimere sensibilmente la grandezza del mistero che vi si compie, e gli sforzi attuali tendono a farvi partecipare i fedeli nel modo più attivo ed intelligente possibile. Benché questo intento sia giustificato, v'è pericolo di provocare una diminuzione della riverenza, se vien distolta l'attenzione dall'azione principale, per rivolgerla alla magnificenza di altre cerimonie. Qual è quest'azione principale del sacrificio eucaristico? Noi ne abbiamo parlato espressamente nell'Allocuzione del 2 novembre 1954. Noi riferivamo in primo luogo l'insegnamento del Concilio di Trento: «In divino hoc sacrificio, quod in Missa peragitur, idem ille Christus continetur et incruente immolatur, qui in ara crucis semel se ipsum cruente obtulit... Una enim eademque est hostia, idem nunc offerens sacerdotum ministerio, qui se ipsum tunc in cruce obtulit, sola offerendi ratione diversa (Conc. Trid., Sess. XXII, cap. 2)»”.
Commentiamo ora questo brano:

Giusti tutti gli sforzi che tendono a fare partecipare i fedeli nel modo più attivo ed intelligente... Ma… attenzione! - dice il Papa - , non si perda ciò che è principale, cioè la partecipazione all’Azione di Cristo!

Da un lato rimpiangiamo un po’ i pericoli di 50 anni fa: essere distolti dal cuore dell’azione liturgica dalla magnificenza delle cerimonie; oggi i pericoli sono i tanti ben peggiori abusi, aventi un comune denominatore: l’azione dell’assemblea viene a prevalere sull’azione di Cristo, sulla sua Immolazione Sacramentale, sul suo offrirsi: è a questa offerta che dobbiamo più che attivamente partecipare.

L’azione esterna, il fare, l’agire, non sono un valore assoluto, ma lo sono in tanto quanto ci permettono di unirci al Santo Sacrificio, tanto quanto ci permettono di essere quella gocciolina di acqua che il Sacerdote mette nel vino: questo gesto esprime come tutta la nostra vita viene sussunta nello stesso Sacrifico di Cristo, quel Sacrificio che realmente si riattualizza sull’Altare.

Le risposte dell’Ordinario della Messa gregoriana sono tutte risposte mistagogiche, non risposte tanto per dire o fare qualcosa: sono risposte pertinenti a chi accetta di essere offerto, di chi risponde al Sacerdote che agisce in Persona Christi e nel contempo come pontifex (i continui “Dominus Vobiscum”); non sono atti di chi usurpa il ruolo di protagonista.

E adesso vediamo come il Card Ratzinger ribadisce sostanzialmente, - dopo il concilio Vaticano II e alla luce anche del Catechismo della Chiesa Cattolica - , quanto diceva Pio XII:
“Il concilio Vaticano II ci ha proposto come pensiero guida della celebrazione liturgica l'espressione participatio actuosa, partecipazione attiva di tutti all'Opus Dei, al culto divino. Ciò a buon diritto: il Catechismo della Chiesa Cattolica, difatti, sottolinea che l'espressione riguarda il servizio comune, si riferisce, cioè, a tutto il popolo santo di Dio (cfr. CCC 1069). In che cosa consiste, però, questa partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare? Purtroppo questa espressione è stata molto presto fraintesa e ridotta al suo significato esteriore, quello della necessità di un agire comune, quasi si trattasse di far entrare concretamente in azione il numero maggiore di persone possibile il più spesso possibile. La parola «partecipazione» rinvia, però, a un'azione principale, a cui tutti devono avere parte. Se, dunque, si vuole scoprire di quale agire si tratta, si deve prima di tutto accertare quale sia questa «actio» centrale, a cui devono avere parte tutti i membri della comunità” [7] .

E qual’ è l’azione della liturgia
“La vera azione della liturgia, a cui noi tutti dobbiamo avere parte, è azione di Dio stesso” [8].
Esaminiamo ora alcuni testi del Vaticano II:

“Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado”[9] .
“Per promuovere la partecipazione attiva, si curino le acclamazioni del popolo, le risposte, la salmodia, la antifone, i canti nonché le azioni e i gesti e l'atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, il sacro silenzio”[10].
Niente contro il Concilio nel Messale del 1962, niente secondo il Concilio in tanti abusi. Ancora una volta sono anti-conciliari gli abusi, e – al contrario – è veramente secondo un’ermeneutica della continuità quanto il Santo Padre sta facendo.

