
Festeggiamo S. Giovanni Bosco il grande santo sociale.
Luigi C.
Don Marco Begato, 29-8-25, Osservatorio Van Thuan
[Questo articolo è tratto dal “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” 1/2025 dedicato a “I Santi sociali”. Invitiamo a vedere l’indice del fascicolo – QUI – e, se ritenuto interessante, ad acquistarne copia scrivendo ad acquisti.ossvanthuan@gmail.com].
Per avvicinarsi alla figura di san Giovanni Bosco e al suo ruolo nel ventaglio dei santi sociali reputo opportuno presentare una ricostruzione biografica e agiografica che ci mostri, seppur con brevissime pennellate, la complessità umana e cristiana del santo torinese, sottraendola per quanto possibile alle letture riduzioniste diffuse nella cultura contemporanea anche ecclesiale, per attingere successivamente da questa complessità gli elementi paradigmatici della sua proposta sociale.
Giovanni Bosco cresce come contadino nei colli astigiani, orfano di padre, educato con semplicità e fermezza dalla madre ai principi del cattolicesimo più tradizionale e popolare. Vincendo i contrasti del fratellastro maggiore, si avvia in ritardo all’istruzione scolastica, per poi rivolgersi risolutamente alla carriera ecclesiastica: al fine di mantenersi negli studi seminariali svolgerà molteplici mansioni servili. Da ragazzo coltiva studi cristiani, accanto a studi classici, e divenuto sacerdote si ferma ancora alcuni anni in seminario approfondendo questioni di morale alfonsiana alla scuola di san Giuseppe Cafasso, suo formatore e confessore. In questi anni, mentre rifiuta incarichi convenzionali per il clero ottocentesco (parroco, precettore, etc.), si interessa sempre più della situazione dei giovani poveri: contadinelli della provincia e delle valli, in situazioni familiari disgraziate, venuti in città per trovare qualche impiego nella nascente Torino industriale.
Don Bosco vede le situazioni di estrema precarietà che riguardano centinaia di ragazzi: ignoranti, fisicamente sfruttati, moralmente degradati, lavorativamente privi di diritti, spiritualmente disorientati. Tanti ne incontra per le strade e nelle botteghe, altrettanti ne avvicina nelle carceri e fino alla forca. Sentendosi intimamente interpellato a intervenire contro tale disagio, dà quindi avvio a un abbozzo di oratorio domenicale itinerante (in data mariana 8 dicembre 1841), radunando qualche decina di ragazzi prima nel chiostro del Convitto Ecclesiastico ove studiava, poi in alcuni spiazzi pubblici (sagrati o prati). Cacciato e allontanato da tutti, a tratti disperando di dar stabilità alla sua impresa, il nostro approderà fortunosamente a una malsicura palazzina di periferia nel quartiere Valdocco.
L’Oratorio di san Giovanni Bosco inizia così, inizia sotto egida mariana e inizia nel rifiuto generale da parte della cittadinanza. Ma infine il progetto avrà successo, e questa sarà e rimarrà l’attività più nota di don Bosco, che trasformerà l’Oratorio da domenicale a quotidiano, facendone in breve un convitto e infine aprendo al suo interno scuole e botteghe di apprendistato. Il modello di Valdocco sarà successivamente replicato in varie zone di Torino, per poi essere esportato – vivente il santo – in Liguria, nel nord e centro Italia, in Francia, Spagna e da ultimo in Argentina.
Per dare continuità a simile impresa don Bosco fonderà una congregazione maschile (i Salesiani di Don Bosco), una femminile (le Figlie di Maria Ausiliatrice), avvierà un gruppo di terziari (i Salesiani Cooperatori), sosterrà il movimento Ex-allievi e coinvolgerà molteplici benefattori. Tutto il suo sistema educativo (detto preventivo), si riduce a una manciata di indicazioni, condensate nell’idea che l’educatore è persona consacrata al bene spirituale e morale della gioventù, e che si educa essenzialmente donando tutto il proprio tempo alla gioventù, che va costantemente affiancata e assistita e proprio così, nella frequentazione esemplare, viene guidata a crescere nel bene.
