Non è solo un documento tecnico. Il motu proprio Coniuncta Cura (vedi già MiL qui) è il primo gesto politico di Leone XIV. Un gesto ponderato, giuridicamente misurato, ma carico di significato: segna la fine del centralismo economico di impronta peronista che aveva caratterizzato gli ultimi anni del pontificato di Bergoglio. Tutto inizia nel 2022, con il Rescriptum ex Audientia, quando la Santa Sede aveva concentrato ogni competenza finanziaria nelle mani dello IOR, cancellando di fatto l’autonomia dell’APSA e riducendo il Comitato per gli Investimenti a ruolo consultivo. L’argomento era la trasparenza, ma l’effetto reale fu la verticalizzazione del potere economico: un modello che risponderà più alla logica politica argentina del comando per diffidenza che alla tradizione di equilibrio romano tra carismi e competenze. Con Coniuncta Cura Leone XIV – nel segno dell’unità annunciata nel giorno della sua proclamazione – smonta quel meccanismo con chirurgia istituzionale, restituendo respiro e fiducia alla Curia Romana. Non si può governare contro di essa.
La nuova architettura tra poteri
Il documento ripristina una distinzione funzionale che è anche una forma di controllo reciproco: l’APSA torna ad essere la cassaforte e la mente patrimoniale della Santa Sede; lo IOR rimane il braccio operativo, incaricato di gestire, ma non di decidere “sua auctoritate agere”; il Comitato per gli Investimenti, infine, diventa il sistema di vigilanza e di orientamento strategico, con il potere di autorizzare l’uso di intermediari esteri quando lo ritiene più efficiente o conveniente. È un triangolo di checks and balances, un’architettura che introduce nel cuore finanziario del Vaticano una cultura della corresponsabilità controllata, mutuata dai migliori modelli anglosassoni di governance. O se vogliamo, un approccio dettato dal pragmatismo americano di Leone che chiude l’epoca delle catene di comando per aprire a quella dei circuiti di fiducia.
Cosa cambia nella pratica
Oltre all’inserimento del principio di responsabilità condivisa tra APSA, IOR e Comitato, l’effetto concreto del motu proprio è duplice: da un lato, maggiore flessibilità di mercato; dall’altro, maggiore trasparenza procedurale. La Santa Sede potrà ora aprire conti di custodia presso istituzioni estere regolamentate (banche depositarie, gestori, fondi specializzati). Ottenere accesso a strumenti di diversificazione del rischio (asset class, valute, duration, strategie difensive). Definire mandati di gestione etica con criteri coerenti con la Dottrina sociale della Chiesa, ma tecnicamente competitivi. La politica di investimento – ed è questa la silenziosa rivoluzione avviata – diventerà così il nuovo baricentro normativo: conterrà i criteri morali, i limiti di rischio, requisiti cattolici che potranno anche modificare i classici ESG in un “ESG cattolico”. Fondato cioè – non solo su criteri ambientali, sociali e di governance –, ma sulla visione antropologica e morale della Dottrina sociale della Chiesa.
Un doppio segnale politico
Questo equilibrio tra APSA, IOR e Comitato non è neutrale. Dietro quella che può sembrare una scelta meramente tecnica, dettata dalla necessità di efficientamento dell’organizzazione vaticana, in realtà rappresenta un messaggio doppio: ad intra e ad extra. All’interno, significa che la Curia torna soggetto attivo. Leone XIV restituisce alle Congregazioni e ai Dicasteri quella dignità amministrativa che il centralismo economico di Francesco aveva svuotato. Non più sudditi finanziari dello IOR, ma partner di una gestione comune. Insomma, un modo per dire che la Chiesa universale si amministra insieme, non per decreto.
All’esterno, è un segnale di credibilità verso gli Stati Uniti e i centri finanziari internazionali.
Per gli americani contano due cose: la solidità economica e la capacità tecnologica, cioè la trasparenza, la tracciabilità e la modernità dei sistemi di gestione. Un Vaticano che mostra di sapersi riformare con logica economica e strumenti moderni appare più serio, affidabile e bancabile agli occhi dei mercati. Dietro le quinte, Coniuncta Cura è anche un messaggio alla finanza globale. Quasi a dire: Abbiamo imparato le vostre regole, ma non vendiamo la nostra anima.
Una riforma necessaria: ciò che avevamo già previsto
Una svolta, questa di Coniuncta Cura, che non arriva dal nulla. Già nel luglio 2024, nel nostro articolo “Finanze vaticane: se l’APSA batte cassa e lo IOR fa il gioco delle tre carte”, avevamo segnalato il nodo irrisolto: la tensione tra una APSA depotenziata, costretta a mendicare liquidità per le spese ordinarie, e uno IOR divenuto arbitro assoluto della liquidità curiale.
Pochi mesi dopo, il 5 dicembre 2024, in “Lo IOR si autoproclama modello d’investimento cattolico” si analizzavano le dichiarazioni del presidente Jean-Baptiste de Franssu, che paragonava la finanza cattolica a quella islamica. Era un tentativo di legittimazione culturale, ma anche un segnale di auto-referenzialità, preludio a un isolamento crescente.
Infine, nell’aprile 2025, l’articolo “Qual è la posta in gioco dell’eredità finanziaria di Papa Francesco?”, tracciavamo la fine imminente di un modello accentrato che non riusciva più a gestire la complessità globale dei flussi patrimoniali.
Oggi Coniuncta Cura ne rappresenta l’esito coerente e necessario: la sostituzione del controllo unilaterale con la vigilanza reciproca.
Fine di un’epoca
L’atto di Leone XIV non è un rifiuto del passato, ma la sua maturazione. Il tempo delle purghe e dei commissariamenti potrebbe essere finito, nella speranza che inizi quello della maturità istituzionale. Dopo anni di sorveglianza verticale, il Vaticano riconosce che l’efficienza nasce dall’equilibrio, non dal controllo. E che la credibilità morale della Chiesa non passa solo per la trasparenza, ma per la competenza condivisa di chi amministra beni spirituali e materiali. Con Coniuncta Cura il Papa restituisce alla Curia il fiato che le era mancato, e al tempo stesso la responsabilità di non sprecarlo. Il potere economico vaticano torna plurale, ma vigilato. In un linguaggio più laico, potremmo dire: democrazia e libero mercato arrivano anche nei conti del Vaticano.
Coniuncta Cura si spera che segni la chiusura di un ciclo – quello del dirigismo finanziario introdotto da Francesco nel nome della trasparenza, ma spesso degenerato in immobilismo – e l’apertura di una nuova stagione di collaborazione istituzionale e apertura al mondo.
Non è una controriforma, ma una messa a punto: il ritorno a una razionalità gestionale in cui le istituzioni della Curia tornano a dialogare, a cooperare, a condividere obiettivi economici e pastorali. Papa Leone non cambia i principi di moralità e prudenza economica ma nel segno dell’unità li traduce in metodo, restituendo all’APSA e al Comitato per gli Investimenti quella “cura congiunta” – quella cura condivisa – che dà appunto il titolo al documento.
Roberto Manzi – Author | PhD, Communication Sciences | Lic. Theology

Con tutte queste sigle non ci raccapezziamo, potreste mettere in fondo ll'articolo una Legenda per sapere cosa vogliano dire? Se possibile, altrimenti pazienza.Elle
RispondiElimina"Segna la fine del centralismo economico di impronta peronista che aveva caratterizzato gli ultimi anni del pontificato di Bergoglio." Ma scusate, prima, con gli altri papi, cosa c'era?
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