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martedì 30 settembre 2025

Badilla. Il processo Becciu e il suo progressivo crollo

Grazie a Luis Badilla per questa analisi sugli ultimi sviluppi sul processo al Card. Becciu.
"L'ennesima brutta pagina per la comunicazione vaticana che Leone XIV ha dovuto ereditare dalla stagione bergogliana".
QUI MiL il testo completo della richiesta di ricusazione del Promotore di Giustizia Alessandro Diddi: "ESCLUSIVA. L'istanza di ricusazione per il processo Becciu. Cosa sta succedendo?"
Luigi C.

Il processo Becciu, così amplificato in passato anche con menzogne e mistificazioni, comincia a crollare strepitosamente. La via della verità è aperta. Cambia il vento in Vaticano e anche l’aria tra i giornalisti, ma non tutti.

          Il ormai cosiddetto “processo Becciu”, che la stragrande maggioranza della stampa italiana ha fiancheggiato come erano le indicazioni che uscivano dalla Sala stampa di Santa Marta, ora, nel sua fase di appello, squarcia verità ma riconosciute. Non sappiamo come andrà a finire. Ad ogni modo le decisioni della Corte sull'inammissibilità dell'appello del Promotore Alessandro Diddi, anticipano come possibili e probabili altre piccole e grandi svolti. I commenti che si potrebbero fare sono molti e alcuni piuttosto devastanti. Il processo contro il cardinale Becciu non sarebbe dovuto fare. Si è trattato di una montatura, di un complotto, e alcuni volti dei colpevoli sono riconoscibili. Per ora serve pazienza e attenzione.

Sotto offriamo alcuni testi di testate italiane che raccontano questa prima settimana del processo d’appello.

AGENZIA ANSA. (25 settembre 2025).

Dichiarazioni degli avvocati del cardinale Becciu

"Era doveroso segnalare l'inammissibilità dell'appello del Promotore, che oggi la Corte ha condiviso accogliendo la nostra eccezione. Tuttavia, al netto di questa decisione che esclude l'impugnazione del Promotore, siamo convinti della solidità e della fondatezza delle nostre argomentazioni difensive che dimostrano la piena innocenza del Cardinale Becciu". E' quanto dichiarano gli avvocati Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, difensori del cardinale Angelo Becciu, principale imputato del processo di secondo grado sui fondi riservati della Santa Sede dopo che la Corte di appello ha accolto oggi l'inammissibilità dell'appello proposto dal promotore di giustizia Alessandro Diddi.  "Peraltro - sottolineano i legali -, la stessa sentenza, che già aveva comunque assolto il cardinale da una serie di accuse, anche in relazione alle residue contestazioni ha certificato che il Cardinale non si è appropriato nemmeno di un centesimo né ha avuto alcun vantaggio".

IL DOMANI. (25 settembre 2025 – Francesco Peloso).

Processo Becciu, nuovo colpo di scena in Vaticano: dichiarato inammissibile l’appello dell’accusa.

Il procedimento giudiziario sull’affaire della compravendita, con i fondi riservati della Segreteria di Stato, di un immobile di lusso situato in Sloane Avenue, a Londra prende una nuova piega. Il promotore di giustizia Diddi, nell’appellarsi rispetto alla sentenza di primo grado, ha commesso errori formali che hanno portato alla decisione della Corte. Le conseguenze non sono di poco conto.

Da processo del secolo a processo infinito: è questa la piega che sta prendendo il procedimento giudiziario in corso in Vaticano sull'affaire della compravendita, con i fondi riservati della Segreteria di Stato, di un immobile di lusso situato in Sloane Avenue, a Londra. Questo almeno è quanto sta emergendo dalle prime udienze del processo di appello segnate da una serie di colpi di scena che, di fatto, stanno mettendo in discussione le scelte compiute dall’accusa nel primo grado del procedimento.

In breve, nell'udienza del 25 settembre è accaduto che la Corte d'appello vaticana, presieduta da mons. Alejandro Arellano Cedillo, ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello proposto dal promotore di giustizia Alessandro Diddi rispetto alla sentenza di primo grado del 16 dicembre 2023. In sostanza, se le difese avevano fatto ricorso in appello per tentare di ribaltare la sentenza, altrettanto aveva fatto l’ufficio del promotore di giustizia (equivalente al pubblico ministero), solo che quest’ultimo aveva commesso una serie di errori formali che hanno determinato la decisione della Corte.

