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sabato 7 agosto 2021

Passare da un tempo di pace ad un tempo di lotta (II parte di P. A. Kwasniewski)

 

Pubblichiamo la seconda parte dei tre interventi del dott. Peter A. Kwasniewski pubblicati su 1Peter5

Ringraziamo l’autore per la concessione e Vincenzo Fedele per la sollecita e gentilissima disponibilità alla traduzione. 

Qui la prima parte tradotta da MiL.

Roberto


Passare da un tempo di pace a un tempo di lotta

 Peter Kwasniewski Luglio 30, 2021


(Nota dell'editore: questa è la seconda parte di una serie in tre parti: "Condurre una vita cattolica tradizionale in un'epoca di guerra civile". La parte I in inglese può essere trovata qui .)

Nella prima parte di questa serie, ho parlato di alcune delle tentazioni che devono affrontare i cattolici tradizionali nell'era della Traditionis Custodes e ho indicato chi ci ha preceduto nel movimento come fonti di speranza, coraggio e guida per noi oggi. Hanno perseverato contro imponenti ed inaspettate difficoltà che potrebbero ricordare una delle grandi scene di battaglia de Il Signore degli Anelli, su cui qualsiasi
"analisi razionale" avrebbe portato alla conclusione che: è tutto finito, Sauron ha trionfato. Ho anche incluso collegamenti a storie strazianti di ciò che i cattolici ordinari hanno dovuto fare e patire solo per partecipare a una messa in latino di tanto in tanto.

Queste storie dell'orrore di decenni fa non sono riconducibili alla situazione che viviamo oggi! Sì, lo so: siamo di nuovo sotto assedio, da parte di un papa che si è dimostrato implacabilmente ostile a qualsiasi altro modo di vivere il cattolicesimo che non sia quello che si accorda con la sua agenda mondialista, interreligiosa umanistica, progressista che tutti accoglie. Sì, è vero: soffia su di noi il vento gelido della disapprovazione ufficiale dopo decenni di graduale disgelo sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. 


Ma questa volta siamo molti di più: milioni di laici e migliaia di sacerdoti e religiosi amanti della TML in tutto il mondo. Occupiamo posizioni all'interno di seminari e cancellerie. In alcuni casi, abbiamo buoni rapporti e persino influenza verso vescovi che apprezzano la nostra fedeltà, il nostro zelo, la nostra intelligenza ed il nostro amore per Cristo e la Sua Chiesa. Abbiamo conquistato le posizioni grazie all'erudizione e alla credibilità intellettuale: per ogni libro scritto da un progressista, ce ne sono dieci di migliori scritti da conservatori o da tradizionalisti. Nella Chiesa, almeno, l'agenda liberale è stanca, invecchia e si scaglia con l'energia di un animale che è alla fine.

Se papa Francesco e i suoi alleati credono davvero di poter strappare l'amore per la sacra tradizione dal cuore di milioni di cattolici, clero, religiosi e laici, semplicemente con un pronunciamento papale e un cipiglio sinistro, sono più da compatire per le loro illusioni che accusati della loro malizia. In effetti, più ci provano, più questo amore brillerà incandescente. Non saranno in grado di vincere questa battaglia di logoramento. Come abbiamo visto più e più volte, molti vescovi capiscono come stanno le cose e, per illuminato interesse se non sempre per simpatia, sono disposti a mantenere un rapporto pacifico con i tradizionalisti.

Detto questo, il mondo post- Traditionis sarà comunque un campo di battaglia. Divamperà qua e là in un intenso conflitto. Alcuni sacerdoti saranno sospesi, spogliati delle loro facoltà, esiliati. Tra questi, alcuni si chiameranno fuori e altri andranno nelle catacombe, celebrando la messa nei salotti o nei boschi. Le comunità parrocchiali grandi e fiorenti possono subire la deprecata mannaia. I buoni vescovi, prudentemente dispensati dalle onerose disposizioni della Traditionis, in caso di ritiro forzato o canonico, possono essere sostituiti da cloni bergogliani.

