Ospitando nuovamente Carmelo Ferlito sulla rubrica economica di MiL, 300 denari, gli abbiamo chiesto il suo punto di vista sul discorso di Ursula von der Leyen sullo stato dell’Unione, tra promesse d’investimenti pubblici e i limiti di un modello che ignora la spinta imprenditoriale. Partendeo da un’Europa descritta (finalmente con lucidità) da Mario Draghi in occasione del Meeting di Rimini, abbiamo scambiato i punti di vista sull'evoluzione di un Sud-est asiatico in fermento, su cui emergono contraddizioni, rischi del pensiero woke e illusioni protezionistiche. L’intervista si chiude con una riflessione sull’omicidio di Charlie Kirk e sulla necessità di una rinascita spirituale e culturale fondata sull’esperienza cristiana come incontro con la Verità.
Carmelo Ferlito (Verona, 1978) vive da oltre dieci anni in Malesia, dove dirige il Center for Market Education e insegna Economia in diverse università. Ha pubblicato libri e articoli sui temi della moneta, dei cicli economici e delle sfide che riguardano oggi i mercati globali (in calce il CV completo). Qui i link dell'intervista che ci concesse nel 2023 e di un suo post che riprendemmo sul tema della mistica del lavoro.
Gabriele: Ciao Carmelo, grazie per essere di nuovo con noi. Per iniziare, vorrei che ci raccontassi la tua opinione e le tue impressioni rispetto al discorso di Von der Leyen sullo stato dell’Unione: davvero con qualche miliardo pubblico diventeremo l’avanguardia dell’intelligenza artificiale e dell’auto elettrica?
Carmelo: Penso si tratti di un discorso che rappresenta bene lo stato dell’unione: alcune intuizioni nella giusta direzione, sintomo di una tradizione storica non del tutto sopita o spirata, e alcuni voli pindarici che testimoniano una direzione evolutiva sbagliata, quasi schizofrenica, confusa, un miscuglio di credenze diverse e anche contraddittorie.
Se rimaniamo nel mio settore di competenza, l’economia, con il tuo riferimento agli investimenti pubblici, vale la pena fare riferimento, ancora una volta, a due grandi economisti austriaci del secolo scorso: Joseph A. Schumpeter e Friedrich A. von Hayek.
Contrariamente a quanto sostenuto dai tifosi dello Stato imprenditore, tra cui Marianna Mazzucato, Schumpeter ci ha insegnato come il capitalismo, per poter continuare a crescere – con i suoi benefici effetti – grazie ai processi di distruzione creatrice (innovazione), necessiti di spinta imprenditoriale; putroppo anche molti studiosi post-Schumpeteriani, pur riconoscendo l’innovazione e la distruzione creatrice come i motori del capitalismo, spesso scordano che tali processi non cadono dal cielo, ma sono invece una risposta creativa nell’ambito dell’evoluzione storica che si esercita attraverso la spinta imprenditoriale che è di natura personale: non esiste imprenditorialità spersonalizzata. Infatti Schumpeter vedeva l’emergere dell’innovazione di Stato come la fine della dinamica capitalistica e l’avvento di un socialismo di fatto.
La visione di Hayek – unita a quella del suo maestro Ludwig von Mises – è complementare a quella di Schumpeter perché fornisce la spiegazione teorica del perché l’innovazione è possibile con successo solo in una economia di mercato in cui si esercita l’imprenditorialità privata: anzitutto, una scelta imprenditoriale, per determinare se abbia successo o meno, necessita di un confronto tra costi e ricavi basato sui prezzi di mercato e, ovviamente, prezzi di mercato non esistono fuori dal mercato. Secondariamente, e ancora più fondamentalmente, lo sviluppo imprenditoriale, l’innovazione e la distruzione creatrice non sono il risultato di una conoscenza tecnica, che può essere infatti anche posseduta da tecnici di Stato o burocrati. Al contrario, il progresso avviene grazie alla conoscenza imprenditoriale, che è una conoscenza di condizione di spazio e tempo, cosa e dove rischiare. Non si tratta di sapere come fare una cosa, ma se e quando va fatta. Il problema non è fare l’intelligenza artificiale, ma sviluppare risposte imprenditoriali a necessità che vengono “scoperte” dal basso operando nel mercato.