In pratica, il promotore Diddi non aveva depositato una dichiarazione con la quale impugnava la sentenza di primo grado, ma si era limitato a depositare la requisitoria pronunciata al termine del processo (un atto, dunque, antecedente alla stessa formulazione e alla pronuncia della sentenza), senza contare che non aveva rispettato i tempi per farlo. Da qui la richiesta delle difese, avanzate lo scorso 23 settembre, di non ammettere l'appello del promotore di giustizia vaticano, cosa che in effetti è avvenuta.

Assoluzioni confermate. Le conseguenze non sono di poco conto. Si consideri infatti che, in base alla normativa, non potranno esserci aggravi di pena, ma al limite conferme di quanto è stato stabilito in primo grado, oppure le stesse pene potranno essere alleviate o cancellate. La Corte d'appello ha, concretamente, confermato alcune delle assoluzioni decise in primo grado (che erano state oggetto di appello dall’accusa) e ora il processo si concentrerà solo sui ricorsi delle difese e proseguirà il prossimo 6 ottobre.

La Corte, nell'ordinanza letta in aula, citando gli articoli 131 e 486 del Codice di procedura penale, «ha accolto l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dal promotore di giustizia» perché «i motivi (della impugnazione) non possono formularsi in forma generica o astratta, ma avere una sia pur minima determinatezza che possa consentire di comprendere il rapporto critico tra le ragioni della decisione e il fondamento razionale delle correlative censure».

Il presidente della corte, mons. Arellano, ha poi dato lettura di una sentenza parziale. Introducendola ha citato il favor rei (le garanzie in favore dell’accusato), rimarcando così il rispetto dei principi del giusto processo. «La Corte di appello in nome di Sua Santità Papa Leone XIV visto l’articolo 134 del Codice di procedura penale dichiara non doversi proseguire azione penale perché divenuta definitiva la sentenza del 16 dicembre 2023 del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano nei confronti dei sopra indicati imputati, limitatamente ai capi di imputazione trascritti».

Gli imputati in questione sono il cardinale Giovanni Angelo Becciu, Fabrizio Tirabassi, Reneé Brüllhart e Tommaso Di Ruzza, rispettivamente presidente e direttore dell’AIF (attuale ASIF), e monsignor Mauro Carlino. Sono state confermate le assoluzioni del primo grado o perché «il fatto non sussiste» o perché «non costituisce reato». Nel caso del cardinale Becciu, ad esempio, si tratta delle assoluzioni dall’abuso d’ufficio e dal peculato nella vicenda che vedeva coinvolto il finanziere Alessandro Noceti.

La sentenza intermedia, precisa tuttavia il portale d’informazione Vatican news, «non interessa tutte le assoluzioni decise in primo grado, il 16 dicembre 2023, ma solo una parte di esse che diventano in tal modo definitive. La Corte di appello si concentrerà sugli appelli proposti dalle parti alle condanne che potranno essere confermate o modificate».

«Un bel segno, ma c’è un cammino da fare», ha dichiarato, uscendo dall’aula, il cardinale Becciu. Soddisfatti anche gli avvocati di diversi imputati, secondo i quali «il processo del secolo non esiste più».

Cambia il vento. Accanto a ciò non va dimenticato che in aula, in Vaticano, a rappresentare l‘accusa non c’era il promotore Alessandro Diddi ma li promotore aggiunto Roberto Zannotti. Diddi, infatti, non potrà prendere parte al processo finché la Corte di Cassazione vaticana non si sarà pronunciata sulla sua ricusazione richiesta dalle difese e ammessa dalla Corte d’appello.

Certo il vento è cambiato. Oltretevere rispetto a questa intricata vicenda con il nuovo papa, diverse forzature messe in atto dall'accusa nel procedimento non sembrano più trovare spazio, i diritti della difesa vengono maggiormente garantiti, ma se tutto questo si tradurrà in una sentenza che capovolge il giudizio di primo grado è questione che resta aperta.

MILANO FINANZA (25 settembre 2025 - Fabrizio Massaro)

Vaticano, prima vittoria delle difese al processo d’appello al cardinale Becciu: inammissibile il ricorso dell’accusa sulla sentenza.

«Un bel segno ma c’è un cammino da fare», il commento del cardinale. Il processo potrà adesso migliorare o confermare le condanne di primo grado per i soli capi d’imputazione riconosciuti dal tribunale. Esultano gli avvocati. Ma questa decisione potrebbe pesare sui sequestri dei beni in caso di condanne definitive.

