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domenica 24 agosto 2025

“CEI 1974 e 2008: la Risurrezione censurata. Il caso di Rm 14,9”

Grazie a Investigatore Biblico per le consuete analisi sulle nuove traduzioni bibliche.
Luigi C.

11-8-25

Ci fermiamo davanti a una frase di Paolo nella lettera ai Romani, che nella versione CEI del 1974 e del 2008 suona così: «Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita» (Rm 14,9). Le parole sembrano già familiari, eppure, se ci avviciniamo al testo con lo sguardo di chi ama ascoltare ogni sfumatura, scopriamo che la tradizione manoscritta ci offre un respiro ancora più profondo. San Girolamo, traducendo la Vulgata, scrive: In hoc enim Christus mortuus est et resurrexit. Egli, fedele certamente ad una lezione greca più antica, traduce il greco: ἀπέθανεν καὶ ἀνέστη (apethanen kai aneste), cioè «morì e risuscitò».
La differenza può sembrare sottile, quasi impercettibile. “Ritornare alla vita” potrebbe indicare un semplice riprendere ciò che era prima; “risuscitare” invece introduce un salto, un oltrepassare. Il verbo greco ἀνίστημι, al tempo aoristo ἀνέστη, non dice solo di un ritorno, ma di un rialzarsi per entrare in una condizione nuova, definitiva, che non conosce più la morte. È la stessa parola che troviamo in At 10,41 quando Pietro testimonia che Gesù, «dopo la risurrezione dai morti» (μετὰ τὸ ἀναστῆναι αὐτὸν ἐκ νεκρῶν), si è manifestato ai testimoni prescelti. Nel Vangelo di San Marco invece leggiamo: «È risorto, non è qui» (Mc 16,6).Nel testo di Marco viene utilizzato il verbo “ἠγέρθη”, certamente diverso da “ἀνέστη”, ma pur essendo verbi diversi sono comunque della stessa famiglia semantica.

Paolo stesso, altrove, custodisce la medesima espressione: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno» (1Cor 15,3-4). Qui non c’è un “ritorno” nel senso debole di riprendere un cammino interrotto: c’è una vittoria che apre il cammino eterno. In 2Tm 2,8 l’apostolo esorta: «Ricòrdati di Gesù Cristo, risuscitato dai morti (ἐγηγερμένον ἐκ νεκρῶν), della stirpe di Davide». La coerenza è totale: il kerygma apostolico non parla di una semplice rianimazione, ma di una trasfigurazione.

Proseguendo nel cammino dell’ascolto attento, è utile soffermarsi un momento su quel ἀνέστη che, oltre la lezione di San Girolamo, viene riportata anche nei codici greci F e G. Si tratta di due manoscritti greci delle epistole paoline databili al IX secolo: il codice F, conosciuto anche come Codex Cambridge, e il codice G, o Codex Boernerianus. Entrambi appartengono alla famiglia testuale “occidentale” e spesso coincidono nelle lezioni, preservando forme che, pur tardive nella scrittura, risalgono a tradizioni anteriori. Il fatto che in Romani 14,9 riportino la sequenza ἀπέθανεν καὶ ἀνέστη è un segnale di fedeltà a una formulazione kerygmatica molto antica, che riecheggia nelle prime predicazioni apostoliche.

Non sono soli. Altri manoscritti minori – per esempio alcuni minuscoli come il 33, detto “regina dei minuscoli” per la sua qualità testuale, o il 1739, spesso vicino al testo alessandrino, e il 1881 – confermano la presenza di ἀνέστη, senza ricorrere a forme più attenuate. Questa convergenza, pur non essendo universale, è eloquente: testimonia una consapevolezza primitiva che il cuore della fede non è un “ritorno” ma un “rialzarsi” definitivo.

Il verbo ἀνίστημι, al tempo aoristo ἀνέστη, ha un uso chiaro sia nella Settanta sia nel Nuovo Testamento. Non indica soltanto l’atto fisico di alzarsi, ma, in contesto pasquale, la vittoria sul potere della morte. Nei LXX, ad esempio, in 2Re 13,21, un morto che tocca le ossa di Eliseo “si rialza” (ἀνέστη), segno di potenza divina che ridona vita. Nei Vangeli, ἀνέστη è ripetuto nei racconti pasquali (Mt 28,6; Lc 24,6.34) come la forma sobria e forte dell’annuncio: non “è tornato”, ma “è risorto”. Il lessico stesso custodisce una differenza decisiva: “ritornare alla vita” potrebbe essere un evento provvisorio (come nel caso di Lazzaro, Gv 11,43-44), ma “risorgere” nel linguaggio pasquale è entrare in una vita che non conosce più la morte (Rm 6,9: «Cristo risorto dai morti non muore più»).

È per questo che la scelta di Girolamo, et resurrexit, è più vicina alla densità del testo greco antico. Non è un dettaglio da filologo, ma un varco di fede: la precisione linguistica serve qui a custodire il mistero nella sua pienezza. Dire “risuscitò” significa proclamare che in Cristo l’atto di rialzarsi dalla morte è già l’inizio della nuova creazione. È la stessa parola che un giorno sarà detta su ciascuno di noi, quando Colui che è morto e risuscitato ci chiamerà per nome. In quella voce, come nelle antiche parole ἀπέθανεν καὶ ἀνέστη, la storia intera troverà la sua ultima e definitiva verità.