Lo scorso giovedì Roberto Manzi pubblicava su 300 Denari L’identità è potere, un’analisi sulla crisi europea nata dai dialoghi con Gaëtan Cantale. A questo contributo abbiamo ricevuto – e oggi pubblichiamo – il commento di Cantale, che ne condivide i punti centrali ma ne amplia l’orizzonte, proponendo una visione più radicale: restituire alla famiglia la sovranità politica ed economica, anche attraverso il controllo diretto della moneta.
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Ho letto con sincero interesse e rispetto l’articolo di Roberto Manzi “L’identità è potere”, un vero faro che illumina la crisi europea. La sua nozione di “disgregazione semantica” e il richiamo all’identità perduta mi hanno ispirato ad aprire un dialogo radicale, partendo dal mio “Oltre il Grande Reset”. La materia è ampia, ma desidero soffermarmi su due temi che mi bruciano dentro: la sussidiarietà — con la famiglia sovrana su ogni ente politico — e la moneta locale, antidoto a un Mammona ormai troppo costoso perché non allineato alla realtà economica locale.
La denuncia di Manzi sulla “sussidiarietà capovolta”, con Bruxelles che soffoca le diversità, è un grido di verità. Tuttavia, da cattolico, ritengo necessario andare ben oltre: la chiave di volta è la giusta comprensione della nozione di sussidiarietà, che richiede di rovesciare l’immagine abituale secondo cui le entità politiche siano gerarchicamente “superiori” rispetto alla realtà familiare di base. Al contrario, la famiglia non deve poggiarsi su altro che su se stessa, e sono i livelli inferiori a dover rendere conto ai livelli superiori, fino al più elevato di tutti, che è la famiglia.
Concretamente, la famiglia è suprema: comune, provincia, Stato, Europa sono realtà ontologicamente ed economicamente inferiori, con l’UE relegata all’ultimo gradino. È qui che occorre “girare lo switch” e cambiare sguardo, perché “siamo Adamo ed Eva, siamo famiglia, siamo immagine di Dio”. Rifiuto l’ideologia liberal-illuminista che esalta l’individuo perfettamente isolato — figura concettualmente necessaria per stabilire e dimostrare le leggi del mercato — e dove il politico non è “impiegato” delle famiglie, ma non riconosce in esse la sua padronanza. Sarebbe invece auspicabile immaginare comunità in cui le famiglie gestiscano le risorse locali, decidendo i mercati senza ingerenze di Bruxelles. Ma questa sussidiarietà ontologica richiede una conversione radicale, sfidando secoli di pensiero illuminista. In sintesi: auspico un’Europa in cui la famiglia regni sovrana per davvero, in particolare in campo economico e politico.
Manzi, nel suo articolo, non affronta il tema del denaro, ma a mio avviso esso è la nostra catena. La sua “akrasia geopolitica” — come la paralisi di fronte ai dazi di Trump — nasce anche dalla sottomissione ai mercati globali. Quanto a me, “il denaro è uno strumento che ci deve servire. Quando non ci serve più, ci si deve sentire liberi di abbandonarlo”. Un esempio concreto, pur imperfetto, è il Sardex, moneta sarda nata nel 2009, che nel 2017 contava 3.000 imprese aderenti e 212 milioni di euro equivalenti. Trasparente grazie a una piattaforma digitale e fondata sulla fiducia — “Non abbiamo algoritmi, solo relazioni”, afferma Gabriele Littera — ha ispirato in Piemonte il Piemex, circuito gemello che collega PMI per scambi locali senza contante. Perché pagare risorse e beni locali con una moneta troppo costosa come l’euro, utile solo se devo comprare prodotti tedeschi o danesi? Queste monete locali potrebbero liberare le famiglie dalla dipendenza globale e porsi interamente al loro servizio.
In fondo, le nostre visioni convergono e si completano: la sua, con la “potenza rigeneratrice” della cultura; la mia, con un’economia in cui le famiglie siano sovrane nelle loro comunità, usando monete locali o legate a settori industriali, e impiegando politici e burocrati nelle strutture inferiori della società — comuni, province, regioni, Stati, UE. Due approcci diversi, ma uniti dalla stessa ambizione: restituire libertà e dignità alla cellula originaria della civiltà.
Gaëtan Cantale-Miège, Author| PhD, Master of Science

“Grande reset”, ormai entrato in repertorio. Sta sempre bene.
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