Cambia pelle il processo d’appello in Vaticano al cardinale Angelo Becciu sull’acquisto del palazzo di Londra in Sloane Avenue e la gestione dei fondi della Segreteria di Stato si dimezza: diventa un processo nel quale gli imputati possono solo essere assolti o al massimo vedere confermate le condanne, e solo per i capi d’imputazione che il tribunale di primo grado ha riconosciuto. L’accusa non potrà ottenere il ribaltamento di quanto stabilito dalla sentenza del giudice Giuseppe Pignatone a dicembre del 2023 che aveva condannato gli imputati solo per alcune fattispecie, assolvendoli invece per altre.

L’ordinanza della corte d’appello. È l’effetto dell’ordinanza pronunciata dalla corte d’appello vaticana presieduta da monsignor Alejandro Arellano Cedillo nella terza udienza tenuta giovedì 25, che ha dichiarato inammissibile il ricorso in appello del promotore di giustizia (la pubblica accusa), perché presentato fuori dalle regole: il promotore Alessandro Diddi aveva proceduto, negli otto giorni successivi alla lettura del dispositivo della sentenza, a depositare solo la dichiarazione di voler appellare, allegando la requisitoria scritta per il primo grado.

Secondo le difese degli imputati sarebbe una mossa che priva di motivazione il ricorso stesso. Una tesi che la corte ha accolto: «I motivi di un ricorso non possono formularsi in forma generica o astratta ma devono avere una sia pur minima determinatezza che possa consentire di comprendere il rapporto critico tra le ragioni della decisione e il fondamento razionale delle correlative censure», è scritto nell’ordinanza letta dal presidente Arellano.

Chi si opponeva al ricorso. Ad opporsi al ricorso del promotore erano stati gli avvocati Gian Domenico Caiazza, difesa di Raffaele Mincione, e Cataldo Intrieri (difensore di Tirabassi), con le altre difese associate. Per i legali degli imputati - oltre al cardinale, quelli dei finanzieri Raffaele Mincione, Enrico Crasso e Gianluigi Torzi e dell’ex funzionario della Segreteria Fabrizio Tirabassi, tra gli altri - si tratta di un importante punto a loro favore che si aggiunge a quello ottenuto nella prima udienza di lunedì 22, sull’ammissibilità dell’istanza di ricusazione del promotore Diddi, per via delle chat intercorse tra il testimone dell’accusa monsignor Alberto Perlasca con Genoveffa Ciferri e Francesca Immacolata Chaouqui sul memoriale del monsignore (ritenuto comunque inattendibile dal tribunale nella sentenza di primo grado).

I prossimi passaggi del processo

Ora il processo di appello continua - la prossima udienza si tiene il 6 ottobre - ma senza che l’accusa possa ribaltare la ricostruzione del primo grado, e forse anche senza la presenza in aula della memoria storica dell’inchiesta. In udienza giovedì era presente il promotore aggiunto Roberto Zannotti. «Un bel segno ma c’è un cammino da fare», ha commentato Becciu, presente in udienza. Assolto ormai dall’ipotesi di subornazione di Perlasca e dai capi di imputazione di peculato e abuso d’ufficio legati al palazzo di Londra, il cardinale - spiegano il suoi legali Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo - resta imputato per i soldi fatti arrivare alla sua diocesi di Ozieri, per quelli a Cecilia Marogna e per una parte degli investimenti della Segreteria di Stato. «La sentenza di primo grado anche in relazione alle residue contestazioni ha certificato che il Cardinale non si è appropriato nemmeno di un centesimo né ha avuto alcun vantaggio».

I commenti dei legali. Secondo il professor Mario Zanchetti, che con l’avvocato Matteo Santamaria difende Torzi, «non è più il processo del secolo». Anche per Intrieri «la truffa del secolo è morta, e già questo è un risultato». Per l’avvocato Valerio Galassetti, che assiste Nicola Squillace, «il processo si è aperto nel segno della terzietà della Corte di Appello, che ha subito colto alcune delle anomalie già emerse in primo grado».

«Tutte le assoluzioni sono ormai giudicate, o si confermano quelle del primo grado oppure ci assolvono, può andare in meglio e non in peggio. La discussione verterà intorno al peculato e al famoso canone 1284, resta solo quello di questo processo», ha commentato l'avvocato Claudio Urciuoli.

Alcuni difensori tuttavia ritengono che questa vittoria procedurale possa ritorcersi contro i loro assistiti: aver ottenuto l’accoglimento delle loro eccezioni contro la pubblica accusa potrebbe essere utilizzato come argomento per sostenere la piena terzietà dell’organo giudicante vaticano. Sarebbe la prova che la Santa Sede rispetta i principi del giusto processo, che invece gli avvocati contestano. In questo modo potrebbe essere più facile ottenere all’estero il riconoscimento della sentenza e per questa via - qualora le sentenze di condanna venissero confermate - procedere alla confisca delle decine di milioni di euro sequestrati, in particolare a Raffaele Mincione in Svizzera.

