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mercoledì 23 settembre 2009

Latino derelitto in Vaticano

di Marco Bertoncini

Soltanto la settimana scorsa la S. Sede ha reso pubblico il testo ufficiale latino dell'ultima l'enciclica papale, Caritas in veritate. Il documento apparve con la data della festa dei santi Pietro e Paolo, ma esclusivamente nella versione italiana e in altre traduzioni in lingue volgari. Quando era imminente, a metà giugno, l'uscita dell'annunciata enciclica sociale, attesa ormai da anni e più volte rinviata, si sostenne che a rallentarne l'apparizione era la necessità di tradurla in latino. Sarà opportuno chiarire, per quanti non siano addentro agli usi della Curia romana, che di solito i documenti pontifici sono predisposti da collaboratori curiali ovvero da incaricati esterni del Papa, i quali scrivono usando normalmente la propria lingua materna. Però il testo ufficiale, l'unico cui far riferimento, è quello latino. La versione latina arriva di solito dopo la stesura nella lingua originale, che comunemente oggi è l'italiano; ma l'attuale pontefice il suo diffusissimo libro Gesù di Nazaret lo stende in tedesco, tanto che polemiche a suo tempo sollevate contro certe affermazioni di Ratzinger si sono rivelate fuori luogo perché fondate non sul testo originale, bensì per una traduzione errata. In ogni modo il Gesù è un testo che appartiene a Joseph Ratzinger, scritto da lui come dottore privato, non a papa Benedetto XVI. L'enciclica Caritas in veritate, invece, è un documento ufficiale del pontefice: quindi, l'unico testo che fa fede e cui occorre far riferimento è quello latino. Non solo: la firma apposta dal papa lo rende unico autore del documento, e soltanto fra decenni gli archivi vaticani ci diranno quanto gli appartenga e quanto, invece, sia stato scritto da altri. A una superficiale analisi, diremmo che troppe siano state le mani e che il risultato finale contenga un po' tutto e il contrario di tutto, tanto che ciascun commentatore, di qualsivoglia orientamento, ha potuto pescare fra le tante, le eccessive, pagine, del documento per ricavarvi una posizione, una frase, una testimonianza da condividere. Oggi si può, alla fine, compulsare il testo latino, sul siti internet della S. Sede. Va rilevato che questo sito (www.vatican.va) si presenta in molteplici edizioni, anche se con diversa dose di testi offerti alla consultazione: tedesca, inglese, cinese, italiana, francese, portoghese, spagnola e pure latina. In quest'ultimo settore sono presentati Documenta latina dei pontefici, testi biblici, conciliari, curiali, il catechismo e infine il Codice di diritto canonico (ma non quello dei Canoni delle chiese orientali). In latino, con i testi riprodotti nella lingua in cui vennero pronunciati, è la Gazzetta Ufficiale della S. Sede, ossia il mensile Acta Apostolicae Sedis (mentre in italiano è il relativo Supplemento Leggi Scv, che riporta i provvedimenti che interessano la Città del Vaticano in quanto Stato sovrano). Il ritardo nella divulgazione del testo ufficiale non torna ad onore degli uffici vaticani. Aveva a suo tempo notato don Enzo Mazzi: «Le lingue volgari hanno avuto la meglio nella pubblicazione ufficiale della nuova enciclica di Benedetto XVI. La lingua imperiale può aspettare. Non era questa l'intenzione iniziale. (...) Devono essere state le tante critiche giunte da ogni parte del mondo a far cambiare idea al Papa e ai suoi consiglieri. La scelta di privilegiare le lingue vive è specialmente per noi gente della strada di buon auspicio».Il populismo di queste affermazioni trova riscontro nell'indicazione dell'autore come appartenente alla “Comunità l'Isolotto”, sigla storica del dissenso cattolico che non pochi apostroferebbero come cattocomunismo, e nella sede in cui il pezzo è apparso, cioè l'Unità. Tuttavia don Mazzi ha ragione, dalla sua visuale, a gongolare: la Santa Sede si è dimostrata incapace di produrre tempestivamente il testo ufficiale dell'enciclica, ha insomma confermato la paurosa voragine in cui la conoscenza del latino è precipitata oltretevere. Tanto per chiarire: Giovanni XXIII emanò nel 1962 la costituzione apostolica Veterum sapientia, che era un peana alla lingua universale ed immutabile, tesoro incomparabile e chiave della tradizione della chiesa cattolica. Contrariamente a quello che si crede, il concilio Vaticano II si limitò a introdurre le lingue volgari accanto a quella latina, prescrivendo fra l'altro lo studio del latino nei seminari. Ha dell'incredibile riflettere sulla dicotomia creatasi negli anni Sessanta fra i provvedimenti ufficiali della Chiesa e la concreta realtà, che emarginò sempre più la conoscenza del latino come lingua di specialisti. Paolo Vi cercò di mettere un argine, istituendo la specifica fondazione Latinitas, che fra l'altro procura di indicare come volgere in latino parole odierne. Sarà opportuno ricordare che l'intero concilio si svolse in latino: unici a protestare furono alcuni padri conciliari di chiese orientali, ai quali la lingua latina era estranea. Sarà altrettanto opportuno rimarcare che fino al concilio nelle università pontificie molte lezioni venivano svolte in latino. Il disastro postconciliare ha ridotto l'uso del latino, ne ha limitato fortemente la stessa conoscenza, ha reso perfino difficile trovare persone che sappiano scrivere in corretto latino, com'è dimostrato dall'increscioso ritardo col quale l'ultima enciclica è apparsa. Una conferma viene dai cosiddetti circuli minores dei sinodi: la suddivisione in gruppi linguistici ha visto la progressiva riduzione e sparizione finale del circolo latino a favore degli altri, indicati come Anglicus (tre), Gallicus (tre), Germanicus (uno), Hispanicus (tre) e Italicus (due), nell'ultimo sinodo. Giovanni Paolo II, nel constatare che in un'assemblea si era costituito un solo circolo latino (come s'è detto, sparito nelle successive assemblee), si lasciò scappare un'esclamazione: «Paupera lingua latina!» povera lingua latina. Un attento collaboratore della rivista Latinitas, pubblicata in latino dalla prima all'ultima riga (compresa la pubblicità delle Feriae Latinae) rilevò, sommessamente, che forse sarebbe stato più corretto se il Papa si fosse espresso usando miser (nel senso di infelice, meschino) in luogo di pauper (l'opposto di ricco) e l'accusativo esclamativo, vale a dire: «Miseram linguam latinam!» [certo che se le poche volte che qualcuno il latino lo usa, i pedanti gli fan subito le pulci, sai che bell'incoraggiamento!]. Insomma, la conoscenza del latino scema perfino ai vertici curiali.


