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venerdì 12 settembre 2025

Papa Leone XIV potrebbe adottare un approccio simile a quello del Concilio Vaticano II nei confronti di Traditionis custodes?

Vi proponiamo – in nostra traduzione – l’articolo di Ed Condon, pubblicato il 9 settembre sul sito The Pillar, in cui si analizza la posizione di Papa Leone XIV nei confronti della Santa Messa tradizionale: la considera una questione di liturgia, unità o ecclesiologia?

L.V.


I sostenitori della forma straordinaria della liturgia hanno accolto con favore l’annuncio che la Santa Messa tradizionale sarà celebrata nella Basilica di San Pietro in Vaticano nell’ambito dell’annuale Peregrinatio ad Petri Sedem a Roma nel mese di ottobre.

La Santa Messa, che dovrebbe essere celebrata secondo il Missale Romanum del 1962, sarà la prima volta che tale rubrica viene utilizzata nella Basilica di San Pietro in Vaticano e in relazione all’evento annuale dal 2021, anno in cui papa Francesco ha emanato la lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes sull’uso dei libri liturgici anteriori alla riforma del Concilio Vaticano II, che limita fortemente la celebrazione della forma tradizionale della liturgia.

La potenziale semiotica papale dell’evento, che ha richiesto l’approvazione personale di Papa Leone XIV, è interessante. Il significato di consentire il ritorno della Santa Messa tradizionale all’Altare della Cattedra della basilica più visibile a livello mondiale della Chiesa può essere discusso, ma non negato.

Sebbene una Santa Messa tradizionale, già programmata, sia stata autorizzata subito dopo la pubblicazione della lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes, da allora non sono state consentite celebrazioni simili, anche se il Pellegrinaggio Summorum Pontificum del 2022 ha previsto i Vespri presieduti dal card. Matteo Zuppi, Arcivescovo metropolita di Bologna, Presidente della Conferenza episcopale italiana e stretto collaboratore di papa Francesco. E sotto il mandato del card. Mauro Gambetti O.F.M.Conv., attuale Arciprete della Basilica di San Pietro in Vaticano, anche la celebrazione della forma ordinaria della liturgia nella Basilica è stata severamente vietata.

Ma se la decisione di autorizzare nuovamente l’uso della liturgia tradizionale nel luogo più importante della Chiesa segnala una nuova apertura nei confronti dei tradizionalisti liturgici sotto Papa Leone XIV, come potrebbe influire sulla Chiesa in generale?

La risposta potrebbe dipendere da come, esattamente, Papa Leone XIV vede la questione della forma straordinaria: è una questione di liturgia, di unità o di ecclesiologia?

Le preferenze liturgiche personali di Papa Leone XIV rimangono un argomento comune di speculazione tra gli osservatori del Vaticano.

Egli, almeno rispetto al suo immediato predecessore, sembra aver dimostrato un certo apprezzamento per gli aspetti più tradizionali della cerimonia liturgica papale, mostrando al contempo un evidente e profondo investimento spirituale personale nella celebrazione eucaristica, commuovendosi visibilmente durante alcune liturgie.

Allo stesso tempo, mentre in alcuni ambienti sono circolate voci e testimonianze di seconda mano secondo cui il card. Robert Francis Prevost O.S.A., in qualità di Vescovo di Chiclayo (Perù), avrebbe celebrato la Santa Messa tradizionale, non sono emerse notizie certe che lo confermino.

Piuttosto, i sacerdoti e i laici che lo conoscevano bene e hanno lavorato a stretto contatto con lui durante il suo periodo come Vescovo in Perù riferiscono che era liturgicamente meticoloso, con un vivo interesse per la riverenza e la conformità alle rubriche, ma non ideologico. In breve, un Vescovo impegnato a «dire il nero, fare il rosso».

I sacerdoti della sua ex Diocesi di Chiclayo ricordano sia l’insistenza di Papa Leone XIV sulla corretta celebrazione della Messa, sia la sua pazienza e il suo approccio pastorale nel correggere gli eccessi e gli abusi quando li incontrava.

Se questo è un riflesso accurato dell’atteggiamento di Papa Leone XIV, sarebbe logico che un appello per un evento come il Pellegrinaggio Summorum Pontificum potesse trovare il suo favore, presentato come un gruppo motivato principalmente dalla sincerità della devozione a una forma di culto divino, piuttosto che dalla liturgia come veicolo di politica ecclesiastica.

Allo stesso modo, Papa Leone XIV ha trascorso i primi mesi del suo Pontificato intrattenendo tutte le parti dello spettro ecclesiastico, con figure così divergenti come il card. Raymond Leo Burke e padre James Martin S.I., ricevendo udienze private e uscendo incoraggiati.

