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giovedì 14 agosto 2025

“San Girolamo, i Padri e la potenza dimenticata di Mc 3,15”

Grazie a Investigatore Biblico per le analisi sulle nuove traduzioni bibliche.
Luigi C.

28-7-25

Il Vangelo secondo Marco ci conduce, fin dalle prime pagine, dentro l’urgenza del Regno di Dio, nella concretezza dell’agire di Gesù. Al capitolo 3, versetto 15, siamo in un momento decisivo: Gesù sceglie i Dodici, li chiama per stare con lui e per inviarli in missione. Il contesto è carico di significato. La folla lo preme da ogni parte, molti sono malati e sofferenti, altri sono oppressi da spiriti impuri. In questa tensione tra attrazione e rifiuto, tra bisogno e incredulità, Gesù chiama a sé i Dodici e li costituisce apostoli, con un mandato ben preciso.
Il testo della Bibbia CEI del 1974 così come quello del 2008 riportano: “e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni.” Le due traduzioni sono pressoché identiche, si distinguono solo per piccoli dettagli formali, eppure presentano una lacuna che merita di essere messa in luce. Entrambe, infatti, omettono un elemento che san Girolamo, con la consueta precisione filologica e teologica, ha ritenuto essenziale nella sua traduzione latina della Vulgata: “Et dedit illis potestatem curandi infirmitates et ejiciendi dæmonia.” Gesù, quindi, non dona soltanto il potere di scacciare i demoni, ma anche quello di guarire le infermità.
Questo piccolo dettaglio non è marginale, e non lo è stato per san Girolamo, che nel suo immenso lavoro di traduzione ha avuto accesso a numerosi codici greci, molti dei quali oggi sono andati perduti o non del tutto consultabili. Egli lavorò in particolare con i codici conservati a Cesarea di Palestina, dove si trovava una delle biblioteche cristiane più ricche del tempo, fondata da Origene e ampliata da Eusebio. Girolamo era perfettamente consapevole delle varianti nei manoscritti, e scelse, con rigore filologico ma anche con profondo senso ecclesiale, di riportare quel “curandi infirmitates” che dava pienezza al mandato apostolico.

La tradizione patristica conferma che questo duplice potere — guarire e liberare — è stato percepito come inscindibile fin dalle origini. Origene, commentando questo passo, scrive: “Cristo, donando agli apostoli il potere di guarire le infermità, mostra che il Regno di Dio non si manifesta solo nella parola, ma anche nella forza che risana il corpo e lo spirito.” San Giovanni Crisostomo, in una sua omelia, afferma: “Non solo annunciarono il Vangelo, ma confermarono la parola con i segni della guarigione e della liberazione: così la verità si fece carne anche nei miracoli.” Sant’Ireneo, molto prima, nel Contro le eresie, riconosce nella capacità di guarire un segno evidente della continuità dell’opera di Cristo nella Chiesa: “Come il Maestro, così i discepoli: guarivano i malati, cacciavano i demoni, e in questo modo testimoniavano la verità della buona novella.”

Questa lettura più ampia del versetto non è dunque una mera questione filologica, ma una chiave per comprendere il cuore stesso della missione apostolica: essa è sempre insieme predicazione, liberazione e guarigione. Gesù non invia solo a parlare, né soltanto a liberare, ma a rendere visibile, tangibile, concreta la salvezza del Regno in ogni aspetto della vita dell’uomo.

In questo ci è stato maestro il cardinale Carlo Maria Martini, che tante volte ci ha ricordato che “la Parola è viva quando guarisce, quando libera, quando entra nelle pieghe della sofferenza umana e la tocca.” Leggere con attenzione anche le sfumature del testo ci aiuta a cogliere la ricchezza del mandato evangelico e a restituire alla comunità cristiana la memoria di una missione che è insieme annuncio, cura e consolazione.