La cosa più terrificante di tutte, le comunità religiose prospere e le società di vita apostolica possono trovarsi perseguitate, denunciate, gravate da commissari, costrette a cambiare le loro costituzioni. Né gli estremisti né coloro che cercheranno di cooperare avranno vita facile: i primi rischieranno di essere dispersi ai quattro venti, i secondi di essere adulterati in burattini del regime. Anche in questo caso, non sto dicendo che questo certamente accadrà ovunque e per tutti, ma che potrebbe capitare a chiunque, ovunque. Saranno necessari dei miracoli per ritornare liberi e si pregherà perchè avvengano.

Per diversi secoli, i cristiani della Chiesa primitiva furono perseguitati e poi tollerati, perseguitati e tollerati, dagli imperatori romani. Non si poteva mai essere sicuri di cosa avrebbe portato il prossimo imperatore. Purtroppo, come molti hanno sottolineato, il papato si è politicizzato alla maniera di un paese che viene sballottato avanti e indietro tra i contrasti di partiti politici avversi.

Possiamo anche pensare alla situazione dei cattolici in Inghilterra al tempo della Riforma. In pochi decenni il paese passò da un regime ostile ai cattolici ad una tregua sotto la regina Maria, solo per essere di nuovo ricacciato giù nel regno della protestante Elisabetta, sotto la quale tanti martiri versarono il loro sangue.

Anche per noi il regno di Benedetto è stato seguito da quello di Francesco, e non sappiamo cosa ci riserverà il futuro. Le cose potrebbero andare molto peggio: ho sentito voci su ulteriori soppressioni liturgiche previste e che, ad intermittenza, mi fanno congelare e ribollire il sangue. Il compito essenziale del cristiano , però, rimane quello di sempre: credere, seguire e testimoniare Cristo, anche a costo della vita.

Il nostro pericolo più grande sta nell'essere diventati morbidi.

Diciamolo chiaro: gli occidentali moderni sono morbidi. Parlando in generale, le nostre vite sono facili, comode e convenienti, con la sofferenza che è esclusa dove e quando sia possibile. Siamo circondati da una tecnologia affascinante, che ci ipnotizza e  ci accontenta. Abbiamo mille ragioni e modi per rimandare il lavoro “extra”, le sofferenze “inutili”, le imposizioni “scomode”.

Più specificamente, molti giovani tradizionalisti oggi sono nati, come dire, con un cucchiaio d'argento, in una parrocchia gestita dalla Fraternità o dall'Istituto, o in una diocesi dove i giovani sacerdoti portavano il TML nelle loro parrocchie. Nelle parti del mondo in cui i vescovi hanno implementato il Summorum Pontificum o almeno si sono astenuti dal bloccarlo, abbiamo goduto della disponibilità di messe in più località, forse con brevi tragitti d'auto. A volte possiamo scegliere tra una Messa solenne qui e una Messa solenne là. In tali aree, i cattolici hanno potuto godere e contare su un ampio accesso alla tradizione cattolica.

Quelli di noi, quindi, che non hanno mai dovuto "combattere per il rito" potrebbero non essere ancora gli uomini duri che hanno invece dovuto essere i nostri antenati, che hanno perseverato in mezzo a condizioni disperate. Non si sono lasciati scoraggiare da sanzioni minacciose o lusinghe («oh certo, ti faremo un Novus Ordo latino ad orientem una volta al mese!») e non lo faremo nemmeno noi. Se siamo un po' morbidi, Traditionis Custodes è stato il nostro campanello d'allarme mandatoci dal cielo. “Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma diventato uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato» (1 Cor 13,11). In un periodo di pace, ci sono modi più dolci per maturare; ma non scegliamo noi i tempi in cui viviamo, e la Divina Provvidenza ha scelto noi per questo tempo. Come mi scrisse un sacerdote carmelitano:

In effetti questi sono tempi pericolosi. Può darci coraggio il ricordare che Dio, dall'eternità, ha voluto e scelto di vivere in e attraverso questa epoca malvagia, in modo da aggrapparci fedelmente alla luce della Fede e tenere viva la fiaccola in mezzo a questa oscurità senza precedenti, per la  santificazione e salvezza nostra e della prossima generazione. Questi sono i tempi che formano i santi tra coloro che sono generosi e perseveranti nel servizio divino.