In questo senso forse il riferimento al Global Gateway fatto dalla Von der Leyen è più interessante, perché si tratta di un meccanismo che maggiormente interagisce con l’economia reale.
Gabriele: Penso che sia molto indicativo, a questo proposito, il discorso tenuto da Draghi allo scorso Meeting di Rimini e la sua presa di coscienza dell’impotenza dell’Europa. A mio avviso, però, avrebbe dovuto trarne delle conclusioni più profonde, mettendo in discussione il paradigma che lui stesso e chi governava in questi anni hanno seguito…
Carmelo: Sì, leggendo i riferimenti al discorso di Draghi mi domandavo se questo signore fosse cosciente di essere stato uno dei massimi esponenti e finanche modellatori di quella Unione Europea che ha criticato.
Un personaggio tirannico che ha contribuito a creare la più grande inflazione vista in Europa da decenni, grazie alle sciagurate politiche adottate durante gli anni del Grande Lockdown.
Gabriele: Vengo da un lungo viaggio in Asia. Ogni volta resto colpito dal fermento che si respira nel Sud-est asiatico. M'incanto nell'osservare quei luoghi: cerco di immaginare come saranno tra venti o trent’anni; saranno probabilmente irriconoscibili. Tu che vivi in Malesia, hai un osservatorio privilegiato: siamo sicuri che esista davvero una correlazione tra pensiero woke e progresso economico? Io, al contrario, ho l’impressione che emerga sempre più una verità opposta: woke = regresso socio-economico.
Carmelo: Io vivo in Malaysia e viaggio nel Sudest Asiatico da ormai oltre 15 anni e quindi ho potuto farmi un’idea anche dell’evoluzione interna di un mondo che, anche se da fuori sembra correre molto rispetto alla vecchia Europa, presenta anche molte contraddizioni interne.
Anzitutto, v’è da dire che il pensiero woke al momento è tenuto a bada dall’Islam ma comincia ad entrare in modo virulento tra le elites colte, come se pensare in un certo modo li facesse sentire moderni. Insomma, c’è l’emergere di un pensiero unico mondiale molto pericoloso, e il Sudest Asiatico non è del tutto immune da quel virus.
Secondo, la regione cresce molto perchè i processi di sviluppo sono più recenti: però si tratta di uno sviluppo ancora basato su processi imitativi da un lato e un capitalismo di natura speculativa dall’altro. La regione non ha ancora espresso una capacità innovativa propria, autoctona.
Questo, secondo me, è dovuto ad un sistema educativo completamente centrato sulle materie tecniche; al contrario, le discipline umanistiche sono bistrattate e considerate una perdita di tempo. A livello del sistema educativo mancano completamente la creazione di una consapevolezza storica, una contestualizzazione spazio-temporale, lo sviluppo di un pensiero critico di tipo filosofico.
Questo è il grande limite del Sudest Asiatico che diventerà palese quando sarà terminata la rincorsa, quando non ci sarà più nulla da rincorrere.
Gabriele: Allora ti sottopongo un'ulteriore correlazione. Molti paesi della regione stanno aumentando le regolamentazioni sulle importazioni. Ufficialmente per creare occupazione locale, ma in realtà con poca efficacia in quanto la produzione interna non è concorrenziale con la nostra (qualitativamente, incide su segmenti di mercato diversi). Colpisce un paradosso: i grandi importatori si dichiarano soddisfatti. Perché? Perché così i piccoli imprenditori vengono eliminati, incapaci di reggere i costi della burocrazia.
Viene spontaneo chiedersi se non sia da sfatare anche un altro mito: quello della correlazione tra regolamentazione e attenzione ai poveri.
Carmelo: In un lavoro che il Center for Market Education pubblicherà presto, mostreremo la correlazione negativa tra barriere commerciali e spinta innovativa. Le barriere commerciali bloccano lo sviluppo, lo hanno sempre fatto. Adam Smith spiegava molto bene che la ricchezza delle nazioni dipende dalla produttività, che a sua volta dipende dalla divisione del lavoro, che a sua volta dipende dall’estensione del mercato.