LA BUSSOLA QUOTIDIANA (25 settembre - Nico spuntoni)

Appello per Becciu, ma i media vaticani bypassano i giudici

Dichiarata ammissibile l'istanza della ricusazione presentata dalla difesa del porporato e degli altri imputati. Ieri la prima udienza, tra le anomalie giudiziarie e comunicative ereditate dal pontificato precedente.

Qualcosa è cambiato in Vaticano. Il processo di appello per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato si apre molto diversamente da come si era concluso quello di primo grado. La corte d'appello ha infatti dichiarato ammissibile l'istanza della ricusazione presentata dalla difesa del cardinale Angelo Becciu e dagli altri imputati Fabrizio Tirabassi, Raffaele Mincione, Enrico Crasso contro il promotore di giustizia Alessandro Diddi. L'avvocato romano, che ha guidato l'accusa nel processo di primo grado, è sembrato subire il colpo in aula ma ha reagito dicendo di avere «finalmente (...) la possibilità» di difendersi da «una serie di illazioni».

Nell'istanza di ricusazione sono finite inevitabilmente le ormai famose chat di Genoveffa Ciferri, amica di quel monsignor Alberto Perlasca che è stato il grande accusatore di Becciu ed attualmente ricopre ancora il ruolo di promotore di giustizia sostituto alla Segnatura Apostolica pur essendo stato dichiarato nella sentenza di primo grado sui fondi della Segreteria di Stato autore di testimonianze «prive di autonoma rilevanza probatoria». La notte del 26 novembre 2022 Ciferri tempestò con 126 messaggi il telefono di Diddi dopo la poco brillante prestazione di Perlasca interrogato nel controesame. Pochi giorni dopo il promotore di giustizia depositò solo 8 di quei messaggi coprendo con omissis gli oltre cento restanti. Le difese avevano più volte chiesto di togliere gli omissis nel processo di primo grado ma le richieste erano state rigettate dal presidente del tribunale di prima istanza Giuseppe Pignatone.

Tutta la messagistica di Ciferri sulla vicenda, comprese le chat con Francesca Immacolata Chaouqui all'origine del cosiddetto memoriale di Perlasca contro Becciu, sono state depositate all'Onu dai legali di Mincione a cui sono state date dalla diretta interessata. Le conversazioni hanno gettato gravi ombre sull'andamento delle indagini e del processo di primo grado e lo scorso giugno hanno portato all'apertura di un'indagine ad hoc da parte dello stesso ufficio del promotore di giustizia in cui è finita indagata Chaouqui con l'accusa di traffico d'influenze, falsa testimonianza in dibattimento e subornazione. Le chat sono state protagoniste anche nella prima udienza di ieri del processo d'appello con l'istanza di ricusazione ritenuta ammissibile dalla corte.

Oggi l'udienza riprende sulle questioni preliminari, intanto Diddi avrà due giorni per fare le sue deduzioni e valutare se fare di sua iniziativa un passo indietro che eviterebbe alla Corte di Cassazione dello Stato della Città del Vaticano formata dai cardinali Matteo Maria Zuppi, Augusto Paolo Lojudice, Mauro Gambetti e Kevin Joseph Farrell di doversi pronunciare sulla ricusazione. La sua partecipazione all'appello come promotore di giustizia, peraltro, è stata resa possibile da uno dei tanti interventi a gamba tesa fatti da Francesco in materia giudiziaria. L'8 febbraio 2021 il Papa argentino promulgò un motu proprio che in un comma cambiò quanto da lui stesso deciso solamente un anno prima e stabilì l'esercizio dell'ufficio del promotore di giustizia in tutti e tre i gradi di giudizio. Una novità che Geraldina Boni, Manuel Ganarin e Alberto Tomer nel loro volume Il processo Becciu. Un’ analisi critica (Marietti 1820, Bologna 2025) hanno commentato osservando come in questo modo «l’impianto accusatorio rischia di essere pedissequamente omologato e appiattito alla tesi sostenuta in prima istanza dal promotore di giustizia, con evidente pregiudizio – potenziale o effettivo – degli imputati».

Alla Nuova Bussola la professoressa Boni, ordinario di diritto canonico, di diritto ecclesiastico e di storia del diritto canonico dell'Università di Bologna, ha detto di ritenere «senz’altro opportuno che la corte d’appello vaticana possa valutare le ripercussioni che i rescritti concessi da Papa Francesco nel 2019-2020 al promotore di giustizia hanno avuto sull’itinerario processuale».