Fonte: Italia Oggi 22.9.09, via Papa Ratzinger blog

18 commenti:

  1. Si può leggere l'esclamazione per quello che era "ricca lingua latina" sottolineando quandto povera fosse divenuta la cultura curiale. Quindi il commentino da saputello "modernista" con il ditino alzato dell'articolista più che l'errore del Papa fa risaltare la sua arrogante saccenza.
    Matteo Dellanoce

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  2. off topic:
    Il vescovo di Stoccolma ha parlato e come ...


    http://www.angelambrogetti.org/

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  3. il testo ufficiale, l'unico cui far riferimento, è quello latino.

    Per quanto tempo sarà ancora valido questo criterio?

    Estirpare le radici della cultura classico-cristiana...vedremo accadere questo?

    Un altro segno inquietante della decadenza del Magistero, conseguente all'ostracismo attuato contro la Tradizione, e dell'inesorabile avanzata della babele relativista con le sue traduzioni (spesso traditrici dei documenti originali), pronte a diventare libere interpretazoni divergenti da un pensiero dottrinale che dovrebbe essere unico e unificante.

    La deriva dell'oblio continua senza posa: quando forse in futuro prossimo il latino sarà cancellato da tutte le scuole e università e da tutte le memorie individuali...
    chi lo disseppellirà?
    Chi sarà lo Schliemann di quel tesoro che la Chiesa sta contribuendo a disperdeere, assecondando quasi un impulso suicida della civiltà millenaria dell'Europa, con la recisione di queste preziose radici linguistiche e culturali?

    (E se ripensiamo al lavoro dei monaci medioevali, la paziente trascrizione degli antichi codici della classicità...
    si può solo piangere sulle macerie che intravediamo)

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  4. domanda per il latinista del sito o magari per Dante Pastorelli

    perchè è sbagliato dire

    paupera lingua latina?

    "lingua latina" non è Soggetto e "paupera" predicato verbale,mancando "est" (o forse "es") sottinteso?
    insomma non ho capito perchè si dovrebbe usare l'accusativo.

    Io spero che la Chiesa non consenta di disperdere questo tesoro inestimabile che è la Lingua Latina.

