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sabato 11 ottobre 2025

Papa Leone: “Chi sostiene la pena di morte non è pro-life”. Non è fede, ma geopolitica: ecco perché. Testo e VIDEO

Riceviamo e pubblichiamo.
"L’abolizionismo vaticano contemporaneo circa la pena di morte non nasce dal Vangelo né dalla Tradizione cattolica, ma da una combinazione di teologia progressista e pressioni politiche europee".
QUI il video.
Luigi C.


This is the Italian translation of the article published in The European Conservative, October 8, 2025.

Lo scorso 30 settembre, Papa Prevost, uscendo da Castel Gandolfo, ha dedicato un po’ di tempo ai giornalisti che erano accorsi per fargli qualche domanda. Una giornalista americana ha chiesto un’opinione circa la recente scelta da parte del cardinale Blase Cupich, arcivescovo di Chicago, di conferire il “Rerum Novarum Award” alla carriera al senatore democratico Dick Durbin, “cattolico” dichiarato ma noto per il suo sostegno legislativo all’aborto.
Durbin ha sostenuto per decenni politiche pro-choice, votando a favore di misure che facilitano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Per questo motivo, dal 2004 gli è stato vietato ricevere la comunione nella diocesi di Springfield, Illinois.
Cupich ha motivato il riconoscimento citando il contributo di Durbin in altri ambiti, come l’immigrazione e l’aiuto ai poveri, sostenendo che la dottrina cattolica “non si riduce a un solo tema, neppure all’aborto”. Siamo sicuri, tuttavia, che la politica di Durbin su quelle altre tematiche sia in linea con la dottrina sociale della Chiesa?

Ad onor del vero, la decisione ha suscitato forti critiche anche da parte di altri vescovi cattolici americani, come mons. Cordileone (San Francisco) e mons. Conley (Lincoln), che hanno espresso pubblicamente sconcerto e indignazione.

Si consideri che Cupich è un esponente di spicco dell’episcopato progressista statunitense, il quale è storicamente noto per essere a maggioranza conservatrice o al più moderata. La sua nomina a Chicago da parte di Papa Francesco segnò l’inizio di una strategia ben mirata: indebolire l’asse conservatore e riorientare l’episcopato USA verso una visione più pastorale e sociale.

La teologia del popolo, a cui Francesco era profondamente legato, lo portava a guardare con sospetto le strutture ecclesiali troppo gerarchiche o legate a forme di sovvenzionamento indipendenti dallo Stato — caratteristiche che contraddistinguono il cattolicesimo statunitense. In questo quadro, Cupich diventò il simbolo di un nuovo paradigma: meno dottrinale, più inclusivo, più statalista, più attento alle “periferie” e ai “processi storici” che emergono dal basso.

Papa Leone, sollecitato dunque dalla domanda, ha detto, subito dopo un primo evidente momento di imbarazzo: “Non conosco molto bene questo caso particolare. Penso che sia molto importante considerare il lavoro complessivo che un senatore ha svolto durante i suoi 40 anni di servizio nel Senato degli Stati Uniti. Comprendo le difficoltà e le tensioni, ma credo — come ho già detto in passato — che sia importante guardare a molte questioni legate all’insegnamento della Chiesa. Qualcuno che dice: ‘Sono contrario all’aborto ma favorevole alla pena di morte’, non è davvero pro-life. Allo stesso modo, qualcuno che dice: ‘Sono contrario all’aborto ma d’accordo con il trattamento disumano degli immigrati’, non so se possa definirsi pro-life. Sono questioni molto complesse. Non so se qualcuno possieda tutta la verità su di esse.”

La risposta ha suscitato comprensibilmente molta delusione e persino indignazione nel mondo cattolico. Primo, perché il Papa, benché abbia dichiarato di non conoscere nei dettagli la vicenda, tuttavia ha ripetuto più o meno le stesse parole di Cupich, quando gli è stato chiesto di motivare la sua scelta di premiare Durbin. Questo fa pensare.

Secondo, perché il Papa ha proferito un vero e proprio sofisma, che, tra l’altro, contraddice duemila anni di dottrina cattolica. Certo lo ha fatto come dottore privato (le interviste non rientrano nel Magistero pontificio), ma è pur sempre una contraddizione. Questa frase, onestamente, potremmo aspettarcela dall’uomo medio al bar, non dal Pontefice. Il Papa dovrebbe confermare i fratelli nella fede, non confonderli con pseudo-verità che tradiscono secoli di dottrina cattolica.