L’Oratorio è la più nota, ma non l’unica attività in cui si cimenta il nostro santo. Ricordiamo anche il grande lavoro editoriale volto a diffondere la buona stampa cattolica, con funzione di educazione delle masse popolari e con chiara intenzionalità apologetica e anti-moderna (liberali, ebrei e valdesi conoscevano in quelle decadi la liberalizzazione sociale e culturale); e ancora operò de facto come diplomatico nella gestione delle relazioni tra Papato e Regno di Italia, specialmente nella proposta di nomina dei vescovi diocesani.
Già con ciò va emergendo un profilo complesso: strenuo difensore della verità cattolica tradizionale senza sconti, ma al contempo delicato e benvoluto interlocutore fin nei gabinetti dei più aperti anticlericali e massoni. E ancora, parlando di don Bosco non va ignorato il profondo aspetto religioso, che ne fa un mistico e dei più affascinanti: moltiplicazioni, bilocazioni, levitazioni, sogni rivelatori, lotte col demonio, visioni dall’aldilà, premonizioni di fatti storici, annunci profetici e pure la presenza del curioso cane lupo Grigio che per alcuni anni misteriosamente lo difese dagli assalti nemici (sparatorie, aggressioni e agguati sono stati numerosi nella vita del santo). D’altra parte un’analisi di tali prodigi – che qui non abbiamo tempo di svolgere – mostra che essi furono tutti doni messi a diretto servizio del suo sistema educativo o del suo lavoro diplomatico-apologetico. Infine, gli ultimi anni della sua vita furono dedicati a raccogliere offerte per edificare due imponenti chiese: la basilica di Maria Ausiliatrice a Torino (Valdocco) e il santuario del Sacro Cuore a Roma (Termini).
Questo è don Bosco, per fermarci all’essenziale. Evidentemente abbiamo a che fare con una figura di rara ricchezza. Limitare il personaggio all’azione educativa, o all’assistenza sociale è errato. Dipingerlo come un tradizionalista reazionario è inadeguato. Per molti aspetti le sfaccettature della sua esistenza risultano di estremo fascino e interesse ai nostri giorni, considerato che le sfide attorno a noi non sono meno articolate e poliedriche di quelle superate da Giovanni Bosco. Come anticipavo, nel delineare tale profilo ho già introdotto quelli che ritengo gli elementi esemplari che il fondatore dei Salesiani ha offerto e offre alla questione della Dottrina sociale della Chiesa (DSC). Beninteso, don Bosco muore nel 1888 e quindi non farà in tempo a leggere la Rerum Novarum di Leone XIII (1891), enciclica fondativa della DSC in senso proprio, per cui non dobbiamo attenderci un posizionamento formale rispetto a tale disciplina. Ciò, peraltro, nulla toglie al valore della testimonianza sociale di questo grande santo.
In termini generali l’intuizione di don Bosco si pone perfettamente nel solco della più grande e magistrale dottrina fissata da Leone XIII: nell’epocale contrapporsi di tendenze liberali e socialiste la Chiesa si inserisce proponendo non di seguire una delle due correnti, né tantomeno suggerendo di ispirarsi a una qualche forma più o meno rivisitata di quelle, bensì affermando una visione terza, del tutto alternativa alle precedenti, nettamente distinta da esse, fondata su principi propri, autonoma e intrinsecamente degna di attenzione e per se stessa capace di sostituire con efficacia le tendenze predominanti. Detto altrimenti, i cattolici non sono al traino, non copiano, non arrancano; i cattolici, radicati nella vera fede, da essa traggono una posizione originale e completa, antitetica al mondo e a servizio delle anime. Don Bosco in tutto il suo operare mostra di aver perfettamente incarnato tale approccio: né liberale, né conservatore; in dialogo con tutti, ma senza compromessi; attento ai poveri, ma per amore di Cristo e offrendo loro come massima ricchezza il Paradiso.