Alla luce di quanto sopra, vengono buone le parole di San Leonardo da Porto Maurizio, per rispondere a chi disprezza coloro che partecipano alla S. Messa in silenzio, come sarebbero stati in silenzio a piedi della Croce (dove realmente si trova ognuno che partecipa a una S. Messa):

“Il primo modo di ascoltare la santa Messa è di coloro, i quali col libretto alla mano accompagnano con somma attenzione tutte le azioni del sacerdote: recitano ad ognuna di esse un'orazione vocale, che trovano descritta in quel libro, ed in questo modo passano tutta la Messa leggendo, e non vi è dubbio, che se alla lettura va accoppiata la considerazione di quei santi misteri, è un modo molto eccellente per assistere al santo sacrificio, ed è altresì di gran frutto. Ma perché porta seco una somma soggezione, dovendo chi assiste attendere a tutte quelle sacre cerimonie che fa il sacerdote, e poi ritornare con l'occhio al libro per leggere l'orazione corrispondente a quel mistero, riesce in pratica non poco faticoso, e credo che pochi perseverino e durino molto tempo a servirsi di questo metodo, benché utilissimo, stante la debolezza della nostra mente, che facilmente si stracca in dover riflettere sulla diversità di tante azioni che sull'altare si fanno dal sacerdote. Con tutto ciò chi se ne trova bene, e ne ricava il suo profitto spirituale, seguiti pure, perché ad una industria sì laboriosa non mancherà un competente premio appresso Dio.
Il secondo modo di ascoltare la santa Messa è di quelli, i quali non si servono dei libretti, né leggono cosa alcuna in tempo del divin sacrificio, ma fissano l'occhio mentale avvivato dalla fede in Gesù crocefisso, ed appoggiati all'albero della croce ne raccolgono i frutti d'una dolce contemplazione, passando tutto quel tempo in un devoto raccoglimento interiore, con trattenersi mentalmente a considerare quei sacri misteri della passione di Gesù, che non solo si rappresentano, ma misticamente si operano in quel santo sacrificio. Certo è, che questi, tenendo raccolte le potenze in Dio, vengono ad esercitare atti eroici di fede, di speranza, di carità, e d'altre virtù, e non v'è dubbio essere questo modo di ascoltar la Messa assai più perfetto del primo, ed anche più dolce e più soave, conforme l'esperimentò un buon religioso laico (Henr. in Inquis.), il quale soleva dire, che in ascoltare la Messa egli non leggeva che tre sole lettere. La prima era nera, cioè la considerazione dei suoi peccati, che cagionava in lui confusione e pentimento; e questa meditava dal principio della Messa sino all'offertorio. La seconda era rossa, cioè la meditazione della passione di Gesù, considerando quel preziosissimo sangue che Gesù sparse per noi sul Calvario, soffrendo sì acerba morte; ed in questa si tratteneva sino alla comunione. La terza era bianca, perché mentre il sacerdote si comunicava, egli si univa mentalmente col suo Gesù sacramentato, facendo la comunione spirituale, dopo la quale se ne rimaneva tutto assorto in Dio nella considerazione della gloria che sperava per frutto di quel divin sacrificio. Questa semplice persona ascoltava la Messa con molta perfezione, e vorrei che tutti imparassero da lui una sì alta sapienza” [11]
Che la Madonna Santa ci aiuti tutti a ben partecipare al Santo Sacrificio del Suo Divin Figlio.

Don Alfredo M. Morselli, 9 -10-2009

[1] Benedetto XVI, Lettera ai vescovi in occasione della pubblicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum.

[2] Joseph Ratzinger, La festa della fede. Saggi di teologia liturgica, Milano: Jaca Book, 1984, pp. 139-140.

[3] Motu proprio “Tra le sollecitudini”, 22-11-1903.


[4] Gv 3, 20.

[5] “Quando pregai la maestra delle novizie di insegnarmi l'orazione, di cui la mia anima era molto desiderosa, lei si rifiutò di credere che, essendo entrata in religione all'età di ventitré anni, non sapessi ancora farla. Dopo che glielo ebbi assicurato, mi disse per la prima volta: «Va' a metterti di fronte al Signore come una tela in attesa del pittore»”; Autobiografia, 30.

[6] Discorso ai partecipanti al 1° Congresso internazionale di Liturgia Pastorale”, del 22 settembre 1956: la traduzione è presa da: Insegnamenti Pontifici, vol VIII, Roma: Pia Società San Paolo, 1959/2, pp. 354-374, passim.