Essendo un ostacolo allo sviluppo economico, le barriere commerciali non possono certo aiutare i poveri.
Però vedi il problema non è solo la politica. E’ la dinamica del consenso: finché il popolo continua a credere che il protezionismo gli faccia bene, la politica continuera’ a dargli protezionismo. Finché il popolo continuerà a credere che i sussidi – che creano inflazione – lo rendano più ricco, la politica continuerà a dargli inflazione.
Gabriele: In chiusura, ti chiedo una riflessione sul recente omicidio di Charlie Kirk. Ho la sensazione che in Occidente il processo rivoluzionario stia accelerando. Non sarà forse la reazione delle élite alla loro crescente perdita di controllo?
Carmelo: Le rivoluzioni violente, come quella francese o quella sovietica, sono sempre il prodotto delle elite. Da qualche decennio è in corso un cambio al vertice delle elite, ci sono movimenti tellurici per la creazione di un nuovo modello di ordine mondiale, che passa anche attraverso la creazione di un modo di pensare uniforme, che non ammette contraddizione. Il titolo del New York Times o Saviano che definisce Kirk un’estremista di destra sono situazioni che farebbero impallidire il povero Orwell.
Bisognerà ripartire dal basso. Non con il metodo di Kirk, che era un metodo essenzialmente retorico e quindi, a mio avviso, di scarsa efficacia. Una resistenza culturale cattolica non può che ripartire dal metodo di Gesù, che non era retorico: era l’incontro – una Verità che ti incontra e ti travolge grazie ad una potenza endogena, non dialettica, fondata sull’amore per la condizione umana.
Il Cristianesimo può tornare ad essere rilevante solo ripartendo da se stesso come esperienza di incontro tra coscienze che cercano prima di tutto la Verità, non l’avere ragione.
Un Cristianesimo fatto di uomini e donne totalmente travolti dal fatto di Cristo come Verità assoluta per l’Io non sarà mai spazzato via, perché resterà sempre un pugno di “noi pochi, noi felici pochi, noi manipolo di fratelli”.
Gabriele
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Contatto e-mail e presentazione della rubrica
* Carmelo Ferlito (Verona, Italia, 1978) è Amministratore Delegato del Center for Market Education (CME), un'azienda di ricerca e consulenza con uffici a Kuala Lumpur, Malaysia, e Jakarta, Indonesia.
Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia Economica (2007) e la Laurea Magistrale in Economia (2003) presso l'Università di Verona. Attualmente è anche docente di Economia presso l'Universitas Prasetiya Mulya (Indonesia) e di Politica Economic Internazionale presso la Taylor's University (Malaysia).
Il Dott. Ferlito ricopre inoltre i ruoli di Senior Trade and Investment Expert per l'European Union Investment Desk presso il Ministero degli Investimenti della Repubblica Indonesiana (BKPM), Senior Fellow presso l'Institute for Democracy and Economic Affairs (IDEAS, Malaysia) e Senior Fellow presso la Tholos Foundation (Stati Uniti).
Tra il 1998 e il 2007 ha lavorato nel campo del media monitoring, mentre dal 2004 al 2009 ha effettuato attivita' di ricerca presso diverse università italiane, tra cui l'Università di Verona, l'Università di Macerata e l'Università del Salento. Nel 2011 si è trasferito in Malesia, dove da allora ha fornito servizi di consulenza nello sviluppo commerciale e nell'avviamento aziendale per imprese multinazionali provenienti da Europa e Nord America, in particolare nel settore zootecnico.
Come economista, ha svolto attività di consulenza per importanti istituzioni internazionali come l'Unione Europea, l'Asian Development Bank e la Banca Centrale della Malaysia (BNM).
Il Dott. Ferlito è autore di sette libri e di numerosi articoli accademici e di policy, con particolare attenzione alla politica monetaria, ai cicli economici e alla riforma fiscale. Le sue analisi e i suoi commenti sono regolarmente pubblicati sui media malesi e internazionali.






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