Luigi C.
di Costanza Miriano, 8-11-25
I have a dream. Ho un sogno. Che tra i Vescovi chiamati alla prossima assemblea CEI dal 17 novembre a votare ad Assisi il documento sinodale si alzi in piedi un novello san Benedetto, e parli, e trascini tutti, e gli articoli più assurdi del Documento sinodale vengano bocciati. Vescovi santi ce ne sono, e spero che qualcuno abbia il coraggio (e la possibilità) di dire apertamente la cosa più macroscopica che c’è da dire in merito alle cosiddette “aperture” alle persone che vivono stabilmente nel peccato, e cioè che Cristo è venuto prima di tutto a salvarci proprio dal peccato. Da tutti i peccati: dalla cattiveria, dall’avidità, dall’egoismo, la maldicenza, ma anche dall’adulterio, dalle relazioni contro natura, dall’aborto.
Il problema è che Cristo come salvatore dal peccato non credono più in tanti, neanche fra i pastori temo. Lo scrive magistralmente don Giuseppe Forlai nel suo Chiesa, Riflessioni sull’evaporazione del cristianesimo,
un libretto (uso il diminutivo per le dimensioni, ma è solo perché l’autore usa poche parole, scelte benissimo, acuminate e precise al millimetro) davvero prezioso in modo quasi miracoloso. L’autore fa una disamina dei mali della Chiesa partendo dalla regola di san Benedetto, che appunto la scrisse tenendo dolorosamente ben presente la decadenza della Chiesa dei suoi tempi. Leggiamo:
“Recentemente ho letto sulla rivista di un benemerito organismo missionario cattolico un’espressione messa in bella vista, che così recitava: <<I credenti devono essere aiutati a capire che la Parola e l’Eucarestia vogliono solo dar loro la forza, sull’esempio di Gesù, per un servizio a emarginati e indifesi>>. In quel “solo” c’è intero il virus che determina la decadenza attuale delle Chiese europee: “solo questo, nient’altro che…”. La Parola e i sacramenti servono solo per capire che bisogna impegnarsi per i poveri. Redenzione, salvezza, beatitudine, annuncio del Vangelo non sono menzionati. Sembra che Gesù Cristo sia solo una scusa per parlare d’altro. Un buon uomo che è venuto a dirci come bisogna comportarsi!”
Auspicare che le persone omosessuali vengano accolte (qualcuno ha mai visto una persona respinta da una chiesa italiana perché omosessuale???) senza dire loro che peccano, benedire le veglie “antiomofobia” significa non credere che è il peccato che ti fa male, ti rende infelice qui e ti porta alla dannazione eterna. Le veglie servono a dire proprio il contrario, e cioè che se una persona omosessuale soffre è per colpa della gente che la giudica, quando invece nessuno più giudica nessuno, e anzi, se c’è un pregiudizio è positivo. L’infelicità viene solo e sempre dal peccato. Chi è in grazia di Dio è felice, anche nel dolore.
Se possiamo ammettere che la Chiesa in passato abbia messo troppo l’accento sul tema della sessualità, non possiamo certo negare che adesso ci sia addirittura una sorta di nevrosi nei confronti dei peccati legati alla ricchezza (per non parlare del tema ecologia), mentre quelli della sfera affettiva non contano più niente, quando invece i due ambiti sono entrambi parimenti fondanti della persona umana. Oggi non importa con chi vai a letto, basta che aiuti i poveri.
Classifiche di peccati a parte – ognuno conosce i suoi – la persona viene salvata e redenta da Cristo solamente, che è “padre perché dà la vita, muore per noi, porta sulla croce i nostri peccati”, scrive Forlai. In lui dunque è il fondamento dell’autorità dell’abate, e dovrebbe esserlo anche di quella dei pastori, che invece sembrano voler essere più amici che padri, e dare le pacche sulle spalle. Fanno come un chirurgo che davanti al paziente col tumore dice “non ti taglio sennò ti faccio male” (copyright don Fabio Rosini).
Però i tumori prima bisogna diagnosticarli. Il problema è che peccati pare non ne esistano più “e sono diluiti in psicologismi di vario genere: ferite, difetti, etc. La conversione è per i fanatici o i folgorati, non più percepita come appello ordinario per il battezzato. Non ci si rende conto di quanto sia degradante ridurre tutto a condizionamento psichico o sociale: dov’è la grandezza della libertà e della responsabilità umana?… Come sarebbe bello nella Chiesa poter ripristinare – per chi lo desiderasse – dei percorsi penitenziali graduali e misurati, ove chi non ha remore nel confessarsi peccatore possa ritessere il tessuto di una vita evangelica bella e buona, e arrivare dove può con la grazia di Dio!”
Pastori, l’appello è per voi: richiamate i nostri cuori di peccatori alla grandezza, altro che veglie antiomofobia!!!!