Pertanto, molti hanno previsto un nuovo accordo più inclusivo sulla celebrazione della forma straordinaria, che rimane strettamente limitata, con alcuni che vedono la notizia della Santa Messa tradizionale di ottobre nella Basilica di San Pietro in Vaticano come un segnale di ciò che verrà.

Ma quale forma potrebbe assumere un nuovo accordo di questo tipo?

Finora, Papa Leone XIV ha evitato grandi innovazioni proprie o revisioni delle disposizioni del suo predecessore. E, sebbene alcuni commentatori si aspettino l’eventuale presentazione di un programma leonino per il governo della Chiesa, rimane altrettanto possibile, se non più probabile, che il Papa sessantanovenne possa invece optare per un Pontificato lungo e più graduale, caratterizzato da uno sviluppo incrementale e organico.

In tal caso, un cambiamento canonico importante alla lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes sembra improbabile, almeno nel medio termine, e ancor più improbabile è una revoca totale auspicata da alcuni. Ma la legge attuale potrebbe essere sostanzialmente modificata nella sua applicazione con un intervento papale formale minimo e con esempi di azione che lo accompagnino, come la Santa Messa tradizionale di ottobre.

Date le rigorose restrizioni della lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes e le istruzioni ancora più prescrittive del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti sulla sua attuazione – che arriva fino a regolamentare la pubblicazione degli orari delle Sante Messe tradizionali nei bollettini parrocchiali – la maggior parte degli osservatori concorda sul fatto che la legge attuale può essere applicata solo così com’è scritta, con un esercizio concertato di volontà da parte del Vaticano.

Le prime indicazioni suggeriscono che tale volontà di applicare la legge stia diminuendo, se non addirittura venendo meno.

Mentre ad alcune Diocesi sono state concesse dispense iniziali dalle norme della lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes per un periodo di transizione di due anni, sotto papa Francesco era stato dato per scontato che non sarebbero state concesse ulteriori proroghe. Già sotto Papa Leone XIV, tuttavia, il Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha iniziato a prorogare tali dispense e persino a prenderne in considerazione di nuove, per altri due anni.

La forma più probabile che potrebbe assumere qualsiasi nuovo accordo sulla Santa Messa tradizionale è semplicemente quella di far capire che il Dicastero ha adottato una nuova prassi di dispensare le Diocesi dalla lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes ogni volta che viene richiesto, mantenendo il controllo formale del Vaticano sulla forma straordinaria ovunque, ma liberalizzandone di fatto l’applicazione.

Tuttavia, è probabile che tale nuovo accordo sarebbe accolto con favore solo in misura limitata dai fedeli laici devoti alla Santa Messa tradizionale e dai Vescovi loro simpatizzanti.

In Diocesi come Charlotte e Detroit, entrambe interessate negli ultimi mesi da nuove misure e decreti dei Vescovi locali che chiariscono che la lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes sarà applicata in tutta la sua forza, i Cattolici liturgicamente tradizionali trarranno probabilmente scarso incoraggiamento da eventi come la Santa Messa tradizionale di ottobre nella Basilica di San Pietro in Vaticano e magra consolazione dalla dispensa concessa alle comunità di altre località.

D’altra parte, alcuni gruppi, anche se beneficiano direttamente di una rinnovata dispensa, sembrano intenzionati a spingere con più forza per una revisione più completa delle restrizioni di papa Francesco, sostenendo che la lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes è stata presentata sulla falsa premessa che i Vescovi del mondo considerassero le comunità della Santa Messa tradizionale teologicamente sovversive e pastoralmente divisive.

Per avere peso davanti al Papa, tuttavia, tale argomento dovrebbe probabilmente essere formulato come un sincero desiderio di soddisfare un’autentica devozione liturgica – come senza dubbio è per tante comunità – e prendere efficacemente le distanze dalle voci marginali ma spesso prominenti all’interno del movimento tradizionalista che associano apertamente la vecchia liturgia a una forma di culto «più valida» o addirittura singolarmente efficace rispetto alla forma ordinaria della liturgia.

Finché tali voci scettiche nei confronti del Concilio Vaticano II potranno essere identificate dai difensori della lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes, sembra improbabile che si concretizzi qualsiasi abrogazione formale delle sue norme.

A parte coloro che sono direttamente interessati dalle sue disposizioni, tuttavia, la lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes ha avuto molti critici da quelle che altrimenti potrebbero essere definite le sezioni liturgicamente centristi o moderate della Chiesa.

Le obiezioni sollevate da questi ambienti riguardavano meno i meriti e le critiche alla forma straordinaria e ai suoi aderenti e più l’ecclesiologia del motu proprio, che sembrava minare direttamente gli insegnamenti del Concilio Vaticano II che avrebbe dovuto difendere.

Come è stato osservato all’epoca, sebbene le norme della lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes fossero severe e in alcuni punti controverse, esse erano anche soggette all’autorità generale dei Vescovi diocesani locali, che potevano dispensarle come ritenevano opportuno per i fedeli affidati alla loro cura.

