Vi proponiamo l’articolo pubblicato il 12 settembre sul quotidiano Avvenire, in cui Giacomo Gambassi intervista il card. Robert Sarah, Prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.
Il colloquio si sviluppa su molti temi:
- la sinodalità, che va «approfondita e chiarita. Forse andrebbe teologicamente sostanziata con la nozione di comunione, molto più antica e ricca, anche per evitare derive ideologiche»;
- la Santa Messa tradizionale, ed è «una grande ricchezza la varietà dei riti nel mondo cattolico. […] Mi chiedo se si possa “vietare” un rito ultramillenario»;
- la benedizione delle coppie omosessuali: la dichiarazione Fiducia supplicans «è teologicamente debole e quindi ingiustificata. Mette in pericolo l’unità della Chiesa. È un documento da dimenticare»;
- la mozzetta del Papa: «Non comprendo il clamore suscitato da questa scelta. La mozzetta è un segno che indica la giurisdizione del Papa»; e
- l’Africa, che può «offrire quella freschezza di fede, quella genuinità e quell’entusiasmo che talvolta non emergono in Occidente».
L.V.
Racconta di aver avuto «il privilegio di conoscere e collaborare con alcuni santi: penso a Santa Teresa di Calcutta o a San Giovanni Paolo II. Poi con gli ultimi Papi: Benedetto XVI e Francesco. E oggi guardo con grande fiducia a Papa Leone XIV». Il card. Robert Sarah ha lo stesso nome del nuovo Pontefice. Dieci anni la differenza d’età fra i due: il primo Papa d’origine statunitense festeggia domenica settant’anni; il Prefetto emerito del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ne ha compiuti ottanta a metà giugno. In tempo per entrare nel Conclave che ha eletto il card. Robert Francis Prevost O.S.A. al soglio di Pietro. «Papa Leone XIV – spiega al quotidiano Avvenire il porporato nato in Guinea, commentando i primi quattro mesi di Pontificato – sta facendo riemergere l’irrinunciabile centralità di Cristo, l’evangelica consapevolezza che “senza di Lui non possiamo fare nulla”: né costruire la pace, né edificare la Chiesa, né salvare la nostra anima. Inoltre mi sembra abbia un’intelligente attenzione al mondo, in spirito di ascolto e di dialogo, sempre con un’avveduta considerazione della Tradizione». E subito aggiunge: «La Tradizione è come un motore della storia: sia della storia in generale, sia di quella della Chiesa. Senza Tradizione vivente che permette la trasmissione della Divina Rivelazione, non potrebbe esistere la Chiesa stessa. Tutto ciò è in perfetta continuità con gli insegnamenti del Concilio Vaticano II». Guai, perciò, a leggere l’impostazione di Papa Leone XIV partendo, ad esempio, dalla mozzetta che il nuovo Pontefice ha indossato fin da subito e che è stata al centro di commenti dentro e fuori i confini ecclesiali. «Non comprendo il clamore suscitato da questa scelta – taglia corto il card. Sarah –. La mozzetta è un segno che indica la giurisdizione del Papa, ma anche dei Vescovi. Forse il clamore è stato dettato dal fatto che papa Francesco non l’aveva indossata il giorno dell’elezione. Ma non mi sembra un valido motivo per una tale meraviglia».
È una berretta che unisce il Nord e il Sud del mondo quella del card. Robert Sarah. Le radici del porporato sono in Africa dove diventa prete e dove viene nominato Arcivescovo; poi l’approdo nella Curia Romana: San Giovanni Paolo II lo vuole Segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli; Papa Benedetto XVI lo designa Presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum” e lo crea Cardinale; papa Francesco lo nomina Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Incarico che ricopre fino al 2021. Dopo l’elezione di Papa Leone XIV, ha avuto una vasta eco la decisione del Papa di nominarlo suo inviato speciale a presiedere le celebrazioni liturgiche che si sono tenute alla fine di luglio presso il Sanctuaire de Sainte-Anne di Sainte-Anne-d’Auray (in Francia), in occasione del 400º anniversario delle apparizioni di Sant’Anna. «Credo che ogni giorno non manchino notizie a cui è necessario e giusto dare risalto. E tra queste non c’è certamente quella che mi riguarda», sottolinea il card. Sarah.