    Giovanni Mandis

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  5. credo che siamo ancora in tempo a preservarlo; ma occorre la volontà e l'interventi efficace di chi è più responsabile.
    D'altronde, se l'Antico Rito non è mai stato abrogato ed i seminaristi dovrebbero quanto meno conoscerlo, non sarebbe il caso di reintrodurre il latino, quanto meno nei seminari nonché nelle facoltà teologiche (in queste, forse, qualche corso basico già c'è, non so se in tutte). A parte i tesori della Vulgata e dei Padri che non è la stessa cosa leggere sul testo originale rispetto alla traduzione, che anche quando non è un 'tradimento', è spesso inadeguata a riprodurne tutte le ricchezze e profondità semantiche

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  6. IL mio parroco nell'omelia" NOn si parla fortunatamente più il latino durante la messa e quindi è facile comprendermi" (comprensibili mugugni vari tra il popolo di Dio) va invece d'uso nella mia diocesi tenere omelie con raccapriccianti detti siciliani del tipo:
    "Monichi e parrini stuccatici i rini" .
    (Omelia tenuta per il triduo in onore di S. Giuseppe)

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  7. Il problema è che molti termini sono nati nella modernità, fuori dal contesto in cui la lingua latina poteva esprimersi liberamente. Come tradurre in latino "treno" oppure "aereo" oppure "computer"? La stessa lingua italiana, spesso è costretta ad usare dei termini inglesi nel parlare comune. Sono però dell'idea che il latino dovrebbe essere studiato di più e meglio, soprattutto nei Seminari

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  8. Senza latino non c'è Chiesa Cattolica Romana. La babele delle lingue distorcerebbe il messaggio. Peraltro ciò che in latino non esiste è inessenziale nel mantenere la verità della rivelazione.
    Se un sacerdote non sa il latino lo impari e subito altrimenti: fine carriera.
    Del resto non è già così con l'inglese per tutte le figure dirigenziali di lavoro?
    Basterà dirlo anche "sommessamente" (ma occorrerà dirlo)ed in qualche settimana sarà un escalation.
    State tranquilli
    Mazzarino da ALMA PREX

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  9. La latinizzazione delle parole relative alle innovazioni tecnologiche è veramente un falso problema. E' stato latinizzato pure il vocabolo "dentifricio" quindi... e soprattutto per l'ambito in cui si muove la Chiesa questa terminologia è solo marginalmente necessaria.
    Osserverei cosa ha comportato il subdolo abbandono del latino: la nazionalizzazione, la divisione geografica anche dei fedeli a tutto vantaggio di quegli ambigui "cuscinetti" delle Conferenze Episcopali.
    Sfido chiunque a sentirsi a casa sua durante una S. Messa celebrata in polacco; a me è capitato.
    Eppure ricordo ancora il racconto di un anziano reduce dalla prigionia tedesca che mi raccontò quanto in quei terribili frangenti si commosse e si sentì a casa entrando in chiesa per la Messa.
    O il famoso episodio della I Guerra mondiale in cui soldati dell'Impero e italiani smisero di spararsi addosso per partecipare assieme alla S. Messa di Natale.
    Dunque non è solo un problema della Chiesa "alta" e dei suoi documenti ufficiali, l'abbandono del latino è stata la dispersione del senso di unità e fratellanza dei cattolici.
    AndreasHofer

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  10. Caro GIOVANNI,
    il "paupera" è usato fuori dell'accezione che nel contesto vuol avere. Quindi sarebbe stato opportuno, come dice il "pedante", usar "misera".
    Esiste il nominativo esclamativo. Ma esiste anche, e credo che sia più frequente, l'accusativo esclamativo, preceduto da interiezioni tipo O, Heu ecc., e quasi sempre accompagnato da un attributo. (In genere si usa per esprimere, dolore, meraviglia, sdegno).
    Dunque, a quel che mi risulta, la forma migliore è la seconda.
    Ricordo dai tempi lontani che in Cicerone si trova "O fallacem hominum spem" ed anche "Heu, me miserum!".
    In tal caso l'accusativo è retto da un verbo sottinteso (videte, puto, dico ecc.)
    Ricordo un altro esempio dato dalle vecchie grammatiche: "Nugas" (cose di poco conto, bazzecole), sottinteso dico o dicis ecc.

    Comunque, perfetto o no il laitino, resta la sua importanza.

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  11. Giovanni Paolo II a voler pignoleggiare prese un ulteriore abbaglio, perché il femminile "paupera" non esiste. Ma evidentemente nella sua memoria in un momento di concitazione al latino si era sovrapposto l'italiano (al momento dell'elezione invece latinizzò l'italiano: "Se sbaglio mi corrigerete").
    Buttare via il latino? Si può, certo, se abbiamo qualcosa con cui sostituirlo. Un'altra lingua carica di gloria e di tradizione che per duemilacinquecento ha dominato la cultura in senso lato di tutto l'Occidente. Dov'è?