Per la docente «la corte d’appello potrebbe confutare le argomentazioni addotte dal tribunale vaticano di prima istanza, secondo cui gli imputati sarebbero stati comunque garantiti dal contraddittorio che si è svolto in aula durante il dibattimento» perché «non è plausibilmente sostenibile la tesi per la quale questa fase potrebbe in qualche modo “sanare” le anomalie che si sono verificate nella precedente fase investigativa: e ciò in quanto sono state direttamente vulnerate una serie di istanze che si innestano nel diritto divino e che, perciò, non tollerano alcuna violazione anche nell’ipotesi in cui si sia goduto del supporto del Papa: il quale è stato indotto ad avvalersi in modo arbitrario delle proprie prerogative di governo». Si vedrà come questa brutta storia, che molti in Vaticano oggi vorrebbero chiudere al più presto e che sostengono sarebbe stato meglio non aprire, andrà a finire sul fronte giudiziario.

Chi è chiamato a raccontarla dai media ufficiali, intanto, dà prova di voler ostinatamente insistere su una narrazione partigiana già costata diverse brutte figure. A questo proposito resta indimenticabile l'editoriale di Andrea Tornielli dal titolo Processo giusto e trasparenza pubblicato su Vatican News per difendere a spada tratta la sentenza di primo grado. Era il 30 ottobre 2024 e la tesi della «trasparenza» è stata smentita apertamente dallo stesso ufficio del promotore di giustizia vaticano che ha aperto la già citata indagine per subornazione, falsa testimonianza e traffico di influenze in riferimento a fatti che sarebbero avvenuti proprio in relazione a quell'indagine e quel processo di primo grado. All'epoca il direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione si spinse al punto di provare a confutare in prima persona le tesi legittimamente sostenute dalle difese degli imputati ed impartire la morale al cardinale imputato. Un po' troppo persino per Francesco che autorizzò (lui in persona, non Tornielli) la pubblicazione di una controreplica di Becciu dal titolo Il diritto alla difesa su Vatican News.

Le cose però non sono cambiate da quelle parti e domenica sul portale ancora diretto a livello editoriale da Tornielli è uscito un articolo a firma di Salvatore Cernuzio che presentava l'inizio del processo d'appello a suon di giudizi ed amnesie. L'autore cerca di ridimensionare vistosamente il peso delle chat Ciferri-Chaouqui. Si limita a dire, ad esempio, che «alcune difese hanno asserito che le due donne hanno condizionato il monsignore nelle sue scelte e nelle sue dichiarazioni» dimenticando come lo stesso promotore di giustizia Diddi abbia sostenuto nell'udienza del 1 dicembre 2022: «le chat spiegano chiaramente che alla Ciferri le domande sono arrivate dalla Chaouqui» in riferimento al famoso memoriale di Perlasca. Cernuzio scrive che «le dichiarazioni di Perlasca secondo una comune narrativa, avrebbero dato il via alle indagini concluse col rinvio a giudizio».

Il giornalista di Vatican News attribuisce alla «comune narrativa» quanto invece si ritrova negli atti: prima del memoriale del 31 agosto 2020 mai era emerso il nome di Becciu nell'indagine e nell'interrogatorio del 29 aprile 2020 monsignor Perlasca aveva escluso responsabilità del suo ex superiore. Cernuzio dalle colonne di un portale ufficiale – che dovrebbe essere imparziale specialmente a ridosso dell'apertura del processo d'appello – bolla come «toni che sembrano anche richiamare vendette personali» quelli di chi ha sostenuto l'ipotesi di condizionamenti sull'indagine e sul processo di primo grado testimoniati dalle chat. La tesi, ricordiamo, sostenuta dalle difese di alcuni degli imputati e finita nell'istanza di ricusazione ritenuta ammissibile ieri dalla corte. Cernuzio poi "ruba" il posto ai giudici e conclude che «tale materiale non ha influito nella formulazione del verdetto». A che servono i successivi gradi di giudizio? Non basta quello del giornalista?

Sembra davvero incredibile leggere simili "sentenze" su un organo ufficiale della Santa Sede. Eppure è tutto vero. Il solerte Cernuzio, però, nella ricostruzione fatta sulla «questione chat» appare un po' distratto e si dimentica di menzionare l'apertura dell'indagine vaticana dello scorso giugno con capi d'imputazione inerenti proprio ai fatti di quelle conversazioni. L'ennesima brutta pagina per la comunicazione vaticana che Leone XIV ha dovuto ereditare dalla stagione bergogliana.

Foto: Wikipedia