Andando ora a guardare aspetti più particolari, svilupperò quattro spunti che emergono alla luce della piccola ricostruzione agiografica su delineata.
Primo spunto: la biografia di don Bosco, assunta quale criterio euristico per definire il suo contributo alla Dottrina sociale, mostra anzitutto che la passione sociale del santo non fu mai slegata da un profondo anelito religioso pastorale e da uno sguardo di fede rigorosa. Egli ci insegna che qualsiasi forma di azione sociale è solo una applicazione particolare di un problema più ampio, quello della salvezza dell’umanità ottenuta dal Sacrificio di Gesù Cristo. La questione è tutt’altro che marginale o secondaria. E in effetti una fatica davvero notevole che si intercetta oggigiorno è chiarire quale sia l’orizzonte di senso entro il quale promuovere azioni sociali. L’esito di tale ambiguità, laddove non sia chiaro il fondamento cristiano dell’impresa, è quello di andare a mendicare i principi di riferimento dalla cultura dominante e piegarsi a un agire che di evangelico mantiene poco o nulla. Al contrario è dalla prospettiva di fede che si possono sviluppare adeguatamente le risposte alle grandi sfide, altrimenti il caos prende il sopravvento e le imprese socio-politiche si disperdono nel ginepraio dei vicoli ciechi del mondo contemporaneo.
Secondo spunto: don Bosco è stato un anti-moderno, sebbene si sia sempre mosso con un approccio dialogico, schierandosi in modo consapevole con la posizione del cattolicesimo intransigente. Ciononostante, non ha avuto problemi a dialogare, a confrontarsi e a contrattare con i protagonisti del pensiero liberale coevo. Il dialogo qui va inteso nel senso più tecnico del termine, come strumento di accordo pratico. In nessun caso ciò ha messo don Bosco in condizione di venire a compromesso coi propri ideali. Ne danno testimonianza molteplici episodi. Notoria è la visita che gli rese il Marchese Roberto D’Azeglio, fratello del Presidente del Consiglio, al quale era legato da amicizia. Entusiasta delle attività e dei progetti di Don Bosco, il nobile non comprendeva però il tempo dedicato alla recita del Rosario. Da manuale la risposta del santo: “Questa preghiera è il fondamento di tutta la mia attività. Rinuncerei piuttosto a molte cose importanti e, se fosse necessario anche alla sua preziosa amicizia, ma mai al rosario”.
D’altra parte, proprio dal ministro Rattazzi, membro di quel Governo che sequestrava conventi espropriando monaci e monache, don Bosco ottenne di fondare la propria Congregazione.
E ancora, da un lato una delle sue prime costruzioni fu la chiesa di San Giovanni Evangelista, volutamente edificata nella zona della sinagoga ebraica e del tempio valdese in città. D’altro lato l’approccio di don Bosco era caritatevole e pacato, cercava fin dove possibile di spiegarsi, ammoniva gli interlocutori ma non li aggrediva, a suo tempo sapeva tacere ma non arretrava sui grandi principi, non disdegnava nemmeno banchetti illustri (certo al fine di ottenere beneficenze).