[7] Joseph Ratzinger, Introduzione alla Spirito della Liturgia, Cinisello Balsamo: San Paolo, 2001, p.167.

[8] Ibidem, p. 169.

[9] Sacrosanctum Concilium, 7.

[10] Ibidem, 30.

[11] San Leonardo da Porto Maurizio, Il Tesoro nascosto, Torino: Giacinto Marietti, 1840, cap. II, §§ 4-5.

16 commenti:

  1. Qua si nun postate quarcosa su la FSSPX li comenti nun arivanoooo. E inutile che ce ricondite er Cardinale: da Papa sta riforma nun la vole fa'. Lo volete capì? Disse, disse, disse, ma mo' nun fa gnente. Me dovete crede. S'è 'ntimidito. Vo' sta cheto.

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  2. Campanaro, continua a fare il tuo mestiere e lascia che il Papa faccia il suo. Noi preghiamo e speriamo. Non serve l'agitazione attiva, ma solo l'attesa fiduciosa. Se negli anni '80 mi avessero detto che la messa antica sarebbe stata liberata, tanto era lo sconforto che non ci avrei creduto. E invece è arrivato Papa Benedetto. . .

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  3. A campana', ma vatte a magnare l'abbacchio e a beverte er vino delli castelli, e nun ce rompere...

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  4. Ringrazio don Morselli per questo suo contributo molto interessante.
    È vero, quante volte ci sentiamo dire, mi sento dire, ma la partecipazione attiva ? Tu non fai niente te ne stai zitta è il sacerdote che fa tutto da solo...
    e poi guarda noi tutti i testi che leggiamo...
    e poi almeno noi il sacerdote lo vediamo, vediamo che cosa fa, non ci gira le spalle!
    Quando constato l`ignoranza dei cattolici mi dico che tutte quelle letture non sono servite a granchè, salvo eventualmente ad ingurgitare l`interpretazione data dal parroco di turno se e quando parte dalle letture del giorno per la sua omelia....
    Quando constato che un numero drammaticamente importante di cattolici non sa più che cosa significhi la Presenza Reale, il Sacrificio Eucaristico, conosce della Messa il banchetto, la festa, un rito in cui ad un momento si va tutti a prendere quel simbolo che è diventata l`Ostia o il pezzo di pane....
    Mi dico che la Liturgia centrata sull`uomo e non su Cristo non poteva che produrre i risultati che abbiamo sottp gli occhi.
    Risultati che l`autorità ha tollerato, legittimato quando non li ha incoraggiati.

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  5. T'abbiamo accontentato, Campana'.
    Leggi l'ultima intervista a Castrillòn Hoyos.
    E fidati del Papa...

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  6. Dire che il Papa è intimidito è una cazz.... il Papa vuole "fare dei due uno" il che equivale far fare un passo avanti alla Tradizione nell'ordine della stabilitas benedettina e due passi indietro a chi "ha consegnato" di nuovo Cristo al mondo!
    La Chiesa fonda il suo essere sul et-et teandrico di Cristo, quindi senza tradizione non c'è progresso tanto quanto la tradizione non può limitare l'uomo all'"essere costretto ad amare". Altrimenti Dio non ci amerebbe! L'amore di Dio è tale perchè ci libera dalle schiavitù mondane, ma non ci obbliga ad amare, ci obbliga a testimoniare nell'attività della paziente attesa. La liturgia è paziente attesa che culmina nell'Eucarestia ed è nella dimensione della pazienza attiva pechè siamo "agiti", purificati e portati a Dio, al nutrirsi ( che è somma partecipazione) di Dio. Il resto è happy hour aziendale. Manca solo il salame o la tartina...ma non c'entra con l'amore paziente, sofferente, speranzoso e gioioso( Eucarestia)che Cristo ci ha lasciato in dono come Via, Verità e Vita!
    Matteo Dellanoce

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  7. Si dovrebbe uscire da messa sentendosi fieri, sentendo di aver fatto qualcosa che non ha equivalenti altrove. Oggi questo accade? Mah, il rito è stato troppo banalizzato.

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  8. Leggendo l’intervento di Campanaro ho scoperto le qualità profetiche del poeta romanesco Trilussa, che certamente pensava a lui e a quelli come lui quando nel 1908, nella raccolta “Le favole”, pubblicava “La campana de la chiesa”.