La maggior parte di noi non avrà il privilegio di versare il proprio sangue per Cristo . Ma in quest'epoca della Chiesa, molti sono ora chiamati a un martirio secco o bianco per amore della sua gloriosa Tradizione, vergognosamente emarginata da coloro che più dovrebbero amarla e proteggerla. Ora non è il momento di chiedere: "Ne vale la pena?" Occorre farlo “con tutti i mezziRorate Caeli ha twittato il 25 luglio: “Ogni domenica che dedichi a recarti a una messa in latino non è solo una benedizione infinita dall'alto, ma è anche, in termini umani, un atto sia controrivoluzionario che controculturale, tutto racchiuso in uno. Non dovresti essere lì, ed è più che mai per questo che si suppone che tu debba essere lì.”

Dovremmo resistere al consiglio, politicamente corretto, ma infido: “Rinuncia alla lotta; non fare della Messa un idolo…” Questo implica che ogni volta che amiamo qualcosa abbastanza da vivere per essa, da combattere e morire per essa, ne facciamo un idolo, come se solo Dio potesse meritare un impegno così totale. Ma questo è falso. Sebbene solo Dio debba essere adorato, ciò non significa che solo Lui meriti il nostro impegno. Dovremmo essere pronti a morire per nostra moglie, nostro figlio o il nostro vicino; per il bene della virtù; per amore della verità; per la nostra Patria. Dovremmo essere pronti a vivere e morire per la Messa o per qualsiasi sacramento o dogma della Fede.

Dovremmo avere questa disposizione perché queste cose, pur non essendo Dio, sono da Lui e per Lui, unendoci a Lui come una foto o una lettera ci unisce a una persona amata, o come un volto ci unisce al cuore della persona che brilla attraverso quel volto. Se non comprendiamo questo punto, presto condanneremo il matrimonio e i voti religiosi, come fecero alcuni eretici alla ricerca di un “puro amore di Dio”. Non siamo una setta di buddisti che cercano di fuggire dalla realtà in carne e ossa, ma cattolici che vedono il mondo in modo sacramentale. 

La battaglia sulla tradizione è una battaglia sulle realtà , non sulle idee, sulle opinioni o sulle preferenze. Abbiamo una pesante responsabilità per questi beni creati; Nostro Signore ci assicura che il nostro giudizio finale dipende, in larga misura, da ciò che abbiamo fatto gli uni con gli altri e da come abbiamo investito i preziosi “talenti” (minas, letteralmente, un'enorme quantità di denaro) a noi affidati .

Né dobbiamo prestare attenzione a coloro che ci accusano di mancare di umiltà a causa della nostra posizione ecclesiale. Parte dell'umiltà è aggrapparsi alla verità senza imbarazzo o ripensamenti, riconoscendola come un dono che abbiamo ricevuto senza alcun nostro merito, e poi trattandola non come un possesso privato ma come un bene comune da condividere: noi riconosciamo non solo che ciò che era sacro e grande lo è ancora oggi, ma che tutti i cattolici dovrebbero saperlo: - è un bene di cui beneficiano tutti, vicini e lontani, ora e sempre.

Possono portarci via i nostri edifici, ma non possono portarci via la fede che li ha costruiti e che può ricostruirli di nuovo. Possono toglierci temporaneamente la Messa dei secoli, ma non possono spegnere l'amore della Messa che sopravviverà all'odio dei nostri nemici. Possono violare i nostri diritti di figli della Chiesa, ma non possono cancellare la nostra dignità soprannaturale di figli di Dio. Possono spogliarci delle risorse umane, ma non possono impedire il nostro ricorso alla Santa Madre di Dio e a tutti i santi che adorano l'Agnello sul suo trono e che intercederanno sempre per coloro che amano la Tradizione immemorabile, come hanno fatto loro.

Non perdiamoci mai d'animo mentre passiamo da un tempo di relativa pace a un tempo di lotte clandestine e di aperto conflitto, armati da Cristo con «l'armatura di Dio, affinché [noi] possiamo resistere nel giorno malvagio e stare in piedi dopo aver superato tutte le prove. Rimaniamo ben fermi, cinti i fianchi di verità, e rivestiti con la corazza della giustizia... tenendo sempre in mano lo scudo della fede... l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito" (Ef 6:11– 17). 

Nella parte finale di questa serie, esaminerò i passaggi pratici che possiamo intraprendere e raccomanderò l'attrezzatura per la campagna di lotta.

[Immagine: Il cavaliere fantasma, 1870-93 di Sir John Gilbert (d.1897)]

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