
Continuiamo le analisi sul nuovo pontificato di Leone XIV.
Luigi C.
9 Maggio 2025, Il Timone, Paola Belletti
Il 30 settembre del 2023 Robert Francis Prevost, che da ieri il mondo conoscerà come papa Leone XIV, è stato creato cardinale da Papa Francesco. In quell’occasione ha rilasciato una lunga intervista per il sito dell’ordine agostiniano nella quale ha risposto a molte domande cruciali per il ministero di pastore della Chiesa e ora che è stato chiamato al servizio più alto ci permette di comprendere un po’ di più lo spirito e lo stile con i quali lo vivrà. All’intervistatore che gli chiedeva quale debba essere secondo lui la caratteristica imprescindibile per essere un buon vescovo, e il pontefice è tale perché vescovo di Roma, l’allora prefetto del Dicastero per i Vescovi e neo cardinale rispose: «(…) il vescovo deve avere molte competenze. Deve sapere come governare, come amministrare, come organizzare e come essere in contatto con le persone. Ma se dovessi individuare una caratteristica al di sopra di tutte le altre, è quella che deve annunciare Gesù Cristo e vivere la fede in modo che i fedeli vedano nella sua testimonianza un incentivo a voler essere parte sempre più attiva della Chiesa che Gesù Cristo stesso ha fondato. In breve, aiutare le persone a conoscere Cristo attraverso il dono della fede».
La centralità della relazione viva con Cristo vivo e presente nella Chiesa è il tratto che dunque rende un pastore figura del Buon pastore. Lo ha detto anche in una intervista più recente che la Rai sta proponendo in queste ore in cui il cardinale Prevost racconta alcuni snodi della sua vita e riferisce di come nel dialogo con suo padre avesse colto in modo pregnante questa verità: come per lui e la madre era fondamentale la comunione e l’intimità così per lui, seminarista avviato alla vocazione sacerdotale, era fondamentale l’amicizia profonda e la relazione costante con Cristo. Davanti alle molteplici sfide che la Chiesa di oggi deve affrontare, ha risposto ancora il futuro Papa, proprio perché ogni realtà nazionale o locale ha le sue specificità, ciò che resta prioritario e non cambia da quando Cristo ha fondato la Chiesa è una sola cosa, predicare il Vangelo: «La missione della Chiesa è la stessa da 2000 anni, quando Gesù Cristo disse: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19). Dobbiamo proclamare la buona novella del Regno di Dio e allo stesso tempo comprendere cosa sia la Chiesa nella sua realtà universale».
Ed è proprio guardando da vicino, anzi immedesimandosi profondamente con la realtà che si sta vivendo con tutte le sue particolarità che questo mandato emerge nella sua perenne urgenza. L’esatto opposto dunque della tentazione che spesso abbiamo visto attraversare parti della realtà ecclesiale, quella secondo cui bisogna imitare il mondo, rincorrerlo lungo le sue strade spesso a vicolo cieco, compiacerlo nelle sue istanze che distraggono dall’unica che conta: «(…) nell’elencare le nostre priorità e nel valutare le sfide che abbiamo davanti, dobbiamo sapere che le urgenze dell’Italia, della Spagna, degli Stati Uniti, del Perù o della Cina, per esempio, molto probabilmente non sono le stesse, tranne che per una cosa: la sfida di fondo che Cristo ha lasciato ai cattolici di predicare il Vangelo e che esso sia lo stesso ovunque».