    “Che sôno a fa'? - diceva una Campana -
    Da un po' de tempo in qua, c'è tanta gente
    che invece d'entrà’ drento s'allontana.
    Anticamente, appena davo un tocco
    la chiesa era già piena;
    ma adesso ho voja a fa' la canoffiena
    pe' chiamà li cristiani cór patocco!
    Se l'omo che me sente nun me crede
    che diavolo dirà Dommineddio?
    Dirà ch'er sôno mio
    nun è più bono a risvejà’ la fede”.

    “No, la raggione te la spiego io:
    - je disse un Angeletto
    che stava in pizzo ar tetto -
    nun dipenne da te che nun sei bona,
    ma dipenne dall'anima cristiana
    che nun se fida più de la Campana
    perché conosce quello che la sôna”.

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  9. “Actuosa participatio”

    Come ricordato in quest’ultimo testo, il concilio Vaticano II ha in più riprese richiesto una “actuosa participatio”, una “partecipazione attiva” dei fedeli al culto. Come si sa, questo è stato di solito interpretato nel senso di una condanna al preteso ruolo “passivo” a cui la liturgia tradizionale avrebbe relegato i fedeli. La frase sopra citata, “Non c'è proprio nulla di «attivo» nell'ascoltare, nell'intuire, nel commuoversi?”, rivela chiaramente il pensiero del Papa in merito. Più notevoli ancora, e in parte sorprendenti, sono le righe che leggiamo in “Introduzione allo spirito della liturgia” a p. 167: “In che cosa consiste, però, questa partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare? Purtroppo questa espressione è stata molto presto fraintesa e ridotta al suo significato esteriore, quello della necessità di un agire comune, quasi si trattasse di far entrare concretamente in azione il numero maggiore di persone possibile il più spesso possibile.

    La parola «partecipazione» rinvia, però, a un’azione principale, a cui tutti devono avere parte”. Quale sarà dunque in realtà questa “actio”, questa azione a cui tutta l’assemblea è chiamata, ora come sempre, a partecipare? Come accenna il Papa, si sa che di solito si è dato a questa domanda la risposta pratica di moltiplicare e distribuire a quante più persone possibile i servizi paraliturgici durante la celebrazione: vi è chi accende le candele e chi le spegne, chi bada all’acqua e chi al vino, chi legge il profeta e chi l’epistola, chi canta il salmo e chi il Gloria; la preghiera dei fedeli deve vedersi alternare una persona diversa per ogni invocazione, e la processione dell’offertorio deve a volte somigliare a un corteo. Non così per il Papa. Continua il testo citato: “Con il termine «actio», riferito alla liturgia, si intende nelle fonti il canone eucaristico.

    La vera azione liturgica, il vero atto liturgico, è la oratio: la grande preghiera, che costituisce il nucleo della celebrazione liturgica e che proprio per questo, nel suo insieme, è stata chiamata dai Padri con il termine oratio. […] Questa oratio – la solenne preghiera eucaristica, il «canone» - è davvero più che un discorso, è actio nel senso più alto del temine. In essa accade, infatti, che l’actio umana (così come è stata sinora esercitata dai sacerdoti nelle diverse religioni) passa in secondo piano e lascia spazio all’actio divina, all’agire di Dio. […] Ma come possiamo noi avere parte a questa azione? […] noi dobbiamo pregare perché (il sacrificio del Logos) diventi il nostro sacrificio, perché noi stessi, come abbiamo detto, veniamo trasformati nel Logos e diveniamo così vero corpo di Cristo: è di questo che si tratta”.

    Qui, all’interno della fornace ardente che è il centro stesso della fede cristiana, siamo realmente a miglia di distanza dalle interpretazioni sociologiche banalizzanti di cui si diceva. E infatti prosegue il Papa: “La comparsa quasi teatrale di attori diversi, cui è dato oggi di assistere soprattutto nella preparazione delle offerte, passa molto semplicemente a lato dell’essenziale. Se le singole azioni esteriori (che di per sé non sono molte e che vengono artificiosamente accresciute di numero) diventano l’essenziale della liturgia e questa stessa viene degradata in un generico agire, allora viene misconosciuto il vero teodramma della liturgia, che viene anzi ridotto a parodia”.