Eminenza, Papa Leone XIV fa spesso riferimento all’unità della Chiesa. È un’urgenza?
C’è bisogno di superare un approccio ideologico che ha promosso due visioni della Chiesa che si alimentano l’una contro l’altra. Da una parte, c’è chi vorrebbe cancellare e rinnegare la Tradizione in nome di un’apertura-assimilazione incondizionata al mondo e ai suoi criteri di giudizio. Dall’altra, c’è chi considera la Tradizione come qualcosa di cristallizzato e mummificato che si sottrae a ogni processo fecondo della storia. La missione della Chiesa è unica e come tale occorre che sia adempiuta in pieno spirito di comunione. Diversi sono i carismi, ma la missione è una sola e presuppone la comunione.
Papa Leone XIV chiede di annunciare «Cristo con chiarezza e immensa carità». C’è un annuncio «debole» oggi?
L’annuncio è sempre lo stesso e non può essere altrimenti. L’uomo abbandona la Chiesa, o la fede quando si dimentica di se stesso, quando censura le proprie domande fondamentali. La Chiesa non ha mai abbandonato e mai abbandonerà l’uomo. Alcuni Cristiani, a ogni grado della gerarchia, possono aver abbandonato gli uomini ogni volta che non sono stati se stessi, cioè ogni volta che si sono vergognati di Cristo, tacendo la ragione del proprio essere cristiani e riducendo la pastorale a promozione sociale.
Il suo ultimo libro si intitola Dio esiste? (Edizioni Cantagalli, pagine 312, 25 euro). L’Occidente ha smarrito il senso del trascendente?
In Occidente è ormai prevalsa l’idea che si possa fare a meno di Dio. Questa è l’epoca in cui l’uomo stesso, che ha detronizzato Dio, si siede al suo posto creando un nuovo ordine delle cose, il quale evidentemente nega quello creato da Dio che può essere riconosciuto anche da chi non crede in Dio. Etsi Deus daretur («vivere come se Dio esistesse»): questo è l’invito che Papa Benedetto XVI, all’inizio del suo Pontificato, rivolgeva a tutti, credenti e non credenti. L’Occidente ignora, o finge di ignorare, la presenza di Dio nel mondo, il Verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi.
Perché ha scelto di scrivere un volume rispondendo alle domande su Dio che le ha posto Edizioni Cantagalli?
Dio è diventato un estraneo nella nostra vita e il suo posto è stato occupato da idoli di ogni genere. L’uomo contemporaneo sembra addirittura aver rinunciato a cercare un senso alla propria esistenza: alla vita, alla morte, alla gioia, alla sofferenza. Tutto pare iniziare per caso; vivere, durare e finire per caso. I nuovi idoli sono essi stessi figli del caso: il successo, la ricchezza, il potere, il possesso delle cose e, perfino, delle persone. Ma Dio non è un’idea, non è una convinzione personale vagamente razionale o emotiva. Dio è una certezza: la certezza che il Figlio dell’uomo è realmente esistito e abita ancora in mezzo a noi. La verità esiste. L’Incarnazione è avvenuta. Come duemilaventiciqnue anni fa alcuni l’hanno incontrato e riconosciuto, ancora oggi è possibile incontrarlo, riconoscerlo e seguirlo e morire per Lui.
Papa Francesco ha voluto una profonda riforma della Curia Romana. Papa Leone XIV ha detto che la Curia resta, mentre i Papi passano. Come legge queste parole?