Come si affronta l’enorme sfida della nuova evangelizzazione, così come l’hanno indicata i papi degli ultimi decenni, soprattutto nei paesi di antica cristianità che più di tutti soffrono la perdita della fede e sono attraversati da un processo che sembrava inarrestabile di sistematica secolarizzazione? Il giornalista chiede al cardinale Prevost come si può realizzare un compito tanto arduo «soprattutto in Occidente, dove le vocazioni languono e i giovani sembrano sempre più lontani da ciò che la Chiesa ha da offrire loro?» Colui che oggi è Leone XIV risponde ricordando l’esperienza vissuta al fianco di papa Francesco alla Giornata mondiale della gioventù a Lisbona, dove ha potuto riconoscere nelle migliaia di giovani presenti la sete di occasioni autentiche per riscoprire e vivere davvero la loro fede: «È questo che viene prima di tutto. La nostra priorità non può essere quella di cercare vocazioni. La nostra priorità deve essere quella di vivere la buona notizia, di vivere il Vangelo, di condividere l’entusiasmo che può nascere nei nostri cuori e nelle nostre vite quando scopriamo veramente chi è Gesù Cristo. Quando continuiamo a camminare uniti a Cristo, in comunione gli uni con gli altri, in questa amicizia con il Signore e rendendoci conto di quanto sia grande aver ricevuto questo dono, nascono le vocazioni. È vero che in alcune parti del mondo in questo momento, per varie ragioni, ci sono meno vocazioni rispetto al passato. Questa è una preoccupazione naturalmente, ma non credo che sia la preoccupazione principale».
Il polo di attrazione e di equilibrio è sempre lo stesso: Cristo al centro, che rimette ordine in tutti gli altri “corpi” orbitanti intorno a Lui. Sembra quasi che quanto più la situazione si mostri complessa e impegnativa, tanto più sia evidente la necessità anche pacificante di concentrarsi sull’essenziale, il rapporto reale, vivo, quotidiano con Cristo e l’appartenenza alla Chiesa. «Se impariamo a vivere meglio la nostra fede e impariamo a invitare e includere gli altri nella vita della Chiesa, soprattutto i giovani, ci saranno ancora delle vocazioni che verranno da noi». C’è un’ultima sottolineatura che conferma la visione del futuro papa sulla ricchezza della vita della Chiesa e sull’importanza dei diversi stati di vita, laici e consacrati. Non serve che l’uno si confonda nell’altro, anzi. Una vocazione illumina piuttosto l’altra se resta fedele a sé stessa. L’orizzonte che si intravvede dalle parole dell’allora neo cardinale è nitido, attraversato dalla speranza fondata sulla parola di Cristo nel vangelo, nella promessa certa che il male non prevarrà (lo ha detto anche nel suo primo discorso da Sommo pontefice, invitandoci a non avere paura, ma a confidare in Dio che tutti ci ama e tutti tiene nelle sue mani), nemmeno in forma di confusione che tutto mescola e perverte:
«D’altra parte, credo che dobbiamo vedere i laici come laici. Questo è uno dei tanti doni che il tempo ci ha fatto negli ultimi anni: scoprire che hanno un ruolo molto importante nella Chiesa. Finché, come dice Papa Francesco, non assumono il ruolo del clero e non si “clericalizzano” e vivono a partire dalla loro vocazione battesimale ciò che significa essere parte della Chiesa, iniziamo a vivere con maggiore chiarezza. Credo che la testimonianza della vita religiosa, anche se in futuro sarà meno numerosa, abbia un valore capitale per ciò che comporta vivere quella dimensione di consacrazione, di dedizione totale della propria vita al Signore e al servizio degli altri. Il sacerdozio ha e continuerà ad avere un ruolo molto importante nella vita della Chiesa e di tutti i credenti. Pertanto, direi che sviluppare una comprensione più completa della Chiesa e continuare a vivere quel ministero, il ministero del sacerdozio, con la sua enorme saggezza, può aiutarci a vivere meglio le preoccupazioni che ci attendono e a rafforzare la certezza che continuiamo ad andare avanti, che il Signore non abbandona la sua Chiesa. Né ieri, né oggi, né domani. Personalmente, vivo questa realtà con grande speranza».
(Fonte foto: Ansa)
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Sempre Papa Francesco, Papa Francesco. Ma è il successore di Pietro o di Francesco ?
RispondiEliminaMa poi chi l'avrebbe dovuto nominare cardinale? Il papa era Bergoglio... Spero che i media (manovrati dall'alto) la smettano con il citare Bergoglio, spero che si concentrino su Leone. Ora è Leone il Papa, se ne facciano una ragione.
EliminaL'intervista è di quando era ancora cardinale, faccia lei...
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