    Davide Ventura sul tema “Papa Benedetto XVI e la liturgia - Importanza e centralità della liturgia", intervenendo il 22 febbraio scorso a Bologna

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  10. Dalla Messa si dovrebbe uscir santificati e, pertanto, più rafforzati nella fede, nella carità, nella speranza, e quindi più aperti al soprannaturale. Si dovrebbe uscire più buoni, più umili, più aperti agli altri in cui vediamo Cristo.
    Dovremmo uscire più "sacri". E come, se questi doni ci vengono in buona parte rubati? Del sacro, sì, siamo stati defraudati.
    Devo esser ssincero: quando don fuori Firenze ed in luogo ove la Messa antica non vien celebrata e son costretto a partecipar al NO, non esco mai non dico santificato, ma neppur edificato: sempre sofferente quando non irritato per le stupidaggini che m'è toccato sentire. Questa sofferenza santifica?

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  11. Se quella sofferenza santifica, Dante, vorrà dire che mi sono privata di diverse occasioni di santificazione!
    Perchè io non ce l`ho fatta, ho resistito un tempo, poi quando, più di una volta, non ho potuto ricevere la Comunione, talmente mi sentivo irritata, talmente il mio cuore era abitato dalla rabbia, un misto di collera e tristezza, quando mi è successo più di una volta di uscire perchè ciò che vedevo mi era insopportabile...ho deciso di astenermi, e se non avessi trovato la Santa Messa della FSSPX dapprima e poi quella della FSSP in seguito, non so dove sarei oggi...

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  12. ...non sa più che cosa significhi la Presenza Reale, il Sacrificio Eucaristico, conosce della Messa il banchetto, la festa, un rito in cui ad un momento si va tutti a prendere quel simbolo che è diventata l`Ostia o il pezzo di pane....
    Mi dico che la Liturgia centrata sull`uomo e non su Cristo non poteva che produrre i risultati che abbiamo sottp gli occhi.

    Prendo spunto da queste parole di Luisa...e mi chiedo se anche la messa riformata non sia un tassello di una futura nuova religione di un nuovo ordine mondiale...
    Scava, scava...i presupposti vi si trovano.
    Leggevo in questi giorni delle "tesi" apocalittiche...su Fatima...e mi son fatti un'idea...: non tutto sarà vero, ma neanche tutto falso.


    http://www.fatima.org/it/resources/cr73grande.asp [e seguenti]

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  13. Prendo spunto da queste parole di Luisa...e mi chiedo se anche la messa riformata non sia un tassello di una futura nuova religione di un nuovo ordine mondiale...

    non vi allarmano le recenti parole di Kasper che l'ecumenismo e la collaborazione con gli ebrei sono la soluzione dei mali del mondo?
    Da come si sente parlare sembra che questa sia la nuova religione mondiale, non quella nata dal Sacrificio e dalla Risurrezione del Signore Gesù, cioè la nostra Fede

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  14. Da quest'anno faccio la catechista ai bambini di prima elementare e l'altro giorno abbiamo fatto una riunione con tutte le catechiste e il parroco. A parte certe eresie che mi è toccato ascoltare (la capo catechista mi ha detto, a proposito dei divorziati risposati, che non si può dire: o siete con me o siete contro di me - aiuto!!!!) mi hanno anche accusata, visto che ho parlato di tradizione sia per la S. Messa che per il Catechismo, di non volere la partecipazione dei fedeli alla liturgia (erano un po' infuriate dal momento che ho espresso sdegno per l'alleluja delle lampadine e altre amenità del genere).
    Scusate lo sfogo
    gladys

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  15. Non sentirti tu in difetto, Gladys. Le parrocchie sono diventate i feudi di gruppuscoli di "pretesse", "vescovesse" e "papesse" frustrate. Odiano la tradizione perché pensano sia un ostacolo al micropotere che si sono ritagliate.

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  16. Penso che Dio Padre che è nei cieli stia profondamente ridendo di noi!
    Lui ispira la chiesa e chi ha posto come sua guida...fidiamoci del Papa!
    Inoltre cerchiamo di avere la fede dei bambini e non quella di chi pensa di capire tutto attraverso il ragionamento e lo studio.
    Penso alla fede dei miei nonni e a quella dei miei bisnonni (che ho vissuto di rifleso raccontata da mia madre)...penso che sia quello il modo giusto di credere, di vivere la messa, di vivere la vita: la semplicità, la fiducia in chi ne sa di più,l'abbandono.
    Non impazziamo in folli ragionamenti che ci alontanano da Dio e da Gesù...
    Ricordiamoci sempre quanto dice il Signore nel "Vangelo delle Beatitudini"!
    Un abbraccio a tutti! ERICA

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