Questo potere, soprattutto per quanto riguarda la liturgia, affonda le sue radici nella comprensione dell’ufficio del Vescovo così come articolato nel Concilio Vaticano II, in particolare nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, che insegnava che «Ad essi [vescovi] è pienamente affidato l’ufficio pastorale ossia l’abituale e quotidiana cura del loro gregge».

Spiegando che i Vescovi locali sono successori degli Apostoli a pieno titolo, il Concilio Vaticano II insegnava che i Vescovi non «devono essere considerati vicari dei romani Pontefici, perché sono rivestiti di autorità propria».

Questa ecclesiologia si rifletteva nel testo stesso della lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes, che affermava che «è sua esclusiva competenza autorizzare l’uso del Missale Romanum del 1962 nella diocesi, seguendo gli orientamenti dalla Sede Apostolica». Ma questa «esclusiva competenza» è stata poi esplicitamente revocata dal Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti in una serie di rescritti approvati da papa Francesco (QUI).

Il ripristino della giusta autorità e discrezionalità dei Vescovi diocesani richiederebbe solo la revoca delle disposizioni di questi rescritti separati, rendendola un’opzione a medio termine aperta a Papa Leone XIV che potrebbe radicalmente ripristinare l’attuazione delle norme dell’era di papa Francesco senza toccare effettivamente lo status giuridico della stessa lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes.

Una tale riforma potrebbe anche essere presentata meno come un intervento papale diretto nelle guerre liturgiche e più come una mossa per rafforzare e salvaguardare l’eredità del Concilio Vaticano II stesso.

Naturalmente, mentre la decisione di Papa Leone XIV di affrontare direttamente o meno lo status della forma straordinaria rimane attesa con grande interesse, nella Chiesa rimangono senza risposta questioni più ampie riguardanti la liturgia e l’autorità.

Parallelamente all’attuazione delle norme della lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes, diversi Vescovi statunitensi hanno deciso di emanare nuove e talvolta drastiche restrizioni alla celebrazione della forma ordinaria della liturgia.

Tali politiche episcopali locali hanno incluso il divieto di celebrare la forma ordinaria ad orientem o in latino, la soppressione di pratiche pie come la recita della Preghiera a San Michele arcangelo dopo la Messa, la regolamentazione dell’inginocchiarsi durante la consacrazione e la ricezione della Comunione in ginocchio o sulla lingua, anche quando queste sono esplicitamente consentite come scelte legittime nell’Ordinamento generale del Messale Romano.

Allo stesso tempo, alcuni Vescovi hanno portato avanti pratiche liturgiche che sembrano andare contro sia il sentimento popolare locale sia le linee guida delle Conferenze episcopali locali, come il recente obbligo imposto dal Vescovo di Charlotte di utilizzare schermi nelle Messe celebrate nella cappella di una scuola.

Molti Cattolici hanno a lungo percepito la disciplina liturgica e le priorità del Vaticano come asimmetriche, per caso o per scelta. E a molti osservatori non sembra probabile, né tantomeno possibile, una pace duratura nelle guerre liturgiche, fintanto che gli unici risultati possibili sono visti come una vittoria totale per l’una o l’altra parte.

In questo senso, Papa Leone XIV ha una finestra di opportunità più ampia con cui lavorare, che potrebbe adattarsi a un approccio graduale e moderato alla governance e andare bene a un uomo con la reputazione di preferire la riverenza e la precisione liturgica.

Se Papa Leone XIV optasse per un duplice approccio alla situazione attuale, ridimensionando silenziosamente l’eccessiva ingerenza romana sulla Santa Messa tradizionale nel breve termine, mentre orienta gli sforzi e l’attenzione del Vaticano verso una più ampia riverenza liturgica all’interno delle alternative approvate, potrebbe forse compiere progressi reali verso l’armonia, in contrapposizione all’uniformità.

Se lo facesse in modo concertato nel corso del prossimo decennio e mezzo, un periodo di cambiamento demografico nella leadership della Chiesa, Papa Leone XIV potrebbe anche fare di più per consolidare l’eredità liturgica ed ecclesiologica del Concilio Vaticano II rispetto a qualsiasi dei suoi immediati predecessori.

3 commenti:

  1. Una certa uniformità nel "sentirsi" cattolici e' stata strappata in un decennio... Ricucire i lembi di questa unità richiederà tempo e forse non e' nemmeno così auspicabile. Forse serve un'azione piu' radicale. Un nuovo concilio sarebbe così improponibile?

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  2. una bella gatta da pelare, comunque la celebrazione in Vaticano deve essere vista con estremo favore e bisognerebbe togliere la libertà di parola a quei criticoni che non parteciperanno al pellegrinaggio Summorum Pontificum 2025

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  3. SPERIAMO DAVVERO. HO FIDUCIA IN LEONE XIV.

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