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  12. Si vobis placet lingua Latina ut lingua Ecclesiae viva, conjungite Familiae Sancti Hieronymi:

    http://www.hieronymus.us


    Fideles sumus erga Summum Pontificem, linguam Latinam colimus (sed aliquando mendas facimus! ;-), et vitam vere christianam conamur vivere. Semel in anno convenimus ut loquamur Latine. Hoc anno nostrum Cenaculum (sic dicitur) in Mexico fuit. Futurum Cenaculum in Civitatibus Foederatis Americae erit.

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  13. Magnas tibi gratias ago, bedwere !

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  14. Ha ragione Jacopo. Si dice, infatti, "pauper domus" per indicare una casa umile.
    O Pauperam paperam! Però almeno si capisce quel che il Papa voleva dire.
    Altri testi della S. Sede, anche in italiano, almeno per me, qua e là restan incomprensibili o perché volutamente fumosi o per imperizia di chi scrive.
    I tempi del Concilio in cui gli Ottaviani, i Ruffini, i Siri ecc. parlavano un latino fluente ed elegante fan parte del passato.

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  15. Grazie della spiegazione caro Dante !
    Il Latino nella Chiesa va senza dubbio incrementato. Io l'ho studiato al Classico e qualcosa ricordo, ma vorrei avere il tempo per riprendere confidenza con questa meravigliosa lingua.

    Giovanni Mandis

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  16. Paupera non invenitur apud scriptores classicos, tamen eo verbo utitur Plautus

    :-)

    http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus:text:1999.04.0059:entry=pauper

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  17. Gent.mi corrispondenti di questo Simposio elettronico,
    mi permetto di affidarVi una riflessione in margine alla dotta discussione innescata dall'espressione "paupera lingua Latina", per notare che questo semplicemente NON è latino. Poco c'è da aggiungere agli ineccepibili commenti già apparsi a firma del Prof. D. Pastorelli.
    Al massimo la si può derubricare come un goffo e malriuscito tentativo di trasferire un'espressione del sermone italico: Oh povera lingua latina, in un latino immaginario, sul quale è meglio stendere un velo pietoso. Il latino del sagrestano aveva una sua sciatta coerenza, ma qui, come già è stato detto con ottimi argomenti non si salva nulla. Frana il livello sintattico, benché possano trovarsi nella documentazione letteraria ed epigrafica esempi minoritari di nominativo invece dell'accusativo esclamativo, specie nel latino tardo o meno sorvegliato, poi ovviamente pauper è sost. né esiste l'agg. femm. paupera, e sul piano semantico l'equivalente è senz'altro miser.
    Però vorrei ricordare le difficilissimi condizioni in cui il S. Padre ha svolto i suoi studi universitari e frequentato poi il Seminario nella Polonia occupata dai nazisti fra indicibili sofferenze e difficoltà, trovandosi anche costretto al lavoro di operaio, per giungere finalmente il 1 novembre '46 all'Ordinazione. Si legga il racconto autobiografico in "Dono e Mistero", pubblicato proprio per il L del Sacerdozio.
    Queste sfortunate circostanze in un quadro di generale precarietà per formatori ed allievi giustificano, a mio avviso, la preparazione inadeguata, per non dire fortemente deficitaria, specie sul terreno delle lingue classiche. Il che si rivela anche nelle lettere private in latino, scritte dall'allora Arcivescovo di Cracovia ed indirizzate a vari destinatari. Pure quella spedita a S. Pio da Pietrelcina per impetrare una guarigione, che è stata spesso citata e riprodotta, contiene obbrobri sintattici con errori gravi sull'uso dell'ablativo. Purtroppo oggi questo latino travagliato è presente anche in documenti ufficiali.
    Pertanto, piuttosto che soffermarsi su quest'espressione del tutto fallace del Servo di Dio, auguriamoci che le nuove generazioni di presbiteri possano apprendere bene il latino perché possano così celebrare agevolmente ed in gran numero nell'idioma universale della Chiesa Romana, che non conosce barriere geografiche né temporali (l'italiano come tutte le lingue parlate invecchia rapidamente e richiede col tempo un necessario aggiornamento delle formule liturgiche). E spero che i nuovi Sacerdoti amino la ricchezza inestimabile della Latinità, sull'esempio del S. Padre, Benedetto XVI, il quale governa con ottima e felice padronanza
    anche il greco ed è un eccellente promotore degli studia humanitatis.
    Con stima,
    Salvatore Costanza

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  18. A Napoli direbbero: don Salvato', vu site 'ma miniatura!

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