Terzo spunto. San Giovanni Bosco ha portato avanti una missione dal nitido carattere anti-gnostico. Lo gnosticismo è il grande nemico della cristianità. Oggi se ne parla poco, non ci si cura di esso, né ci si difende espressamente dalle sue insidie, e in effetti pare essere trapelato in molti ambiti culturali ed ecclesiali. Un tratto tipico dello gnosticismo – e ci fermeremo a questo solamente, per ragioni di spazio – è scindere dimensione materiale e spirituale, esaltando e contrapponendo ora l’una e ora l’altra. Gnostica è l’idea che si possa provvedere al piano materiale trascurando quello spirituale. Proprio tale seduzione oggi va per la maggiore, con tante iniziative sociali che provvedono solo al piano fisico o al massimo si interessano al benessere emotivo e all’autodeterminazione. Don Bosco al contrario ha sempre curato l’uno e l’altro aspetto unitamente. Chi non accettava l’itinerario cattolico veniva cacciato dall’oratorio. Chi entrava in oratorio trovava pane, vestiti e coperte, ma doveva accogliere anche istruzione religiosa e catechesi. Gnostica è l’idea che lo spirito abbia una sua vita, che prescinde da ciò che accade al corpo: oggi tanta confusione in ambito sociale, politico ed etico naviga in tale fraintendimento. Si confessa il cristianesimo, ma si votano partiti anticlericali (epico fu il travisamento dei cattocomunisti ieri, dei cattoGBTQ oggi); si professa il Cristo, ma si attuano scelte morali in aperto contrasto con il Suo messaggio; si frequenta la Messa domenicale, ma i criteri nelle scelte di vita feriali vengono assunti da altrove. L’educazione cattolica semplice e schietta di don Bosco non scende a simili compromessi, da lui impariamo che il materiale è alleato dello spirituale e che lo spirituale, dal canto suo, si preoccupa di salvare non solo lo spirito e l’anima, ma anche il corpo. Don Bosco provvedeva al pane per i suoi poverelli (generalmente indebitandosi coi fornai); si dedicava in prima persona alla stipulazione dei contratti di assunzione per i giovani apprendisti artigiani; portava i suoi tipografi all’esposizione universale; ma in contemporanea scandiva la giornata dell’oratorio con la Messa e le preghiere, e lui stesso per lunghi periodi dedicò l’ora dopo pranzo all’adorazione eucaristica personale.
Quarto spunto: la carità. La DSC insegna con chiarezza che senza carità nessuna azione sociale può raggiungere il suo obiettivo di bene. E questa indicazione da sola è sufficiente a farci intuire la precarietà di tutte quelle visioni socio-politiche basate su valori e atteggiamenti decisamente anti-caritativi, quali per esempio ricatto, terrore e accusa (si pensi, tra le altre, alla gestione Covid, all’allarme ecologico e al mito anti-patriarcale). Gli schieramenti manichei, che selezionano a priori buoni e cattivi, seminano accuse e inimicizie, impostano azioni oppositive e perseguono programmi ideologici selettivi, possono solo far danno alla vita pubblica. Don Bosco dal canto suo ha testimoniato l’efficacia del modello cattolico, proprio nell’elaborazione di un sistema educativo estremamente semplice, altamente inclusivo, che fosse basato essenzialmente sulla dedizione amorevole e personale dell’educatore verso il giovane. Una carità, un amore che si dona, fa molto anche con pochi mezzi. Un’ideologia, un potere che crea divisioni, fa male anche con notevoli risorse a disposizione.
A questo quarto spunto aggiungerei anche un riferimento alla fede, aggiungerei la fede perché la situazione attuale è così critica, che un pizzico di fede nella divina Provvidenza può aiutare a seguire con più grinta le indicazioni sane della DSC, nonostante la società e parte degli uomini di Chiesa sembrino spingere risolutamente altrove. Del resto, tra attentati, calunnie, persecuzione da parte del proprio vescovo, tentativi di TSO da parte dei confratelli sacerdoti, ancora una volta don Bosco ci dà l’esempio e ci fa da guida e ci indica quali sono le lotte che un militante cattolico deve esser preparato ad affrontare e con quale stile debba accoglierle.
Santo serafico e combattivo, simpatico e risoluto, generoso e inflessibile, san Giovanni Bosco rimane modello attualissimo per vivere da autentici cristiani nelle evoluzioni socio-culturali della contemporaneità. Non è facile oggi come non lo era allora, ma attraversare questo tempo in modo retto e sereno è possibile, anzi è una missione e un dono che noi cristiani dobbiamo sforzarci di offrire al mondo odierno, come luce posta su un moggio per la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime. Dicendolo con il santo torinese: da mihi animas, coetera tolle; dammi le anime e porta via tutto il restante!
Don Marco Begato SDB
Collegio degli Autori dell’Osservatorio
(Foto:Don Giovanni Bosco Ritratto (cropped), di Eugenie Marie Salanson, su wikicommons)