L’aborto e la pena capitale non sono paragonabili, indipendentemente dalle posizioni che si ha su ciascuno. L’aborto sopprime una vita innocente, senza alcun riferimento al suo stato morale. La pena capitale, invece, interviene sulla vita di chi è ritenuto colpevole, come atto estremo della giustizia pubblica. Confondere i due fatti significa ignorare la differenza non solo tra l’innocente e il reo, ma anche tra la vita privata e la responsabilità pubblica.

L’affermazione di Leone non deve però stupirci: egli si è fatto portavoce della corrente abolizionista che, almeno in Europa, è maggioritaria nel basso e nell’alto clero. Ciò che dovremmo piuttosto chiederci è: perché il Papa contraddice così apertamente duemila anni di dottrina cattolica? Alla radice di questa tutto sommato recente sterzata dell’Autorità cattolica verso l’abolizionismo e verso la nuova idea — anomala per la tradizione teologica — secondo cui la dignità dell’uomo sarebbe “infinita”, non vi è soltanto una deriva progressista di matrice teologico-massonica, ma anche esigenze di natura geopolitica.

Il problema emerge chiaramente anche nel cosiddetto ecumenismo: un dialogo interreligioso che, in ambito vaticano, è un pallino fisso che si è trasformato nell’idea per cui tutte le religioni sarebbero ugualmente valide come vie verso Dio. A guidare questo approccio non è tanto l’amore della verità, quanto la ricerca della pace sociale: solo il pluralismo religioso imposto garantirebbe la pace. Anche questa logica contraddice secoli di insegnamento cristiano, secondo cui la vera pace sociale può nascere solo dall’instaurazione della regalità sociale di Cristo.

Sarebbe però ingenuo pensare che queste derive siano solo teologiche.

Non dimentichiamo che il Vaticano si trova nel cuore dell’Europa e che i suoi rapporti con l’Unione Europea non sono marginali: esiste una missione diplomatica permanente presso l’UE, con dialoghi continui su migrazione, bioetica, ambiente, diritti umani.

Bruxelles, però, ha fatto dell’abolizionismo della pena di morte un pilastro identitario: nessuno Stato può entrare nell’Unione se non abolisce o almeno sospende l’applicazione della pena capitale, come dimostrano i negoziati con Serbia e Turchia. È un principio scolpito nella Carta europea dei diritti fondamentali e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

In questo contesto, non è difficile capire come la Santa Sede, pur non essendo formalmente vincolata, subisca una pressione culturale e diplomatica costante. Continuare a ribadire l’insegnamento tradizionale — ossia che la pena capitale, in casi circoscritti, è secondo diritto divino e naturale, come affermava il Catechismo del Concilio di Trento — significherebbe entrare in rotta di collisione con il paradigma giuridico e morale dell’Europa.

La svolta abolizionista intrapresa da Papa Francesco e da Papa Leone XIV riflette non solo motivazioni teologiche, ma anche il posizionamento strategico del Vaticano all’interno di un contesto europeo che considera la pena capitale una barbarie. In un clima del genere, opporsi significa rischiare l’isolamento diplomatico. Non dimentichiamo il peso esercitato in Vaticano dalla Segreteria di Stato — una forza che rivaleggia con quella del Papa stesso.

Ecco allora il vero punto: l’abolizionismo vaticano contemporaneo non nasce dal Vangelo o dalla Tradizione cattolica, ma da una miscela di teologia progressista e conformismo politico europeo. Il risultato è una Chiesa che, invece di essere maestra, finisce per diventare l’eco delle agende delle grandi istituzioni politiche sovranazionali.

Papa Leone XIV è percepito come enigmatico perché progressisti e conservatori proiettano su di lui aspettative opposte, dopo dodici anni di governo ecclesiale segnato da autoritarismo e strategie divisive. Tuttavia, Leone XIV non è né rivoluzionario né restauratore: è stato eletto per mantenere la coesione della Chiesa in un momento di tensioni e scismi più o meno latenti.

Pur ammirando sinceramente le idee di Papa Francesco, Leone XIV ne ha rifiutato il metodo, giudicato troppo impulsivo e autoritario. Il suo stile è invece flemmatico, prudente, delegante: affida molte decisioni alla Segreteria di Stato (vedi recente caso cinese), e adotta una strategia di equilibrio tra opposti, come dimostrano le recenti nomine per il Dicastero per i Vescovi. Alla luce anche di questo quadro, è comprensibile che Prevost non cercherà mai di opporsi alla linea abolizionista e politicamente conformista della Chiesa contemporanea.

Gaetano Masciullo