La Chiesa è un’istituzione molto articolata e ogni articolazione è fondamentale per portare a compimento la sua missione. In ultima istanza la Chiesa appartiene a Cristo Risorto e il Papa è solo un suo umile servitore. Nello specifico, è stato anche un modo per incoraggiare la Curia Romana a ricucire qualche oggettivo strappo del passato.
La sinodalità è stata al centro del pontificato di papa Francesco. Ed è stata oggetto di uno dei dubia [QUI: N.d.R.]. Che cosa si aspetta?
Ritengo che la dimensione sinodale vada approfondita e chiarita. Forse andrebbe teologicamente sostanziata con la nozione di comunione, molto più antica e ricca, anche per evitare derive ideologiche che contrappongano due ecclesiologie: quella sinodale e quella comunionale. La comunione è un fine; la sinodalità un mezzo, da verificare. La comunione è gerarchica, perché così Gesù ha voluto la sua Chiesa; la sinodalità, come ricordato da Papa Leone XIV, è più uno stile.
Papa Francesco è intervenuto più volte sulla Santa Messa tradizionale, o meglio sull’uso del Missale Romanum del 1962. Serve riavvicinarsi a chi è legato a questa modalità celebrativa?
Nella Chiesa tutti i battezzati hanno cittadinanza, se ne condividono il Credo e la morale conseguente. Nei secoli la diversità di riti celebrativi dell’unico sacrificio eucaristico non ha mai creato problema all’autorità, perché era chiara l’unità della fede. Anzi, ritengo sia una grande ricchezza la varietà dei riti nel mondo cattolico. Un rito, poi, non si compone alla scrivania, ma è il frutto di stratificazione e sedimentazione teologico-cultuale. Mi chiedo se si possa «vietare» un rito ultramillenario. Infine, se la liturgia è una fonte anche per la teologia, come vietare l’accesso alle «fonti antiche»? Sarebbe come vietare lo studio di Sant’Agostino a chi volesse riflettere correttamente sulla grazia o sulla Trinità.
Vari Episcopati hanno espresso perplessità sulla dichiarazione Fiducia supplicans [sul senso pastorale delle benedizioni: N.d.R.], la dichiarazione sulla benedizione delle coppie «irregolari», fra cui quelle dello stesso sesso. Che cosa lei si aspetta adesso?
Mi auguro che si possa chiarire meglio e forse riformulare quanto contenuto nella dichiarazione Fiducia supplicans. La dichiarazione è teologicamente debole e quindi ingiustificata. Mette in pericolo l’unità della Chiesa. È un documento da dimenticare.
I suoi ottanta anni dicono che lei è «ponte» fra i continenti.
Non so se sono un «ponte». Cerco di essere un testimone: un richiamo al Nord «sazio e disperato» e una voce di speranza per il Sud che non ha perso le ragioni del vivere e del morire, del lottare e dell’amare, ma è frenato da problemi anche risolvibili, ma che pare nessuno voglia davvero risolvere per inconfessabili interessi.
Quali momenti ricorda con particolare affetto?
Per un immeritato dono della Provvidenza Divina, la mia via è ricca di molte esperienze che sono andate ben al di là della più fervida immaginazione. Se proprio devo dirle uno dei momenti più belli, certamente la grazia di essere nato in una famiglia cristiana. E poi il dono della vocazione e quello dell’ordinazione sacerdotale. Lì tutto è cambiato. È iniziata una definitiva storia d’amore che non finirà mai e, insieme, un tremendo ma affascinantissimo compito: essere alter Christus e ipse Christus. Con le parole «Questo è il mio Corpo» e «Questo è il mio sangue», il sacerdote vive un’enorme responsabilità e una grazia sempre da rinnovare.
Che cosa l’Africa può portare alla Chiesa universale?
Le Chiese africane possono offrire quella freschezza di fede, quella genuinità e quell’entusiasmo che talvolta non emergono in Occidente. Non dimentichiamo mai l’altissimo prezzo che stanno pagando in termini di martirio violento: esso sarà certamente fecondo, seme di nuovi Cristiani.
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Auguri e figli maschi
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